Meno uno!

Ben Ali cacciato dalla rivolta popolare!
Quella vinta oggi è solo una battaglia di una lunga guerra, in Tunisia e non solo. Ma è la prima vittoria nelle lotte accese dalla crisi capitalistica. Il messaggio ai popoli oppressi, a quelli del Nord Africa in particolare, è chiaro: vincere è possibile, lottare è necessario!

L’indecorosa fuga di Ben Ali segna una svolta nella crisi tunisina. Certo, la coraggiosa gioventù tunisina, che tanto ha da insegnare a quella ben più rammollita dell’occidente, ha vinto soltanto una battaglia. Le sorti della guerra di classe che ha incendiato il piccolo paese mediterraneo sono invece ancora tutte da giocarsi. E’ normale che sia così, ma questo lo vedremo nel prossimo futuro.

Come nella più classica fine di tutti i tiranni, gli ultimi giorni del potere di Ben Ali sono stati ad un tempo sanguinosi e farseschi. Del sangue sappiamo quasi tutto, a stasera la contabilità dei manifestanti uccisi dalla polizia ha raggiunto quota 66 ma probabilmente sono molti di più. La farsa sta invece nella confusione delle direttive presidenziali: prima la repressione più dura, poi la mezza apertura sui prezzi e un atteggiamento più soft della polizia (di cui in realtà non si è vista traccia), oggi il dimissionamento del governo e l’annuncio di nuove elezioni, infine la fuga. Così finiscono spesso le tirannie.

Ma finiscono così se il movimento popolare è forte, determinato, se sa tenere la piazza, se non solo non si spaventa di fronte alla violenza, ma la sa usare a sua volta al momento opportuno. E’ questo che è avvenuto in Tunisia, è questo l’insegnamento più generale che ci viene da un mese di lotte durissime.

Ora non possiamo prevedere cosa accadrà nei prossimi giorni. Il direttorio guidato dal presidente del parlamento, Fouad el-Mabzaa, non promette ovviamente nulla di buono. Non sappiamo però quale potrà essere la sua forza, che appare del tutto condizionata dal sostegno delle forze armate. E’ stato proclamato lo stato d’emergenza, mentre lo spazio aereo è stato chiuso e l’esercito ha preso il controllo degli aeroporti.

Intanto oggi Tunisi è stata percorsa da centomila manifestanti. Fra gli altri obiettivi sono stati presi d’assalto il Ministero dell’interno e la Banca Centrale. Ma quello che colpisce è che manifestazioni e scontri si registrano in tutto il paese, anche in numerosi centri medio-piccoli.

Ben Ali, messo al potere nel 1987 dai servizi italiani e francesi, ha avuto il sostegno dell’occidente fino a pochi giorni fa. La motivazione? La solita: meglio un tiranno che un governo con le forze popolari di sinistra e gli islamisti. Poi, ma solo 3 giorni fa, americani ed europei hanno cominciato a parlare di «uso eccessivo della forza», un’ipocrita fraseologia che ricorda i discorsi imperanti in occidente durante i bombardamenti israeliani a Gaza nel 2008-2009, e prima ancora quelli sulle stragi sioniste in Libano nell’estate 2006.

Adesso tenteranno di difendere in tutti i modi i loro interessi, cercando di garantirsi un nuovo governo “amico”. Non solo per i loro affari (solo gli industriali italiani hanno più di 700 fabbriche in Tunisia), ma soprattutto per cercare di contenere un messaggio politico che travalica le frontiere del piccolo paese del Nord Africa. Ci riusciranno? Dipenderà da molte cose. Anche e soprattutto dal quadro generale della regione. Reggerà la calma apparente calata da qualche giorno sull’Algeria? E cosa succederà in Egitto, in Marocco, in Giordania?

Lo vedremo, intanto dobbiamo registrare la vittoria di oggi. La prima vittoria significativa di un movimento prodotto dalla crisi capitalistica. Qualcuno dirà che si è trattato soltanto di una ribellione contro un regime corrotto, dato che la Tunisia registrava, fino a dicembre, elevati tassi di crescita economica.
Falso. Al di là delle impressionanti disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza, la rivolta è scoppiata sia per la crescita della disoccupazione, frutto anche della chiusura della tradizionale valvola di sfogo dell’emigrazione verso un’Europa oggi in crisi, sia per un aumento dei prezzi alimentari determinato dalla speculazione internazionale che agisce su questi prodotti al pari di quel che fa su titoli, monete, materie prime di natura energetica, eccetera.

Il popolo tunisino non ha sofferto soltanto la politica del regime di Ben Ali, ha sofferto anche i costi sociali del liberismo e del capitalismo-casinò. Per questo si è ribellato, dimostrando che la ribellione paga.
E chi vorrebbe ribellioni non-violente e “politicamente corrette” in ogni angolo del mondo, ha oggi  un’occasione per riflettere. La vittoria del coraggioso popolo tunisino anche di questo ci parla, ed anche per questo gli diciamo grazie.

PS – oggi abbiamo informato sull’arresto di Hamma Hammani, portavoce del Partito Comunista Operaio Tunisino (PCOT). Questa sera, fonti del PCOT a Parigi hanno annunciato la liberazione di Hammani.  Un’altra buona notizia al termine di una giornata davvero importante.