Sui recenti sviluppi della guerra civile

 

Nel dicembre del 2006 l’Unione delle Corti Islamiche – che solo nel giugno precedente erano riuscite a conquistare Mogadiscio sbaragliando le ultime roccaforti dei Signori della guerra al soldo Stati Uniti D’America – dovette ingaggiare a Jowhar una furibonda battaglia contro i loro nemici. Questi non avrebbero potuto vincerla se non fossero stati  spalleggiati, oltre che dall’aviazione nord-americana, da soverchianti truppe d’invasione etiopiche.

La buona notizia è che 17 maggio scorso, dopo tre anni di ritirate e contrattacchi, la Resistenza somala, con uno strategico capovolgimento di fronte, ha riconquistato Jowhar, porta dalla quale si accede a Mogadiscio, che infatti, mentre scriviamo, è largamente liberata. Non dalle Corti questa volta, ormai dissoltesi, ma da una nuova Alleanza capeggiata da quella che era al tempo una delle sue frazioni più intransigenti, Harakat Shabaab al-Mujahidin, movimento più comunemente noto come al-Shabaab, i giovani, già inserita dagli U.S.A. (febbraio 2008) nella Black List delle organizzazioni terrroriste.

 

Pretese americane ed equilibri regionali

Proprio perché le complicate e alterne vicende della guerra civile che si trascina dal 1991 hanno fatto di Jowhar e della provincia del Medio Shabelle il campo di battaglia che ha sempre deciso chi vincesse la partita, l’ultima svolta della guerra civile somala merita la massima attenzione.
L’importanza che le potenze imperialistiche assegnano alla Somalia è nota, e ciò spiega sia l’intervento diretto degli Stati Uniti del dicembre 1992, denominato Restore Hope, con tanto di appoggio di truppe italiane, come pure quello per interposta persona, ovvero dell’Etiopia del dicembre 2006. Nè va dimenticata la presenza sul territorio somalo di migliaia di peacekeepers inviati dall’Unione Africana, in verità mercenari al servizio dell’ormai moribondo “governo” presieduto da Sharif Ahmed.
Da che dipende dunque questa importanza? A sentire gli invasori e i loro ascari essa dipenderebbe dal fatto che la Somalia sarebbe un covo di terroristi musulmani, più precisamente di frazioni legate ad al-Qaida (che in Somalia si combatterebbe dunque, come del resto in Afghanistan, la guerra della democrazia contro le tenebre). Certo, quella di contrastare l’espansione dell’Islam politico (non quindi solo delle frazioni più militariste) è una ragione importante, ma non quella decisiva. Quella fondamentale, che spiega quella strombazzata, è di natura geopolitica, visto che chi controlla la Somalia, oltre a tenere sotto tiro il Corno d’Africa, ci tiene tutto l’oceano indiano orientale, un’area a suo tempo segnata dall’egemonia dell’URSS. Gli Stati Uniti non potevano e non possono permettersi, mentre coltivano l’ambizione di essere e restare impero unico, ovvero la sola superpotenza planetaria, che questo paese sfugga dal loro controllo o, addirittura, che cada in mano di forze ostili.
La rognosa vicenda della pirateria dissipa ogni dubbio riguardo all’importanza di dominare il Corno d’Africa, dato che di qui passa, galleggiando su enormi cisterne galleggianti, gran parte del petrolio estratto nel Golfo Persico. Un’importanza accentuata recentemente dalla entrata in scena del Sudan come potenza petrolifera, paese  che è tra i primi fornitori di greggio della Cina. Per cui chi controllasse il Golfo di Aden avrebbe la possibilità teorica di tagliar fuori la Cina da una delle sue principali fonti di rifornimento. Non è quindi un caso che tutti i paesi dell’area siano coinvolti, direttamente o indirettamente nel conflitto somalo: con l’Etiopia, Gibuti, l’Uganda e Kenia schierati contro la Resistenza, e il Sudan e l’Eritrea collocati sul fronte opposto.
Va da sé che il successo della Resistenza somala avrebbe profonde ripercussioni sugli equilibri regionali, sancendo uno spostamento dei rapporti di forza a favore dell’asse antiamericano e antimperialista.

 

Una battaglia vinta non è la fine della guerra

La conquista della piazzaforte di Jowar, abbandonata senza combattere dalle forze lealiste (questo rovescio è ancor più pesante per il presidente Sharif Ahmed, dato che il suo clan ha il suo feudo proprio a Jowhar) e la veloce marcia su Mogadiscio potrebbe far pensare ad una definitiva vittoria della Resistenza, in particolare del suo nerbo attuale, al-Shabaab. Non è così. Gli imperialisti occidentali, U.S.A. in primis, hanno preso sì esemplari legnate in Somalia, ma non invano. Facendone le spese essi hanno compreso quanto complicata e solida sia in questo paese la struttura tribale e per clan, per cui essi stanno adesso ordendo una nuova trama per dividere e fiaccare la Resistenza, tentando con ogni mezzo (anzitutto elargendo montagne di dollari e armando fin ai denti i loro lacchè locali) di portare dalla loro questo o quel clan, questa o quella tribù. La Resistenza non è infatti un blocco granitico: essa per prima, proprio per sperare di riportare una definitiva vittoria, deve tener conto di questa struttura e compiere complesse mediazioni tra i clan di questa e quella zona, evitando quindi mosse sbagliate che potrebbero inimicarle la simpatia della maggioranza della popolazione. Per quanto con dinamiche peculiari, dipendenti dalla solidità di un tessuto sociale di tipo pre-capitalistico, e dal peso di un Islam di radici sufiste e quindi ben poco salafita, anche qui vale la regola per cui nessun regime può reggersi a lungo senza un forte consenso popolare. E che questo consenso debba passare anzitutto per quello di capi clan e capi tribù non inficia questa regola.

L’avanzata poderosa delle milizie di al-Shabaab, non deve quindi trarre in inganno riguardo alla solidità delle conquiste compiute. Se è vero che alcune frazioni al-Shabaab hanno abbracciato una visione wahabbita dell’Islam, proprio questo potrebbe essere il loro futuro Tallone d’Achille. Nel caso che al-Shabaab volesse imporre un regime autoritario e fondamentalista, riteniamo che la vittoria avrebbe respiro breve e gli U.S.A. avrebbero facile gioco a riportare dalla loro molti capi clan e capi tribù che recentemente hanno abbandonato il governo fantoccio di Sharif Ahmed, rinserrato da due settimane attorno al palazzo presidenziale a Mogadiscio.
Al-Shabaab è infatti solo una componente, per quanto la più agguerrita, del fronte ampio della Resistenza. I giovani miliziani di Al-Shabaab combattono infatti in nome della  Alleanza per la Ri-liberazione della Somalia, fondata nel gennaio 2007 (subito dopo l’arrivo degli etiopi e la ritirata delle Corti Islamiche) da dirigenti somali in esilio in Eritrea. Questa Alleanza per sua natura variegata era la risposta della Resistenza agli avversari i quali, malgrado l’intervento militare diretto di etiopi e americani, oltre all’appoggio dei famigerati Signori della Guerra, erano riusciti a portare dalla loro parte diversi clan e tribù fino ad allora ostili, dando quindi una parvenza di legittimità al governo fantoccio sostenuto dall’invasore etiopico capeggiato da Abdullahai Yusuf, eletto presidente da una pseudo Conferenza Nazionale di Riconciliazione sponsorizzata dagli U.S.A.
L’inarrestabile avanzata della Resistenza ottenne una prima vittoria nel dicembre del 2008 obbligando Yusuf a fuggire a Gibuti e l’invasore etiopico a ritirarsi nel gennaio del 2009. Tuttavia, la lotta doveva continuare, proprio perché gli avversari della Resistenza furono capaci di dividerla, portando dalla loro parte non solo clan importanti ma addirittura Sharif Ahmed, ovvero uno dei dirigenti delle Corti Islamiche, un rinnegato che accetterà di diventare presidente il 1 febbraio di quest’anno. Un burattino che pur di tenere il paese nella sfera d’influenza americana, seguendo l’esempio di Kharzai in Afghanistan, è giunto addirittura ad introdurre la Sharia. Una mossa astuta, grazie alla quale gli imperialisti e i loro alleati somali sperarono di indebolire la Resistenza e fermarne l’avanzata. Ottennero così un po’ di ossigeno. Le stesse Nazioni Unite legittimarono questo tentativo, approvando una risoluzione che estendeva il mandato dei circa 5mila mercenari ugandesi e del Burundi.

Non sufficiente tuttavia, visto come si stanno mettendo le cose, a capovolgere le sorti della guerra civile. Mentre le truppe somale agli ordini di Sharif Ahmed si stanno squagliando, continuano a combattere per difenderlo solo le truppe mercenarie ugandesi e del Burundi. E siccome ciò non sembra essere sufficiente, varie agenzie hanno affermato che truppe etiopiche sono di nuovo entrate in Somalia tra il 17 e il 19 maggio, nel disperato tentativo di difendere gli ultimi santuari delle forze lealiste.
Che sembrano (e noi lo speriamo) destinate a soccombere nei prossimi giorni, salvo un nuovo massiccio intervento sulla capitale degli etiopi spalleggiati ancora una volta dall’aviazione americana.