Con gli inediti passi in avanti del processo di pace in corso all’Avana tra le FARC-EP e il governo colombiano, si stanno creando le condizioni, per la prima volta nella storia colombiana, per aprire quegli spazi democratici e quelle garanzie minime per l’esercizio della politica che lo Stato oligarchico ha sempre negato.
Conseguentemente le FARC-EP si stanno preparando per irrompere con tutto il loro accumulato storico-politico sullo scenario della politica aperta, dispiegando il proprio potenziale in tutto il territorio nazionale, non più in condizione di clandestinità.
Questa prospettiva, insieme ai cambiamenti socioeconomici, istituzionali e di dottrina politica che vedono il proprio fondamento negli accordi di pace dell’Avana e che si svilupperanno in Colombia in un processo che abbraccerà i prossimi anni, porta la destra oltranzista e guerrafondaia colombiana, cresciuta e riprodottasi con una concezione militarista e repressiva, e inseparabile dal terrorismo di Stato, a una sorta di isteria generalizzata.
Questi settori, ancora capeggiati dall’ex-presidente Alvaro Uribe, uno dei più solidi alleati e promotori del narcotraffico e del paramilitarismo, vedono ridursi in prospettiva quei margini di arricchimento illecito e di quote di potere che li hanno contraddistinti.
Si trovano sempre più isolati, tanto nella società colombiana come nello scenario internazionale. Si sentono abbandonati addirittura dai loro vecchi partner negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Tutti i paesi del mondo, l’ONU, le più diverse forze politiche e istituzionali in Colombia e all’estero, appoggiano il processo di pace.
L’isolamento nel quale si vengono a trovare li ha esposti a tutta una serie di problemi giudiziari, perché le loro enormi responsabilità nella lunga notte di barbarie, di cui è stato protagonista lo Stato colombiano sotto la loro direzione, iniziano – anche se con vergognoso ritardo – a presentare i primi conti.
Quasi tutti i principali collaboratori di Uribe, tra i quali i direttori del servizio segreto DAS che lo hanno servito nell’opera di sterminio delle opposizioni sociali, Jorge Noguera e Maria Pilar Hurtado, si trovano in stato di reclusione con pesanti condanne sulle spalle, addirittura il fratello maggiore di Uribe, Santiago, è attualmente agli arresti in attesa del processo che lo vede imputato per paramilitarismo nell’orrida vicenda della cupola dei “12 apostoli”.
Recentemente Uribe in persona è venuto in Europa, col malcelato scopo di tentare di riaprire alcune porte in ambienti istituzionali, sfruttando i suoi numerosi, vecchi, contatti.
Tuttavia nella penisola iberica è stata cancellata la prevista cerimonia di consegna di un premio per i suoi presunti meriti da presidente, che un’università dello Stato spagnolo aveva inizialmente intenzione di conferirgli. Anche in Italia, dove sarebbe giunto per un’improbabile vacanza con la moglie, non sembra poter avere grandi occasioni istituzionali. E’ stato obbligato a condurre i suoi tentativi politici lontano dai riflettori e in forma privata, come un teso incontro con il cardinale Parolin in Vaticano ha dimostrato. Incontro nel vano tentativo di convincere il Papa a criticare i dialoghi dell’Avana, nei confronti dei quali invece lo stesso Bergoglio ha espresso più volte un deciso ed entusiasta appoggio.
Uribe si è piuttosto dovuto accontentare di una surreale intervista che il solito Daniele Mastrogiacomo si è premurato di far uscire sul quotidiano per il quale scrive: La Repubblica, la cui linea editoriale in politica estera è una delle più squalificate del già desolante panorama disinformativo del bel paese.
Il teatrino di Uribe uscito su La Repubblica è un misto patetico di invenzioni sue personali, deliri senza senso, grossolane inversioni della realtà. Lo stesso Mastrogiacomo, che di Colombia non ha mai capito granché, essendo per lo più abituato a ripetere le versioni che forniscono gli organi di stampa del regime colombiano, appare leggermente imbarazzato in alcuni passaggi. Altro segno dei tempi che cambiano.
Uribe apre le danze lagnandosi dell’aumento del narcotraffico e della criminalità in Colombia, lui che è uno dei peggiori criminali e narcotrafficanti riconosciuti della storia colombiana, identificato al numero 82 nella lista stilata a suo tempo dalla DEA tra i più pericolosi narcotrafficanti a livello mondiale, sulla cui testa pendono migliaia di denunce per violazione dei diritti umani in Colombia e all’estero.
Poi sostiene che la pace con le FARC si doveva fare quattro anni fa, prima cioè… del processo di pace! Adducendo che in questi anni le FARC si sono rafforzate, ma sorvolando sul fatto che come i dati dello stesso esercito colombiano dimostrano, il processo di rafforzamento della guerriglia era iniziato già durante il suo governo.
Mastrogiacomo a questo punto commenta: “Senatore Uribe, le Farc si stanno sciogliendo e consegnando le armi.” E Uribe risponde: “Lei crede?”
Il bello è che qui ha quasi ragione Uribe, nel senso che se è indubitabile che le FARC eserciteranno l’azione politica, nel nuovo contesto, senza utilizzare le armi, non si scioglieranno affatto, ma si mobiliteranno in tutto il paese con il proprio lavoro di massa. Evidentemente Mastrogiacomo confonde la realtà coi suoi desideri.
Ma Uribe insiste e afferma che nessun paese stringe accordi coi terroristi, accusando le FARC dei peggiori crimini che proprio il governo da lui presieduto ha perpetrato. Per di più né Uribe, né Mastrogiacomo si accorgono che per stringere la mano ai “terroristi” stanno facendo la coda presidenti e figure istituzionali di mezzo mondo, compreso il segretario generale delle Nazioni Unite.
Poi Uribe insinua che le FARC possano, con tutto il denaro di cui disporrebbero, raccogliere nientemeno che “il più grande arsenale del mondo”. A parte il fatto che le FARC lavorano, in accordo coi sentimenti più profondi del popolo colombiano, per aprire una fase di pace, democrazia e giustizia sociale, a Mastrogiacomo non viene in mente di chiedere come mai se possono raccogliere tante pericolosissime armi non lo abbiano già fatto durante la sua fallita “guerra al terrorismo”, quando il “campione” dei diritti umani Uribe pretendeva di sterminare i guerriglieri massacrando il popolo da cui traggono la propria forza.
Ma a questo punto il delirio ha definitivamente preso la mano dell’intervistato e quindi si aprono gli spazi affinché colui che Pablo Escobar benediceva per aver concesso licenze di volo ai suoi uomini per il trasporto della cocaina, elenchi una serie di presunti successi del suo governo contro… il traffico di stupefacenti e la lotta ai cartelli della droga!
Scontro tra cartelli con la partecipazione di pezzi dello Stato in combutta con gli uni o con gli altri, nel quale ha partecipato tutta la famiglia Uribe e lo stesso narco ex-presidente come forma per eliminare la concorrenza.
Qui l’intervistatore ha un sussulto di dignità e commenta, bontà sua, che però si è anche assistito a “squadroni della morte, paramilitari, esecuzioni sommarie, sequestri, sparizioni”, ma Alvarito non ci fa caso e prosegue con un discorso sconnesso, francamente da manicomio, che non si capisce nemmeno cosa c’entri con ciò di cui stanno parlando, affermando di aver sempre combattuto le dittature e che nel suo governo ci sono stati cinque anni di libertà e democrazia.
Per poi caricare nuovamente contro il processo di pace, che non prevede che i guerriglieri finiscano in carcere dopo gli accordi. E grazie tante, ci mancherebbe altro!
Non poteva mancare in chiusura un gratuito e fuori contesto attacco al Venezuela, che Mastrogiacomo gli serve su un piatto d’argento con una domanda che sembra fatta apposta affinché possa essere versata una litrata di bile contro il governo bolivariano.
Chiusura in bellezza!
Sia chiaro, non ci aspettavamo che Uribe riconoscesse la verità storica e che dicesse che sì, in effetti, le FARC hanno sempre cercato la pace ma la politica criminale dello Stato non gli ha mai lasciato altra possibilità che condurre con tutte le proprie forze la lotta armata, che si è cercato di sterminarle e solo per il fatto di non esserci riusciti si è imposta una soluzione politica nella quale ha giocato un ruolo importantissimo il Venezuela, e che nel quadro di una giurisdizione speciale per la pace debbano essere riconosciute le singole responsabilità in un contesto nel quale sappiamo che il novanta per cento degli atti di violenza sono stati commessi dallo Stato coi suoi agenti ufficiali e non ufficiali (paramilitarismo come politica controinsorgente). E’ ovvio che Uribe, pur sapendo tutto ciò, non lo riconoscerà mai.
Ma quale utilità può avere il dare spazio ai conati di un guerrafondaio che la Storia ha già condannato e si è in attesa che lo faccia anche un tribunale speciale che restituisca alle vittime almeno un po’ di verità?