Come i “Keystone Cops” delle comiche finali centinaia di agenti segreti USA sguinzagliati nella vana ricerca di chi ha rivelato l’estensione capillare e globale della rete di spionaggio della National Security Agency. Colpirne uno per educarne cento o piuttosto distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dallo scandalo del Grande Fratello? Angela Merkel ricorda al Presidente i precedenti della Gestapo e della Stasi. “Butti giù quel muro, signor Obama!”.

Inevitabile l’analogia tra il più imponente, capillare, planetario sistema di sicurezza del grande impero d’occidente e i Keystone Cops delle comiche di Mack Sennett agli albori del cinema muto di Hollywood. La National Security Agency, la Central Intelligence Agency e un’altra mezza dozzina di servizi segreti USA che brancolano nel buio, si pestano i piedi a vicenda, mobilitano tutte le loro risorse tecnologiche e umane da Hong Kong a Mosca, da L’Avana a Caracas, da Quito a Beijing per rintracciare, catturare, estradare ed eventualmente ammazzare Edward J. Snowden con i suoi quattro computer ed un numero imprecisato di pen drives – chiavette memoria –  di cui si è servito per rivelare al mondo intero la rete globale di controllo del Grande Fratello statunitense. Ed al comando di questa immensa e caotica operazione un Obama che lancia fulmini e saette contro i leader mondiali che non consegnano vivo o morto il “whistle blower” tacciato di alto tradimento, spionaggio e di ogni altro crimine del codice penale USA. Proprio come l’attore Ford Sterling che un secolo fa interpretava l’inetto capo dei piedi piatti nei cortometraggi del muto.

Dove si è nascosto o è stato nascosto questo giovanotto che è tutto fuorché una spia o un traditore, si fa forte del quarto emendamento della Costituzione “The right of the people to be secure in their persons, houses, papers and effects… shall not be violated ecc. ecc., ma sa anche giocare le sue carte con i Putin, gli Assange e l’opinione pubblica di mezzo mondo? E’ veramente una versione aggiornata della Primula Rossa, “The scarlet Pimpernel” l’aristocratico britannico, nemico della rivoluzione francese, con quel suo ludico ritornello “They seek him here, they seek him there, those frenchies seek him everywhere. Is he in heaven or is he in hell, that damned elusive Pimpernel”. (La cercano qui, la cercano là, quei francesotti la cercano dappertutto, è in paradiso, è in inferno, quella maledetta, elusiva Primula Rossa)?

E’ improbabile che il Presidente degli Stati Uniti abbia rischiato di coprirsi di ridicolo unicamente per seguire alla lettera l’aforisma di Mao Zedong – colpirne uno per educarne cento –  e fermare così con la sua ira funesta la proliferazione dei whistle blowers, dei Bradley Manning, dei Julian Assange, degli Edward Snowden. Più probabile che abbia cercato di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dagli enormi danni arrecati alla credibilità e al prestigio degli Stati Uniti dalle ultime rivelazioni sulla megagalattica violazione dei diritti civili, della privacy, delle libertà individuali di centinaia di milioni di cittadini statunitensi e stranieri, di capi di governo alleati, amici o avversari perpetrata in combutta con i servizi britannici dalla National Security Agency (il vero scandalo non è l’illegalità di questa mastodontica operazione di controllo da Grande Fratello, ma il tentativo di Obama con il concorso del Congresso di presentarla come legale e giustificata dalla cosiddetta guerra al terrorismo).

Prima ancora dell’accoglienza gelida o dichiaratamente ostile al G-8 in Irlanda, vanamente mimetizzata dai suoi sorrisi e dalle sue eloquenti concioni in quella sede e a Berlino, lustro e prestigio del Presidente erano stati corrosi dal suo operato all’inizio del secondo mandato: il premio Nobel per la pace era lo stesso che ogni martedì mattina compilava la “killing list”, l’elenco dei nemici, terroristi o sospettati tali da ammazzare con i droni, insieme a civili innocenti, in Medio Oriente ed in altre parti del globo, che aveva rinnegato l’impegno alla trasparenza della sua amministrazione insieme a quello di chiudere Guantanamo, che aveva sottoposto alla tortura della nutrizione forzata i suoi detenuti in sciopero della fame, che aveva perseguito con maggior vigore le direttive liberticide del suo predecessore – “un Bush agli steroidi” – che aveva aperto il dialogo con il mondo musulmano con la prassi della “pace in terra e morte dall’alto”, che aveva sparato la balla delle armi chimiche usate dal presidente Bassar Al-Assad per fornire armi pesanti ai gruppi “fidati” dei ribelli già armati fino ai denti dagli Emirati Arabi e dalla Turchia.

Era stato così preceduto al suo arrivo in Irlanda dalle rivelazioni sulle intercettazioni delle conversazioni e comunicazioni riservate dei partecipanti stranieri ai precedenti G-8, G-20 e ad altri convegni internazionali.

Uno spionaggio capillare e continuo esteso a tutti i settori; per quanto concerne l’Italia le consultazioni private del Bersani, sgradito a Washington e quelle di Letta, nipote e zio, e di Berlusconi (ma non ce ne era bisogno) perché il governo di coalizione era stato concordato e approvato dal Dipartimento di Stato, per arrivare infine – ma mancano le prove – ai cinque cardinali statunitensi e ai tre latino-americani che sarebbero stati “wired” dalla N.S.A. durante il Conclave. Mentre la sorveglianza estrema del grande impero d’occidente destava scalpore e veniva dibattuta ai Comuni, al Bundestag, all’Assemblée National e in altri parlamenti europei, ad eccezione di quello italiano, l’atmosfera della conferenza dei cosiddetti otto grandi in Irlanda veniva descritta come “sgradevole” e “pesante” dagli osservatori internazionali più obiettivi e misurati. E così il cancelliere tedesco Angela Merkel aveva esordito ricordando a Barak Obama che l’opinione pubblica del suo paese paragonava lo spionaggio USA a quello della Gestapo nel regime hitleriano e a quello della Stasi Comunista nella Germania Orientale prima dell’unificazione. E come se non bastasse i manifestanti contro il G-8 in Irlanda e poi contro la visita del Presidente a Berlino agitavano cartelli su cui era scritta a caratteri cubitali la parafrasi del perentorio invito di Ronald Reagan a Breznev: “Tear down that wall, mister Obama”.

Il muro da abbattere non era più quello di Berlino con i suoi 600 morti in 28 anni, ma quello eretto dagli Stati Uniti sulle frontiere con il Messico che dal 2002 al 2012, in dieci anni, aveva provocato 5.700 morti tra i disperati che avevano cercato di raggiungere i dodici milioni di connazionali clandestini nella terra promessa, “the land of the brave and the home of the free”, “la terra dei coraggiosi, la patria dei liberi”.