La vergognosa estradizione del compagno delle FARC Joaquín Pérez Becerra

I fatti – Sono già noti. Lo hanno estradato in fretta, senza altri accertamenti e senza nutrire neanche per un attimo dubbi sul suo conto. Tutta la nostra solidarietà al giornalista e compagno Joaquín Pérez Becerra. Lo aspettano momenti durissimi. La borghesia colombiana mafiosa e corrotta e i suoi amici del Nord che la dirigono non perdonano né hanno clemenza: interrogatori, tortura, vessazioni, montature, sentenze preannunciate in rottura con la legge, carcere, isolamento.

Prima reazione – Sorpresa, indignazione, schifo, odio, tristezza. Tante domande.

Seconda reazione – Analizzare motivi e obiettivi.

Che cosa cerca il governo colombiano? – Con questa nuova operazione, il governo di Santos si dimostra per quello che è: l’assoluta continuazione del governo di Uribe (nonostante quel che possa pensare qualche ingenuo, convinto che Santos sia un innocente “Cappuccetto rosso” e non colui che ha bombardato l’Ecuador e, in quanto capo del ministero della Difesa ai tempi di Uribe, responsabile di migliaia di cadaveri sepolti in fosse comuni.

Che cosa persegue? Un triplice obiettivo:

1.  Suscitare paura. L’ovvia domanda che tutti cominciano a porsi (alcuni lo hanno già scritto, altri lo hanno solo pensato a bassa voce) è la seguente: “Chi sarà il prossimo”? Se uno che ha un passaporto svedese e vive da decenni in Svezia (“paradiso” immaginario della socialdemocrazia, paese “civile” e pluralista ben lontano dal Terzo mondo) finisce imprigionato come una bestiola da quelle belve assetate di sangue, che cosa si riserva a quanti di noi viviamo in America Latina, dove la sorveglianza, le minacce, la repressione e la morte sono all’angolo della strada?

2. Colpire qualsiasi dissenso. Non più solo direttamente contro le forze dell’insurrezione comunista – segreteria, blocchi, fronti e combattenti delle FARC-EP o militanti del Partito comunista clandestino, forze dell’ELN, ecc. – ma contro tutto l’arco della dissidenza, compreso addirittura l’intellettuale più isolato che viva all’altro capo del pianeta e che abbia ardito scrivere due righe per avvertire della violazione dei diritti umani, delle fosse comuni con migliaia e miglia di cadaveri uccisi come animali, senza una tomba, un nome, torturati con le mani legate e vittime di vessazioni, o che abbia denunciato i legami del governo colombiano e delle sue principali istituzioni con il narcotraffico, i paramilitari, gli sporchi traffici economici e la criminalità.

In questa globale persecuzione della dissidenza si inseriscono: dalle ridicole cause giudiziarie contro la senatrice Piedad Córdoba (che per quel che ne so non gira col fucile in spalla ma predicando la pace e facendo appello al dialogo), al processo contro il giornalista Manuel Olate (la cui colpa più grave è stata quella di scrivere un servizio); dalle pubbliche minacce di morte contro i cineasti che hanno l’ardire di premere il tasto “Play” di un proiettore in festival cinematografici per vedere un documentario, alla persecuzione di alcuni giovani nordici, non ricordo se danesi o norvegesi, che osano stampare su una maglietta il logo della rivolta colombiana (le magliette con l’immagine del Che ed il suo basco, o del subcomandante Marcos sono di moda, mentre quelle con i simboli delle FARC-EP sono “terroriste”?). Gli esempi sono tantissimi, impossibile richiamarli tutti. Essi però sono sempre dello stesso tenore. Visti nel loro insieme sono ridicoli, grotteschi, bizzarri, irragionevoli e profondamente reazionari. Questo è il regime colombiano, impropriamente definito “democratico”.

3. Impedire la solidarietà internazionale. Far sì che la dissidenza colombiana si senta isolata e solitaria, che nessuno al mondo – anche se vive in Europa – abbia il coraggio di dire alcunché, per timore di essere sorvegliato, perseguitato, demonizzato, per arrivare al caso estremo di essere estradato. Far sì che tutti tacciano. Che fino all’ultimo curioso abbassi sommessamente lo sguardo e metta le mani in alto. Che si faccia silenzio, molto silenzio, perché i traffici e gli assassinii proseguano. E se qualcuno ardisse dissentire – mettiamo il Papa della Chiesa Cattolica Apostolica Romana o il segretario dell’ONU, Riki Martin o Shakira, Calle 13 o Calamaro – potrebbe finire per figurare nei magici computer di Raul Reyes [allusione ai computer attribuiti a Raúl Reyes dopo il suo assassinio, e dove per mesi sono state trovate “prove” del coinvolgimento di Chávez e di mezzo mondo. NdT].

Questa è la Colombia oggi e questa è stata negli ultimi decenni. Non è una novità. Fa rabbia, fa venire la voglia di vomitare, ma non è una novità.

E il governo del Venezuela? – Qual’è allora la novità dell’estradizione del giornalista Joaquín Pérez Bacerra? Quello che ci ha lacerato profondamente è ciò che ha fatto il governo venezuelano.

Neanche questo è una novità assoluta, perché vi sono stati precedenti negli ultimi tempi. Ma quest’ultimo caso è scandaloso. Una vergogna. Supera ogni limite. In questi due giorni mi hanno scritto moltissimi amici venezuelani o che vivono in Venezuela. Tutte le lettere, le e-mail e le comunicazioni cominciano nello stesso modo: “sono tristissimo”, “non ci capisco niente” e tante altre frasi analoghe.

Perché è successo questo? Proviamo ad andare oltre il caso specifico che se, fra pochi mesi, gli Stati Uniti invadessero un altro paese e assassinassero altre 100.000 persone, se esplodesse un’altra centrale nucleare o si verificasse un terremoto, pochi ricorderebbero.

Come spiegare l’inspiegabile, perlomeno per quelli di noi che difendono il processo bolivariano e considerano il presidente Hugo Chávez un compagno bolivariano e uno dei principali leader politici della rivoluzione latinoamericana dei nostri giorni?

Ciò che è successo ha un nome preciso: “Ragion di Stato”. Il predominio spietato di presunti interessi “geostrategici” che la gente normale, probabilmente, non capisce, ma che si dovrebbe privilegiare anche violando i più elementari principi rivoluzionari e solidali.

La Ragion di Stato! Spaventoso cancro che tutto divora – Sempre invocata nel momento in cui si fanno concessioni ai nemici storici, patti immondi con gli aguzzini, quando si rinuncia ai vessilli più amati e visceralmente cari alle popolazioni, quelli che in Venezuela hanno permesso di sconfiggere un colpo di Stato, la CIA e tutta la squallida destra per oltre un decennio.

Che la “Ragion di Stato” puzzi di materia fecale poche narici lo metterebbero in discussione. Tuttavia, molti la difendono perché pensano e credono, ingenuamente, che sia realistica, pragmatica e che – e sarebbe ciò che la gente comune non capirebbe, perché si lascia trascinare dalle proprie passioni – alla lunga, serva alla causa rivoluzionaria.

È così? Sospettiamo di no! Ogni volta che un processo di transizione verso una società diversa, non capitalista, che tenti di realizzare profonde trasformazioni sociali, ha cominciato a far prevalere la “Ragion di Stato”, le cose sono andate male, molto male, pessimamente.

“Se gli dai una mano, si prendono il braccio”, dice un proverbio popolare. Se concedi loro il 10% i nemici puntano al 50% e, una volta ottenutolo, puntano al 100%. Consegnare questo giornalista al governo colombiano non solo va contro l’etica rivoluzionaria, non solo infrange le norme stesse dell’ideale bolivariano e l’internazionalismo socialista, ma costituisce un gravissimo errore politico e strategico. Il compagno Hugo Chávez e il processo che guida ne risultano enormemente indeboliti. Il nemico sa che può ora puntare oltre. Se si è piegata la mano, ora si può spezzare il braccio.

Ricordo, nel 1986, il comandante sandinista Tomás Borge – allora circondato di prestigio tra tanti giovani – che dichiarava in un’intervista in Argentina: “Civilizzeremo la borghesia”. Si? Davvero? Pochissimo tempo dopo, nel 1990, la borghesia nicaraguense ha finito per “civilizzare” l’originaria rivoluzione sandinista.

Il comandante Hugo Chávez non “civilizzerà” il paramilitarismo colombiano in questo modo o trattando con i suoi nemici storici (anche se glielo raccomanda questo o quell’amico prestigioso che in altri tempi ha saputo guidare la rivoluzione latinoamericana). Su questo non vi è dubbio.

Speriamo si corregga urgentemente questa politica della “Ragion di Stato”, non solo perché colpisce profondamente la coscienza rivoluzionaria e bolivariana dei nostri popoli, non solo perché macchia l’etica della rivoluzione, perché massacra la fiducia popolare, perché trasforma la bandiera rossa del socialismo e del comunismo in uno straccio opaco e grigio, ma perché è per giunta inefficace. Non è realistica. Non è pragmatica. Non serve se non a portarci al fallimento. E non è questo che andiamo cercando, non è vero?

[Avevo ricevuto molti altri scritti di questo genere e solo pochissime reticenti giustificazioni, ma pensavo fosse sufficiente quanto avevo inserito sul sito. Questo testo, che mi è stato segnalato come al solito dal prezioso Boletín solidario di Montevideo, mi ha però colpito sia per la lucidità con cui analizza la logica dei protagonisti, sia perché Néstor Kohan è uno dei più brillanti e al tempo stesso rigorosi marxisti latinoamericani, guevarista convinto, e molto apprezzato a Cuba e in Venezuela, ma non al punto di rinunciare per questo a esprimere franchi giudizi sui gruppi dirigenti quando sbagliano. Kohan è autore di molti libri interessanti, in genere scaricabili dal sito di La Haine: http://lahaine.org/].

da http://antoniomoscato.altervista.org/

La traduzione è di Titti Pierini. (a.m. 1° maggio 2011)
Fonte: [La Haine: http://lahaine.org/]