La lotta popolare in Guadalupa ed in Martinica, in corso da quasi due mesi, ha ottenuto dei primi successi frutto di una straordinaria mobilitazione. “Siamo arrivati a un passo da un’insurrezione generale”, con queste parole Jean Marie Nomertin, uno dei leader della rivolta, spiega chiaramente che non si è trattato soltanto di un conflitto sindacale.
Su questo fronte la lotta ha ottenuto una riduzione dei prezzi dei trasporti e degli affitti in Guadalupa, mentre l’aumento netto di 200 euro mensili è stato conquistato solo nella Martinica.
E’ interessante notare come questa lotta nelle due piccole colonie francesi, da tempo eufemisticamente denominate “Dipartimenti d’oltremare (Dom)”, venga guardata con grande apprensione in Francia, come se potesse venire da lì il segnale della rivolta sociale.
Secondo un recente sondaggio il 78% dei francesi appoggia il movimento di lotta in Guadalupa ed in Martinica, un orientamento che inquieta fortemente Sarkozy ed il Medef (la Confindustria francese). Con l’auspicio e nella convinzione che la preoccupazione di costoro sia più che fondata, pubblichiamo questo articolo-intervista di Geraldina Colotti, uscito sul Manifesto del 5 marzo.
Guadalupa: la vittoria
La rivolta delle Antille contro Parigi
di Geraldina Colotti
(dal Manifesto del 5 marzo 2009)
Jean Marie Nomertin, leader del movimento Lkp, racconta lo sciopero contro lo sfruttamento e il carovita – il più lungo in Francia da vent’anni – che si è svolto nei Dipartimenti d’oltremare dal 20 gennaio scorso e che si conclude oggi. Nasce una nuova forza popolare.
Si conclude oggi in Guadalupa lo sciopero generale che durava dal 20 gennaio e che ha unito, nella rivendicazione principale di 200 euro mensili nette di aumento salariale, tutte le ex colonie francesi delle Antille, oggi Dipartimenti d’oltremare (Dom). Per la Francia, si è trattato dello sciopero più lungo da vent’anni, e ha laureato sul campo una nuova forza politica di massa, il Liyannay kon pwofitasyon (Lkp), il Collettivo contro i profitti abusivi e lo sfruttamento in Guadalupa. Un movimento composto da 46 organizzazioni sindacali, associative, politiche e culturali, unite in un’ampia e articolata piattaforma che ha toccato tutti gli ambiti della società. Un nuovo modello di democrazia caraibica? Ne abbiamo parliamo con Jean Marie Nomertin, dirigente sindacale della Confederation generale des travailleurs de Guadaloupe (Cgtg), il secondo sindacato del paese. Nomertin, è portavoce del movimento insieme a Elie Domota, segretario generale dell’Union générale des travailleurs de Guadeloupe (Ugtg), che sostiene l’indipendenza dalla Francia.
«La nostra piattaforma – dice Nomertin – prevedeva tre livelli di richieste relative al carovita. Quelle immediate sono state in buona parte soddisfatte: la riduzione del prezzo dei trasporti, degli affitti… ma altre questioni di carattere più generale, di medio e lungo periodo, sono ancora aperte». A differenza di quanto è avvenuto ieri in Martinica, dove tutte le organizzazioni padronali hanno firmato l’aumento di 200 euro, in Guadalupa il Medef (la Confindustria francese), non ha accettato. «Nelle fabbriche dov’è presente il Medef – dice ancora Nomertin – i lavoratori sono ancora in sciopero». Nomertin racconta i 44 giorni che hanno sconvolto la Guadalupa e la brace che cova ancora sotto la cenere. «L’elemento scatenante di questo lungo conflitto – ricorda – è stato l’aumento del prezzo del carburante, che ha fatto esplodere il malcontento popolare. All’inizio di dicembre 2008, un gruppo di autotrasportatori ha bloccato per tre giorni tutte le strade del paese, chiedendo l’abbassamento dei prezzi». La richiesta viene accettata, ma c’è il trucco perché, spiega Nomertin, «La società di raffinazione Sara, che ha il monopolio per la distribuzione dei prodotti petroliferi nelle Antille, aveva ottenuto in cambio 3 milioni di euro in sovvenzioni dagli enti locali: la gente ha pensato che, con quel versamento di soldi pubblici se l’era finanziata da sola la diminuzione di prezzo».
Così, nel corso del mese, ripartono le manifestazioni, sostenute dai sindacati, raggiunti presto da altre organizzazioni della società civile. La protesta, mostra il volto di un paese doppiamente penalizzato dalla crisi economica: in Guadalupa, in Martinica e in tutti i Dipartimenti d’oltremare, la media dei salari è infatti nettamente inferiore a quella dei francesi «della metropoli» (come si dice nei Dom), mentre il costo della vita è superiore del 30 o 40%. Tra il 2007 e il 2008, il prezzo del burro è aumentato fino al 59% in più, quello del latto fino al 48%, fino all’87% quello della pasta. Il prezzo della benzina è 5 volte più caro che a Parigi.
Una protesta «kon pwofitasyon», contro tutti quelli che se ne approfittano: dalle multinazionali francesi che impongono monopoli e tariffe abusive, alle grandi famiglie di commercianti, i cui guadagni – dice Nomertin – «sono scandalosamente alti per via del racket della grande distribuzione». Un piccolo gruppo di bianchi creoli, i cosiddetti békés, domina i settori più importanti dell’economia. «Questi beké, eredi dei loro antenati schiavisti costituiscono una potente lobby che ha un filo diretto con il governo di Parigi, dove si prendono tutte le decisioni – spiega Nomertin – Non contenti di dominare completamente l’economia della Martinica e oltre un terzo della Guadalupa, non si fanno scrupolo di mostrare il proprio disprezzo, la propria arroganza, il proprio razzismo». Un esempio? Il gruppo Bernard Hayot, discendente di una famiglia di coloni giunti in Martinica nel 1680, erede di un patrimonio costruito nelle piantagioni schiaviste per la colitivazione dello zucchero. Tra gli anni ’60 e gli ’80, Hayot è diventata una multinazionale della grande distribuzione e della distribuzione di automobili, che opera dalle Antille al Nordafrica e il cui giro d’affari nei Dom è raddoppiato in soli 6 anni. Per l’Lkp, Hayot è uno dei responsabili della dipendenza di Guadalupa e Martinica da «un’economia dei container» che impedisce un reale sviluppo economico.
«Il dominio dei bianchi – dice poi Nomertin – è visibile in tutte le alte sfere dell’amministrazione e delle imprese, le forze di repressione francesi sono sempre qui, per proteggere gli interessi degli sfruttatori, dei proprietari békés e di altri capitalisti». L’indipendenza, allora?. «L’indipendenza non è all’ordine del giorno – dice però Nomertine -. Quando sarà il caso, se ciò avverrà, il popolo l’esprimerà chiaramente e scenderà in piazza». Nel 2003, in Guadalupa, il 72% aveva votato contro l’ampliamento dell’autonomia. Oggi, però, la condizione statutaria delle Antille, sembra perlomeno obsoleta.
«Da quando, il 20 gennaio, abbiamo lanciato la parola d’ordine dello sciopero generale – dice con orgoglio Nomertin – abbiamo visto per le strade migliaia di manifestanti: 50.000 o 60.000 persone in un paese di 420.000 abitanti. Ai lavoratori di tutte le categorie, colonna portante del movimento, si sono aggiunti altri settori sociali. Le donne hanno avuto un ruolo preminente».
Un grande fronte anticapitalista, capace di rimettere in gioco anche quella parte di società che vive di assistenza e piccoli espedienti, destinata a emigrare verso «la metropoli». Un movimento che chiama a rispondere del proprio operato tutte le istanze del potere politico, amministrativo e imprenditoriale. Quella dell’Lkp – dice Nomertin – è una critica «che investe tutti i campi della società: dall’educazione, al diritto, al governo del territorio, all’ambiente, alle libertà». La piattaforma in 10 capitoli dell’Lkp contiene 146 rivendicazioni. Un solo capitolo riguarda il carovita. Di fronte a una forza simile, le controparti sono costrette a negoziare.
Sui 200 euro, i negoziati conoscono diverse fasi. Spiega ancora Nomertin: «Il prefetto e le autorità locali hanno infine dovuto constatare che, su alcune questioni, serviva l’intervento dello stato».
Quindici giorni dopo l’inizio dello sciopero, c’è l’incontro con il segretario di stato incaricato per l’oltremare Yves Jego. Un accordo sembrava accettabile per l’Lkp: prevedeva un aumento di 200 euro, coperti in parte dalle sovvenzioni e dagli esoneri di tasse consentiti dallo stato. «Dopo che l’accordo era stato redatto e formalizzato, in presenza di Jego – afferma Nomertin-, questi è stato però bruscamente richiamato a Parigi dal governo, che ha dichiarato di non potersi sostituirsi al padronato per far aumentare i salari. Di fronte alla cattiva volontà della controparte, abbiamo intensificato le azioni di protesta».
Tutte le strade di Guadalupa vengono bloccate dai dimostranti sostenuti dalla popolazione. I contadini portano i loro prodotti in città, i pescatori il pesce. Si divide quel che c’è, compreso il cibo prelevato nei grandi centri commerciali. Racconta Nomertin: «Ci sono state scene da guerriglia urbana. Bande di giovani esasperati, di notte hanno affrontano gendarmi e polizia, incendiato dei negozi o li hanno svuotati. Si sono visti anche giovani armati, bene organizzati e con il passamontagna. Siamo arrivati a un passo da un’insurrezione generale». Dal lato del governo, dei padroni e delle collettività locali, ci si affanna per trovare soluzioni.
È in quel momento che un manifestante dell’Lkp viene ucciso nella sua auto. Solo di recente, verrà arrestato un sospetto. Ai funerali del sindacalista, ci sarà grandissima folla. «Il conflitto – spiega ancora Nomertin – ha anche messo in atto quella che nelle Antille chiamiamo la grève marchante, lo sciopero in movimento, una tradizione che risale al secolo scorso. I manifestanti, a grandi gruppi, setacciano tutte le zone e fanno visita a tutte le fabbriche per assicurarsi che la parola d’ordine dello sciopero generale venga rispettata da tutti e per convincere gli scettici».
Dopo l’accordo sui 200 euro raggiunto con tutte le organizzazioni padronali, ma con con il Medef, quando Nomertin ha chiesto in creolo alla folla se volesse tornare al lavoro l’indomani («Ka nou ka fè dèmen?», 4000 voci hanno urlato «Nou pa ka travay!», Non ci torniamo. «Quando l’aumento verrà applicato in un certo numero di aziende – dice Nomertin -, la posizione del Medef, che propone solo un premio, diventerà insostenibile. La nostra lotta adesso è quella per imporre l’applicazione dell’accordo per tutti». La greve marchante è ancora in cammino. «Ci auguriamo – dice Nomertin – che si estenda anche in Francia e in Europa. Succederà, vedrete, i lavoratori non sopporteranno gli effetti catastrofici della crisi capitalistica senza lottare».