Il Governo somalo di Transizione (in sella dal 2007), sostenuto dagli USA e dalle potenze occidentali e guidato dall’ex-esponente delle Corti Islamiche, lo sceicco Sharif Ahmed, ha firmato un accordo con un gruppo di miliziani “islamici moderati”, ottenendone l’appoggio, il tutto mentre è in cantiere un’offensiva militare contro i gruppi islamici radicali, i quali controllano una parte della Somalia (anzitutto meridionale e centrale, mentre le truppe governative controllano pochi isolati della capitale Mogadiscio).
Il gruppo in questione è lo Ahlu Sunna Waljamaca (ASWJ), un movimento costituito da “musulmani moderati”, ovvero di tradizione sufi. L’accordo è stato siglato lunedì scorso ad Addis Abeba, capitale di uno stato, l’Etiopia, che sotto la spinta USA invase la Somalia nella speranza, rivelatasi vana, di sradicare le due organizzazioni islamiste combattenti egemoni: al-Shabab e Hizbul Islam.
Il leader spirituale dell’ASWJ, lo sceicco Sheikh Mahmoud Hassan, svelando una delle ragioni dell’accordo, ha affermato che ora la “comunità internazionale”, leggi gli USA e i loro alleati, debbono sborsare una bella somma di quattrini se vogliono davvero vincere la lotta contro al-Shabab e Hizbul Islam (evidentemente il fiume di dollari già versato non basta).
Durante la cerimonia che ha accompagnato la firma dell’accordo, lo sceicco Mahmoud Hassan ha detto ai media che “Questa non è una lotta contro qualcuno, ma contro una ideologia… Vogliamo salvare non solo il popolo della Somalia ma pure la reputazione della vera fede islamica.” (al-Jazeera)
Egli sta recitando la parte che i suoi pupari obamiani gli hanno assegnato, far credere che la guerra civile in Somalia non è anzitutto tra chi combatte per liberare il paese dalla morsa imperialista e i fantocci degli americani, ma, al contrario, una lotta tra due diverse concezioni dell’islam. Una guerra di religione tra musulmani insomma, tra wahaabiti e anti-wahaabiti.
Che quest’aspetto costituisca un fattore del conflitto è indubbio. La questione è se esso sia davvero quello determinante.
Va comunque detto che la Somalia ha una tradizione sufi molto forte, risalente a più di cinque secoli fa. Le tribù Sufi del paese, spesso a ragione, non hanno mai digerito l’estremismo dei wahaabiti e si sono sempre opposte alle loro pratiche e alla loro rigorista applicazione della Sharia, tra cui la decapitazione dei chierici considerati nemici o il divieto di celebrare la nascita del Profeta Muhammed.
Abdirashid Omar Ali Sharmarke, il primo ministro somalo, ha dichiarato che in base all’Accordo di Addis Abeba l’Ahlu Sunna Waljamaca avrà cinque ministeri nonché alcuni posti come vice comandanti nelle forze armate, nella polizia e nei servizi di intelligence. Lo stesso primo ministro, non senza esagerare, ha poi affermato: “Questo accordo è una vittoria per la pace e una pesante sconfitta per i gruppi estremisti… Questa giornata passerà alla storia come il giorno della pace per il popolo somalo e per la regione nel suo complesso”.
Mentre il governo, forte dei suoi nuovi alleati, si prepara ad una controffensiva, i ribelli stanno intensificando gli attacchi in varie parti della capitale. Il portavoce di Hizbul Islam, Sheikh Mohamed Osman, ha affermato che “Ahlu Sunna Waljamaca pagherà a caro prezzo il suo sostegno ad un governo corrotto che ha poca influenza al di fuori Mogadiscio… L’accordo di Addis non avrà alcun impatto positivo, causerà solo l’autodistruzione di Ahlu Sunna Waljamaca” (reuters).
Intanto a Dubai, Lunedì 15 marzo, proprio mentre ad Addis Abeba veniva siglato l’Accordo di cui sopra, politici islamici somali, intellettuali e studiosi, hanno tenuto una conferenza alla quale cui ha partecipato anche il primo ministro Sharif Ahmed.
Com’è d’obbligo in simili casi, la Conferenza ha invitato tutte le frazioni e le tribù in lotta a deporre le armi immediatamente e avviare colloqui diretti.
Consapevole dell’estrema debolezza del governo ufficiale, la Conferenza ha poi esortato il combattenti anti-governativi ad entrare nel governo e nel parlamento e lasciare che i giureconsulti e i saggi religiosi dirimano il conflitto endemico che dilania il paese.
Si calcola che siano almeno 21.000 i somali uccisi dall’inizio del 2007, mentre 1,5 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case e circa 500.000 sono diventati rifugiati nei paesi limitrofi.
Nel frattempo, a conferma dell’impatto regionale del conflitto somalo, le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto accusando l’Eritrea di sostenere i combattenti anti-governativi in Somalia, poi, dando una botta al cerchio e una alla botte, hanno anche descritto le forze filo-governative somale come “corrotte, indisciplinate e inefficienti”.