Dopo le marce che hanno attraversato l’intero Paese, una delegazione di indios che reclamano il diritto alla terra e all’autodeterminazione doveva esser ricevuta dal presidente colombiano, Alvaro Uribe. Uno dei rappresentanti del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, Daniel Pinacuè, aveva detto che il Presidente aveva assicurato che li avrebbe ricevuti ieri. Lo stesso Uribe aveva emesso un comunicato in cui spiegava che avrebbe partecipato all’incontro “con animo aperto alle tematiche sociali per assumere decisioni in uno spirito di fratellanza”.
Eppure questa fratellanza non s’è vista, perché i 50 mila indigeni arrivati a piedi al centro di Cali, dopo cento chilometri di marcia, non hanno incontrato il Presidente della Colombia per “improrogabili impegni di agenda”, come si legge in una nota della presidenza… Gli indios si erano già riuniti nello stadio Pascual Guerrero, quando il Presidente ha posto la condizione di incontrarli nella sede di Telepacifico – circa 350 posti dentro e diretta su maxischermo fuori – domenica sera. Il Presidente ha commentato così: “Vi avevo proposto un incontro nella sede di Telepacifico. Mi avete detto di venire qui e, contraddicendo ogni norma di sicurezza, sono arrivato”.
Gli indios si sono allora spostati verso lo spazio messo a disposizione dal Comune, dove, aggrappato al microfono, Uribe s’affaccia a parlare da un ponte, vicino ad uno spiazzo, circondato dai suoi scagnozzi, con uno scudo antiproiettile davanti alle gambe. Quando arriva al raduno, però, è così tardi che la maggior parte degli indios è già andata via. Troppo tardi!
Tra i pochi rimasti, qualcuno gli grida “Pagliaccio” e lui, “candidamente”, risponde: “Non mi insultate, sono qui per dialogare, risponderò a tutte le questioni, venite qui a parlarne”. A turno, qualche persona sale sul ponte a gridare nel megafono del Presidente, ma nessuna di queste rappresenta gli indigeni. Non era questo che s’aspettavano quando, domenica mattina, hanno attraversato Cali – molti a piedi -.
Alle sette del mattino, molti indios avevano lasciato le tende montate verso la periferia e nel caldo umido di un asfalto bagnato da un acquazzone improvviso, avevano marciato verso il centro: uomini, donne e bambini, i più piccoli sulle spalle. I volontari della “guardia indigena” avevano accompagnato la folla con un cordone tutto intorno – armati con i “bastoni del comando” -. Mentre attendevano l’arrivo di un Presidente colombiano che non sarebbe più giunto, si alternavano al microfono i dirigenti dei nasa e dei guambianos (alcune delle oltre cento etnie del Paese), alcuni rappresentanti dei popoli boliviani ed ecuadoriani. Dagli altoparlanti la musica andina si fermava solo per permettere alla Commissione politica del movimento indigeno di riunirsi.
Gli indios volevano che Uribe raggiungesse il palco e si confrontasse con la “minga de resistencia”, l’assemblea che include tutti gli indios in cammino e che da mesi è in mobilitazione per elaborare i passi di questa ultima più forte protesta.
Il dialogo non c’è stato perché Uribe non si è presentato. La marcia, ora, potrebbe continuare fino a Bogotà. Solidarietà con i fratelli indios!
La Redazione