Intervista di Gregory Lalieu e Michel Collon

Il primo genocidio del 21° secolo si sta svolgendo nel Darfur? Questa regione del Sudan è teatro di un conflitto che sensibilizza l’opinione pubblica internazionale. Da qui ci raggiungono le stesse immagini di miseria tipiche di ogni conflitto consumato sul suolo africano: gli uomini laceri, i bambini piangono e il sangue scorre. L’Africa è tuttavia il continente più ricco del mondo. In questo nuovo capitolo del viaggio che abbiamo intrapreso per “comprendere il mondo musulmano”, Mohamed Hassan ci rivela le origini del paradosso africano e ci ricorda che il Sudan oltre a ospitare diverse etnie e religioni, abbonda sopratutto di petrolio.

Quali sono le origini della crisi in Darfur? L’attore americano George Clooney in qualità di testimonial per “Save Darfur” ha denunciato l’assassinio degli africani per mano delle milizie arabe. Per contro il filosofo Bernard-Henry Levy, che ugualmente cerca di mobilitare l’opinione pubblica internazionale, sostiene che si tratta di un conflitto tra l’islam radicale e l’islam moderato. La crisi nel Darfur è etnica o religiosa?

La vasta regione africana ricca di risorse poteva essere unita e sviluppata…

Chi sostiene che la crisi in Darfur derivi da un problema etnico o religioso, non ha una buona conoscenza dell’area. Questa guerra è economica. Le potenze coloniali del passato e quelle imperialiste di oggi sono responsabili delle sventure dell’Africa. L’intera regione, dal Sudan al Senegal, in passato condivideva le stesse origini culturali e traboccava di ricchezza. Se il colonialismo del 19° secolo, non fosse intervenuto a creare forzatamente dei confini, questa regione poteva essere unita e sviluppata. Io sostengo che questi confini sono artificiosi perché sono stati creati in base ai rapporti di forza tra le potenze coloniali, senza prendere in considerazione la realtà del territorio e ancor meno la volontà del popolo africano. In Sudan, sono stati i coloni inglesi che applicando la politica divide et impera hanno gettato le basi per i conflitti che dilaniano il paese.

Il Sudan era una colonia britannica. Quali interessi aveva l’Inghilterra in questo paese?
Nel 19° secolo, la competizione imperversava in Europa. Nella corsa per l’egemonia, le potenze europee avevano bisogno di risorse umane, finanziarie e materiali: l’espansione del colonialismo consentiva di reperire queste risorse. La Gran Bretagna fino ad allora contava sulla colonia più prospera, l’India, ma una situazione del tutto nuova induceva l’Inghilterra a volgere lo sguardo in Africa: nel 1805, Mohamed Ali, governatore dell’impero ottomano, aveva iniziato a fare dell’Egitto uno stato moderno, i cui confini erano in costante espansione, raggiungendo la costa somala e inglobando il Sudan. Il grado di sviluppo raggiunto da colui che oggi è considerato come il padre dell’Egitto moderno, preoccupò seriamente la Gran Bretagna che vedeva emergere un nuovo concorrente. L’impero britannico invade così l’Egitto, e ne fa una colonia. Per estensione, il Sudan diviene colonia anglo-egiziana nel 1898.

Quali sono state le conseguenze del colonialismo britannico in Sudan?
Come in ogni colonia africana, la Gran Bretagna ha applicato la politica del divide et impera. Il Sudan è stato quindi diviso in due parti: al nord, si salvaguarda l’arabo come lingua ufficiale e l’Islam come religione, al Sud viene imposto l’inglese e i missionari iniziano la conversione al protestantesimo. Nessuno scambio era ammesso tra le due regioni di nuova costituzione. I britannici hanno introdotto anche delle minoranze greche e armene per creare una zona cuscinetto tra il Nord e il Sud!
Inoltre, la Gran Bretagna ha introdotto un moderno sistema economico in Sudan, che potremo chiamare capitalismo. Furono costruite due linee ferroviarie. La prima collegava la colonia all’Egitto, l’altra partiva da Khartoum per raggiungere Port Sudan sulla costa del Mar Rosso. Questa seconda linea costituisce l’asse attorno al quale si è consumato il saccheggio del Sudan: da qui partiva tutta la ricchezza verso la Gran Bretagna o i mercati internazionali. Khartoum divenne una città estremamente dinamica dal punto di vista economico, da cui emerse una borghesia. La divisione operata dalla Gran Bretagna tra Nord e Sud e la scelta di fare di Khartoum un centro dell’attività coloniale avrà un impatto disastroso sulla storia del Sudan. Questi due fattori sono alla base della prima guerra civile del paese.

Quali sono i motivi di questa prima guerra civile?
Quando il Sudan raggiunse l’indipendenza nel 1956, non vi erano relazioni tra le due parti del paese. Il Nord, arabo e musulmano, aveva beneficiato delle attività economiche durante il dominio britannico vista la centralità di Khartoum, snodo di potere e ricchezza. Il Sud, invece, è protestante ed è una comunità africana tradizionale. Nel corso della prima guerra civile, che durerà fino al 1972, il Sud chiede una equa distribuzione della ricchezza. L’accordo di pace raggiunto fa del Sudan uno stato federale.
Ma la pace avrà un breve respiro. Sul finire degli anni Settanta, la compagnia petrolifera americana Chevron scopre importanti giacimenti di petrolio in Sudan. L’allora presidente, Numeri, intende allora modificare i confini dello stato federale per consentire all’autorità centrale il controllo delle risorse petrolifere. Questa violazione dell’accordo di pace rilancia la guerra tra Nord e Sud del paese nel 1980. Questa guerra durerà oltre 25 anni.
Il Sudan è attraversato dal Nilo, a occidente si trova la provincia del Darfur.

In poco più di 50 anni, il Sudan ha vissuto due guerre civili. E oggi, la crisi del Darfur si estende a tutto l’occidente del paese. La situazione etnica sembra ancora esplosiva in Sudan. Cerchiamo di capire perché alcuni media ne parlano come di una polveriera.
E non lo è. La maggior parte dei gruppi etnici che vivono nel nord del paese sono musulmani, fisicamente assomigliano agli egiziani e molti parlano un loro dialetto, tutti conoscono l’arabo che è la lingua ufficiale. Le comunità nel sud sono più tipiche della regione del Nilo. La loro pelle è scura e le religioni dominanti sono il cristianesimo e l’animismo. Ma le guerre civili che hanno opposto le due parti del paese non sono né di origine etnica, né religiosa. Esse, infatti, ruotano attorno alla redistribuzione equa della ricchezza.
Guardate all’attuale situazione in Darfur. Nella provincia vive un’amalgama di etnie: le tribù nomadi arabo-musulmane, come quelle Janjawid e Takawira, accanto ad agricoltori sedentari. Nei periodi di siccità, le tribù nomadi migrano verso gli insediamenti degli agricoltori sedentari e scoppiano i conflitti. L’idea che gli africani siano massacrati dagli arabi è costruita sull’osservazione, erronea, che gli Janjawid siano arabi. Ma in queste tribù, che rivendicherebbero ipotetiche origini arabe, non c’è nulla in realtà che richiami agli arabi di oggi.
Vi è un altro elemento importante di questa crisi di cui si parla molto poco: gli interessi della borghesia locale. Con la scoperta del petrolio, la globalizzazione e lo sviluppo delle reti di informazioni, tutti vogliono una fetta della torta. Allo stesso modo delle élite del Sud, la borghesia del Darfur reclama ora una parte delle ricchezze contro il governo centrale che monopolizza il potere e le risorse. Ciò che rende specifica la crisi nel Darfur è che queste contraddizioni sono state amplificate e politicizzate per via dell’impegno della Cina in Sudan.

Qual è il ruolo della Cina in Sudan?
Dopo la scoperta di importanti giacimenti petroliferi, Chevron ha dovuto lasciare il Sudan per due motivi. In primo luogo, il paese era diventato instabile a causa della seconda guerra civile. In secondo luogo, se gli Stati Uniti avevano goduto fino ad allora ottimi rapporti con il Sudan, il nuovo regime islamico istituito dalla Omar al-Bashir nel 1989 era decisamente ostile. Il petrolio sudanese sfuggiva quindi agli interessi statunitensi. La Cina è approdata in Sudan con il seguente messaggio: “Veniamo a comprare materie prime al prezzo in vigore sul mercato internazionale”. Questa situazione presenta un vantaggio comparato per la Cina e il Sudan: la prima può disporre delle risorse necessarie per il suo sviluppo, mentre la seconda non è più costretta a chiedere denaro in prestito alle istituzioni internazionali. Ma il coinvolgimento cinese in Africa costituisce una novità storica che spaventa gli interessi imperialisti europei e statunitensi.

Che cosa è un vantaggio comparato?
David Ricardo, il più importante degli economisti borghesi dopo Adam Smith, ha sviluppato la teoria chiamata del vantaggio comparato. Questo concetto è stato applicato dal Fondo Monetario internazionale e dalla Banca Mondiale nei paesi del Terzo Mondo nel corso degli ultimi cinquanta anni. Immaginiamo ch’io sia un paese che produce banane. Il FMI viene da me e dice: “Voi producete banane, avete una certa competenza su come farlo e avete dedicato delle risorse umane alla produzione: siete quindi specializzati! Più vi specializzerete nel settore delle banane, tanto più si ridurranno i costi di produzione e sarete maggiormente efficienti. Se seguirete questo metodo, avrete un vantaggio comparato sul mercato e potrete sviluppare il vostro paese”. Io aumento quindi la produzione di banane, ma il mio vicino fa la stessa cosa. Il risultato è che ci sono troppe banane sul mercato! Il consumatore non può mangiarne giorno e notte. Pertanto i prezzi crollano. E’ come se un medico con tantissimi pazienti, prescrivesse a tutti la stessa medicina, indipendentemente dalla malattia.
Quando l’Unione Sovietica e il blocco orientale sono crollati nel 1990, l’imperialismo occidentale ha pensato di poter dominare il mondo. Ma la Cina ha iniziato a diventare più forte economicamente. Oggi, ha bisogno di tutto dalle banane alle noccioline, passando per il petrolio e i minerali. Questo nuovo gigante si presenta ai paesi ricchi di risorse, con il desiderio di comprare le loro materie prime ai prezzi di mercato. Ovviamente, tutti i paesi africani ricchi di risorse volgono lo sguardo alla Cina. Qualsiasi imprenditore che volesse massimizzare i propri profitti lo farebbe! Il capitalismo ha raggiunto l’Asia e l’Africa deve adattarsi a questa nuova situazione.

L’Africa è sempre stata riserva di caccia dell’Occidente. Si tratta di un grande cambiamento.
Questo è il cuore del problema. L’Occidente è molto ambiguo a riguardo. Da un lato, ricava enormi vantaggi economici dal partenariato economico con la Cina. D’altro canto, non accetta che l’Africa tratti con il gigante asiatico. In realtà, le potenze imperialiste non vogliono perdere la loro posizione dominante sul ricco continente africano. Di fronte a questo dilemma, l’Occidente ha un atteggiamento assolutamente vergognoso: invece di affrontare apertamente la Cina, mette sotto pressione i governi africani che sfuggono al suo controllo e sfrutta le crisi umanitarie per i propri interessi.

Come fa l’Occidente a impedire al Sudan di negoziare con la Cina?
Cercando di destabilizzare il regime. Per fare ciò, applica la regola d’oro del colonialismo: divide et impera. Durante la seconda guerra civile, gli Stati Uniti hanno sostenuto finanziariamente l’Esercito di Liberazione Popolare del Sudan, un movimento ribelle del Sud. Mentre il Movimento quindi riceveva denaro e armi, il governo modernizzava il suo esercito grazie alle entrate derivanti dal petrolio: così il conflitto è durato più di venti anni. La seconda guerra civile si è conclusa nel 2005 proprio quando iniziava la crisi nel Darfur.
E’ vero che le contraddizioni tra le tribù nomadi e gli agricoltori sedentari da un lato, e la borghesia locale e l’autorità centrale, dall’altro, hanno condotto a scontri mortali in Darfur. E’ anche vero che su questo fronte, il governo sudanese ha adottato un atteggiamento militarista invece di battere la via del dialogo. Ma le potenze imperialiste ingigantiscono il problema, al fine di mobilitare l’opinione pubblica internazionale e di destabilizzare il regime sudanese. Deve essere chiaro che se domani, Khartoum annunciasse che smetterà di fare affari con la Cina, nessuno parlerà più del Darfur.

Le grandi potenze occidentali possono continuare ad evitare uno scontro diretto con la Cina e mantenere il controllo sulle risorse del continente africano?
L’atteggiamento delle potenze occidentali è vergognoso. Questi paesi imperialisti sono razzisti. Dopo la colonizzazione nel 19° secolo, hanno sempre impedito lo sviluppo dell’Africa con l’obiettivo di mantenere il controllo delle risorse. Ma perché il continente non dovrebbe intrattenere rapporti commerciali con la Cina e l’Occidente si? Perché i bambini in Africa, non devono avere buone scarpe, delle tavole imbandite e delle buone scuole? Le potenze neocoloniali costringono il continente più ricco del mondo in una condizione di sottosviluppo per mantenere il controllo della sua ricchezza.

La mobilitazione per il Darfur è importante negli Stati Uniti. Molte organizzazioni ebraiche hanno aderito a questa campagna. Perché?
I motivi di questo coinvolgimento sono principalmente di ordine storico. Nel lungo conflitto che ha opposto Israele all’Egitto, il Sudan occupa una posizione strategica. Infatti, il Nilo passa attraverso il paese prima di raggiungere l’Egitto. Oggi, Tel Aviv e il Cairo sono in ottimi rapporti, ma vista la simpatia del popolo egiziano per la causa palestinese, l’accordo potrebbe deteriorarsi. In una prospettiva a lungo termine, Israele sa che i suoi interessi strategici in Sudan sono importanti. Infatti, se Israele controlla l’acqua del Nilo, controlla anche l’Egitto. Durante la prima guerra civile sudanese, Israele ha già sostenuto il movimento ribelle Anyanya nel Sud, per indebolire il Presidente egiziano Nasser. Oggi, quando due movimenti del Darfur hanno già firmato un accordo di pace con Khartoum, Israele sostiene l’ultimo gruppo che continua a combattere. E’ per questo motivo che il leader libico Gheddafi ha detto che la crisi del Darfur non è più un problema sudanese ma israeliano!
Bisogna inoltre sapere che le organizzazioni sioniste che sono coinvolte nella campagna di mobilitazione per il Darfur negli Stati Uniti hanno inizialmente manifestato la volontà di creare un fronte comune con le associazioni afro-americane. Una delegazione di Nation of Islam, guidata dal suo leader Louis Farrakhan, è andata così in Sudan, ha analizzato la situazione e ha avuto una discussione con il governo e il Presidente Omar al-Bashir. L’organizzazione ha espresso la sua decisione: il problema in Darfur non ha nulla a che fare con i Neri e con gli Arabi. Pertanto, il progetto di alleanza voluto dalle organizzazioni sioniste è naufragato.

Le reazioni a seguito della sentenza della Corte Penale Internazionale che ha emesso un mandato d’arresto nei confronti del Presidente Omar al-Bashir, non sono state omogenee. Gli Stati Uniti e la Francia hanno dichiarato che il Presidente sudanese deve essere giudicato. La Cina e i paesi arabi ritengono invece che ciò potrebbe destabilizzare ulteriormente il paese.
Io credo che una Corte che ascolta solo una campana, non è una Corte. Permettetemi di fare alcuni esempi. Il popolo della Somalia, è da sempre dilaniato dalla guerra. Ma nei primi mesi del 2006, un’intifada condotta sotto la guida del Consiglio Islamico, è riuscita in maniera pacifica a sopraffare i Signori della guerra. Hanno restaurato la pace in molte parti del paese. Il commercio ha ripreso, gli agricoltori sono tornati a lavorare e la comunicazione nella società è cresciuta. La speranza era tornata! Sei mesi più tardi, il regime fantoccio di Etiopia, manipolato dalla CIA e dai neocons statunitensi, ha invaso la Somalia. Il conflitto ha prodotto due milioni di profughi somali, sono morti 60.000, alcuni sono annegati nell’Oceano Indiano nel tentativo di raggiungere lo Yemen. L’Etiopia ha usato bombe napalm contro i civili a Mogadiscio e ha distrutto quasi tutta la città! Perché i media non hanno allertato l’opinione pubblica su questa tragedia? Perché non c’è una Corte Internazionale contro gli autori di questa tragedia?
L’Uganda ha distrutto il Congo equatoriale e depredato il suo oro. Per giustificare la sua legittimità, la Corte ha preso Jean-Pierre Bemba, un pesce piccolo. Ma l’autore di questo piano disastroso, il governo ugandese, è libero. Attualmente, le sue truppe uccidono i civili in Somalia. Perché non c’è una Corte contro di loro?
Nel 1998, l’Etiopia ha avviato una guerra in Eritrea. In stile pienamente nazista, ha spogliato dei beni gli etiopi di origine eritrea. Diverse migliaia di eritrei sono stati inviati in campi di concentramento dove molti sono morti di malaria e di altre infezioni. Perché non c’è nessuna Corte Internazionale che agisca nei confronti di questi criminali?
Un milione di iracheni sono stati uccisi. Quattro milioni sono profughi. Uno Stato moderno è stato distrutto illegalmente. Perché non c’è nessun giudice contro Cheney, Rumsfeld e Bush?
L’industria diamantifera del Sud Africa ha devastato la Sierra Leone. Questa e nessun’altro ha portato l’ex presidente liberiano Charles Taylor dinanzi al Tribunale Internazionale sulla base di false accuse che lasciano perplessi circa l’integrità di questa Corte.

Dei crimini sono comunque stati commessi in Darfur. Anche se la Corte Penale Internazionale non è imparziale, Omar al-Bashir non dovrebbe essere giudicato?
Non nego che siano state uccise delle persone in Darfur. Ma parlare di genocidio è un’esagerazione di una Corte imperialista che non è neutrale. Tutti i partiti politici in Sudan, sono concordi che questo mandato d’arresto viola la sovranità del paese. Il giudizio su Omar al-Bashir deve essere lasciato agli africani. La Corte Internazionale risponde all’obiettivo di fare pressione sul Presidente in modo che si arresti il commercio con la Cina e si torni a “fare affari” con l’Occidente. Probabilmente non funzionerà con il Sudan, ma è comunque un segnale per gli altri paesi che ne volessero seguire l’esempio.

Gli agricoltori sudanesi devono affrontare gravi problemi di siccità. Il governo non può utilizzare le entrate del petrolio per costruire strutture di irrigazione? In generale, perché un paese, che alcuni paragonano all’Arabia Saudita per risorse petrolifere, è così povero?
In Europa, vi sono paesi poveri con gente ricca. Al contrario, il Sudan è un paese ricco con povera gente. E’ vero che il governo sudanese avrebbe potuto stanziare le entrate del petrolio in modo efficace, ma il fatto è che non ha soluzioni progressiste per l’intero paese. Da parte sua, la borghesia locale è gravemente colpita dalla corruzione (1). Dopo l’accordo di Naivasha, che ha segnato la fine della seconda guerra civile, il Sud ha ricevuto sei miliardi di dollari a titolo equa redistribuzione della ricchezza. Ma con tutto questo denaro, non è stata ancora costruita una scuola! Il Sudan ha quindi bisogno di una vera e propria risposta, che però non può venire da noi, quanto dal popolo sudanese stesso.

La soluzione potrebbe essere il confederalismo o il federalismo?
Questa soluzione è stata sostenuta dagli Stati Uniti per porre fine al conflitto con il Sud ed è oggi ventilata per risolvere la crisi nel Darfur. Un referendum dovrebbe presto determinare lo status di queste due regioni. L’interesse delle potenze occidentali sono elevati: se non possono negoziare lo sfruttamento di petrolio con Khartoum, lo potranno fare con le regioni autonome.
Ma il federalismo non è la panacea di tutti i problemi politici del mondo. In Belgio, coesistono tre comunità linguistiche: quelle di lingua olandese, francese e tedesca. Il federalismo è stato istituito su base linguistica, con la conseguenza di creare delle frontiere. Il Belgio ha un piccolo territorio, ma ha sei governi, 550 deputati e 55 ministri: il rapporto pro-capite più elevato al mondo! Nonostante questo esercito di politici, il paese attraversa regolarmente dei problemi federali. In Svizzera, per contro, il federalismo si basa sui cantoni, che rende il sistema molto più efficiente. Mentre il 75% della popolazione parla il tedesco, il Parlamento svizzero si esprime in francese, senza problemi. Ed ecco dove ci troviamo: la borghesia sudanese vuole un federalismo sul modello belga.

Come possiamo superare la crisi in Sudan?
Il Sudan è un paese ricco, che ha ricevuto tutto ciò che la natura può dare. Ma per sua sfortuna, non vi è alcun movimento che possa unire la popolazione attorno alla costruzione di una società democratica, unita e egualitaria; un Sudan senza sciovinismo e discriminazione; un Sudan che utilizzi tutte le sue risorse per costruire un solido futuro al suo popolo. I partiti esistenti, compreso il regime militare, raccomandano qualsiasi slogan: socialismo soudanese, arabo o islamico, nazionalizzazioni o privatizzazioni …… ma non sono in grado di integrare e portare il paese sulla via della democrazia moderna e progressista. La borghesia che guida il paese mette i suoi interessi davanti a quelli della nazione. Tuttavia, la crisi economica e il calo dei prezzi delle materie prime non garantiscono le entrate del passato. Il numero dei poveri aumenta. Vi sono le condizioni per l’emergere di ciò che il Sudan ha più bisogno: una resistenza progressiva e democratica.

30 marzo 2009

 

Nota:
(1) http://www.southsudannation.com/pres 20afwerki%% 20interview4.htm

 

Mohamed Hassan raccomanda inoltre le seguenti letture:

Oil in Sudan: Facts and impact on Sudanese Domestic and International Relations

Oil in Darfur? Special Ops in Somalia?

 

da Michel Collon

http://www.michelcollon.info:80/index.php?view=article&catid=6&id=1973&option=com_content&Itemid=11

Traduzione dal francese per www.resistenze.org ( n. 269 – 13 aprile 2009) a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare