Bilancio di un decennio di catarsi collettiva
L’11 gennaio 1992, cancellando i risultati delle elezioni che videro il cartello islamista del Fis vincente, l’esercito algerino, attraverso un colpo di stato apparentemente incruento, conquistò il potere. Era in realtà l’inizio di una cruenta e devastante guerra civile che durerà per circa dieci anni. Condannammo allora quel golpe, che venne invece sostenuto apertamente dai paesi imperialisti, e meno apertamente, in nome di un fallace laicismo, da certa sinistra progressista. Qual’è la situazione in Algeria a quasi vent’anni di distanza? Crediamo di fare cosa utile ai nostri lettori pubblicando questo efficace reportage.Dieci anni fa, il 13 gennaio del 2000, entrava in vigore la legge sulla “Concordia Civile”, la cui chiave di volta era la grazia e il “perdono” per i circa 6mila combattenti dell’AIS (Esercito islamico salvezza, l’ala militare del FIS, Fronte islamico di salvezza) che avevano preso le armi contro il regime nei primi anni novanta sotto la guida di Madani Mezrag. Sulla base di questo approccio il presidente Abdelaziz Bouteflika aveva indetto, nel settembre 1999, un referendum chiedendo il sostegno popolare alla politica del perdono. E’ così che i “criminali”, un termine generico del lessico ufficiale per designare i membri dei gruppi salafiti armati, sono diventati gli “smarriti”, chiamati a trovare la strada giusta per tornare a casa.
Cinque anni dopo, nel settembre 2005, il governo è dovuto ricorrere nuovamente al suffragio universale per trasformare la legge sulla “Concordia Civile” in una vera e propria “Carta per la riconciliazione nazionale”. Da allora gli eventi che sconvolsero l’Algeria negli anni ‘90 sono chiamati “tragedia nazionale”, dando il diritto al risarcimento delle vittime dirette (militari e ribelli) o collaterali (civili e scomparsi).
Più di 2.200 islamisti processati e condannati per atti di terrorismo sono stati scarcerati e circa 300 combattenti del “Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento” (GSPC) hanno deposto le armi e sono diventati “pentiti”. A dieci anni di distanza, quali conclusioni possiamo trarre da questa “pace dei coraggiosi” in Algeria?
Un’opzione “irreversibile”
Il netto miglioramento della situazione della sicurezza è senza dubbio il risultato della “Riconciliazione nazionale”. Ma se questa è riuscita a spopolare la macchia e a limitare le risorse dei gruppi armati, essa è anche una delle cause della radicalizzazione degli islamisti irriducibili. Sei mesi dopo la sua entrata in vigore, nel marzo 2006, il GSPC di Abdelmalek Droukdel decide di giurare fedeltà alla organizzazione di Osama Bin Laden, rinominandosi nel febbraio 2007 “Al-Qaeda nel Maghreb Islamico” (AQIM). A cambio di nome, cambio di strategia.
Nel mese di aprile 2007, ci furono i primi attacchi suicidi contro il Palazzo del Governo e la direzione della polizia. Quindici anni dopo la sua comparsa, la guerriglieria islamista algerina adotta così il modus operandi di Al Qaida in Iraq e in Afghanistan.
Con grande dispiacere dei suoi critici, avversari di qualsiasi concessione alle “forze negative” (un termine mutuato dai ruandesi, che in tal modo chiamano le forze genocidiarie), la “Riconciliazione nazionale” non è stata messa in discussione da questi nuovi attacchi. Al contrario, questi ultimi ne hanno consolidato le fondamenta: poche ore dopo essere sfuggito, nel settembre 2007 a Batna, ad un tentativo d’attacco suicida portato al convoglio presidenziale, Bouteflika garantiva infatti i notabili della città che la “opzione della riconciliazione nazionale è irreversibile “.
Il riflusso degli atti terroristici ha avuto ripercussioni economiche. Durante il decennio buio, l’economia algerina aveva registrato perdite di oltre 20 miliardi di dollari. Diversi grandi progetti (l’aeroporto e la metropolitana di Algeri, l’autostrada est-ovest, il passante ferroviario dell’alto piano, ecc.) vennero bloccati per motivi di sicurezza. La diminuzione della violenza non solo ha permesso di riavviare questi progetti, ma ha anche aperto la strada per un ambizioso programma di investimenti pubblici (oltre 200 miliardi di dollari in dieci anni). La “Riconciliazione” ha infine portato alla reintegrazione di circa 6.500 combattenti, e alla scarcerazione di oltre 2.500 prigionieri islamici.
Che cosa è successo agli islamisti liberati?
Sostenuta da una schiacciante maggioranza della popolazione (oltre il 90% dei voti nel referendum del 1999 e 2005), la “Riconciliazione nazionale” è comunque stata un’operazione complessa. “Essa suggerisce alla società di accettare senza riserve la riabilitazione dei colpevoli di atti di barbarie che sono particolarmente difficili da perdonare o da dimenticare”, ha sottolineato l’avvocato Mohamed Nadir Bouacha. Ma nel complesso, non c’è stata vendetta contro i pentiti. In compenso più di 200 di loro sono stati “giustiziati” dai loro ex soci. Quanto al numero dei beneficiari della “Pace dei coraggiosi” che hanno approfittato delle misure di clemenza per tornare alla macchia, si stima (dati dei servizi di sicurezza) che non siano stati più di 300, meno del 4% di quelli rilasciati o che abbiano deposto le armi . Tra di loro c’erano due autori di un attacco kamikaze nella capitale nel 2007.
Affinché il loro reinserimento sociale avesse successo, gli islamisti hanno evitato di tornare alle loro città o villaggi natali. Coloro che hanno potuto permetterselo hanno scelto l’anonimato delle grandi città, dove i loro trascorsi non sono noti. Pochi di loro hanno trovato il lavoro che avevano prima della guerra, ciò anche a causa dei mutamenti subiti dall’economia. Le loro vecchie aziende sono scomparse, privatizzate, o hanno cambiato attività. “La maggior parte vengono riciclati nell’economia informale, già occupata dai loro mentori, gli emiri”, dice un alto ufficiale dell’esercito. Il settore dell’istruzione è stato uno dei principali fornitori della guerriglia, così il governo è stato attento e ha vietato il ritorno dei pentiti nelle scuole, nei collegi o nei licei. Questa decisione ha provocato l’ira degli ex-leader degli islamisti, tra cui Madani Mezrag, che ha denunciato “il mancato rispetto degli impegni da parte dello Stato”.
I dimenticati della Riconciliazione
Tenuti alla discrezione, gli attivisti liberati preferiscono utilizzare le reti islamiche, che rimangono attive, impegnandosi nel riciclaggio di denaro e nel “business”. Questo va da piccole bancarelle di frutta e verdura in un mercato pubblico alle grandi operazioni commerciali. Ma si resta nei settori legati al proselitismo, come l’organizzazione della importazione e distribuzione di letteratura religiosa dal Cairo e Damasco.
Se gli ex-guerriglieri non hanno ricevuto alcun aiuto finanziario da parte del governo, le famiglie povere dei terroristi morti hanno diritto al risarcimento. Secondo Merouane Azzi, capo del Dipartimento di Riconciliazione presso il Tribunale di Algeri “più della metà delle 50mila domande di risarcimento sono state trattate, ma 25mila, secondo la legge, non hanno diritto ad alcun indennizzo da parte dello Stato”. Il costo totale di queste operazioni ha raggiunto oltre 12 miliardi di dinari (circa 120 milioni di euro). Questi indennizzi riguardano anche le famiglie degli scomparsi vittime della polizia. Del 7mila casi censiti, 6.540 hanno ricevuto un indennizzo di 700 mila dinari (7mila euro) per ogni persona scomparsa. Circa 500 famiglie hanno rifiutato questo obolo e continuano il loro sit-in settimanale per chiedere la verità sulla sorte dei loro familiari.
Paradossalmente, le vittime collaterali della “Pace dei coraggiosi” si trovano tra i funzionari di stato. Il governo ha abbandonato al loro destino proprio le vittime della Tragedia nazionale che si sono battuti per la Repubblica. Stiamo parlando di coloro che sono rimasti disabili a vita, a causa di un attacco magari ad un paio di settimane dalla smobilitazione, stiamo parlando dei “patrioti” (civili che hanno preso le armi contro gli islamisti), di coloro senza status, dei diplomatici e dei funzionari colpiti da un attacco terroristico …
Nel maggio del 2009, in occasione della sua dichiarazione politica davanti al Parlamento, il Primo Ministro Ahmed Ouyahia aveva chiesto scusa a questa categoria di vittime della “Tragedia nazionale” e ha promesso un trattamento rapido delle le loro richieste. Sei mesi più tardi, il18 dicembre 2009, un centinaio di dimenticati dell “Riconciliazione” si sono concentrati, la maggior parte in sedia a rotelle, a El-Mouradia. A differenza degli insegnanti in sciopero, non sono stati molestati dalla polizia. Un consigliere del Presidente ha anche ricevuto le loro rimostranze e fatto nuove promesse.
* Tratto da: Jeune Afrique del 19 gennaio 2010
(traduzione a cura della Redazione)