A proposito dell’uccisione deliberata di 9 civili in territorio siriano
Come possiamo definire l’attacco compiuto domenica scorsa da truppe americane in territorio siriano?
Aggressione militare? Atto di terrorismo internazionale? Crimine di guerra?
A nostro giudizio ognuna di queste definizioni sarebbe perfettamente calzante sia dal punto di vista sostanziale che da quello del diritto internazionale. Hezbollah, ad esempio, ha sintetizzato il tutto parlando di “un crimine di tipo terroristico”.
Certo, non potevamo pretendere un giudizio così chiaro né dai governi europei, né dai media occidentali in genere. Ma il silenzio assoluto degli uni e degli altri è stato davvero assordante.
L’impero a stelle e strisce è in crisi, ma nei momenti topici gli alleati si attengono al tradizionale servilismo. E di fronte alle “imprese” militari di Washington il servilismo è totale, sia che si tratti del Pakistan piuttosto che della Siria.
Ma, ad una settimana esatta dalle elezioni americane che dovranno eleggere il nuovo imperatore, c’è un altro silenzio assai rumoroso: quello del candidato democratico, Barak Obama.
Come noto, gli Usa hanno prima negato la paternità del blitz in Siria, per poi ammetterlo sostanzialmente, ma solo attraverso una fonte governativa anonima che ha parlato di “successo nella lotta contro al Qaida” (a proposito, questa notizia è stata riportata dal Corriere della Sera di oggi nelle “brevi”a pagina 56!).
Ora i casi sono due: o questa rivendicazione è falsa ed allora Bush dovrebbe smentirla, od è vera ed allora Obama, se davvero volesse segnare una discontinuità con l’attuale amministrazione, avrebbe un’occasione straordinaria per chiederne conto a Bush.
Invece non lo fa, e non è difficile capire il perché. Le elezioni sono importanti, ma l’impero è l’impero ed è proibito sgarrare sulle questioni internazionali, specie se di natura militare.
Oggi i giornali riempiono numerose pagine con la notizia del piano di due giovani neonazisti americani che stavano forse preparando un attentato ai danni di Obama per il colore della sua pelle.
Non possiamo conoscere l’attendibilità di questa notizia, ma non dubitiamo affatto che nella società americana sia tuttora forte il sentimento razzista. E molti osservatori ritengono che stia proprio in questo la residua possibilità di McCain di affermarsi il 4 novembre.
Ma, al di là del colore della pelle (del resto anche Colin Powell e Condoleeza Rice sono neri), quel che non cambia colore è la politica. Fin che si tratta degli sketch elettorali ci si può scontrare. Ma quando si passa agli interessi imperiali la discussione non è ammessa, neppure in quella forma carnevalesca tipica delle campagne elettorali.
Questo silenzio ci parla dunque di Obama, ma ancor di più del paese che vorrebbe guidare.
la redazione