Lo scorso 15 aprile il presidente Santos ha ordinato il ripristino dei bombardamenti contro le FARC, sospesi da circa 5 settimane. Il pretesto, la morte di 11 militari (di cui 2 sottufficiali) ed il ferimento di 18, per via di uno scontro con la guerriglia nel Cauca in seguito all’ennesimo attacco perpetrato dall’esercito di regime.
Il Comandante Pastor Alape, portavoce delle FARC all’Avana, attribuisce la responsabilità dell’accaduto alla “incoerenza del governo, che ordina operazioni militari contro una guerriglia in tregua”. Le sue parole mantengono un tono costruttivo: “Le FARC sono vicine ai familiari di questi compatrioti”, legando il dolore per la morte dei soldati a quello per la morte del comandante insorgente del Fronte 57, Gilberto Becerra, caduto recentemente in un attacco dell’esercito.
Nel frattempo l’ELN ha denunciato azioni militari dell’esercito in cui sono rimasti coinvolti dei civili, avvenute lo scorso 8 aprile nel dipartimento del Norte de Santander.
Che il conflitto sia cruento e causa di innumerevoli tragedie, soprattutto per la popolazione civile, è un fatto che la guerriglia colombiana, al pari di tutto il movimento popolare, ripete da decenni. La soluzione passa per la riduzione dell’intensità del conflitto stesso, certo non per l’intensificazione guerrafondaia; d’altronde, il governo non può pretendere che alle provocazioni e agli attacchi del suo esercito le FARC, pure in tregua, rispondano immolandosi contro il fuoco nemico. L’insorgenza colombiana ha infatti sempre ribadito che avrebbe risposto con le armi agli attacchi delle forze militari dello Stato.
Come abbiamo sempre sostenuto, il percorso che porta alla pace con giustizia sociale è minato delle trappole dell’oligarchia, che provoca lo scontro a fuoco per poi lamentarsi delle sue conseguenze, mostrando tutta l’incoerenza di una classe dominante ottusa e guerrafondaia.