L’intervento di Rachid Ghannouchi a Reggio Emilia
«La rivoluzione tunisina sarà pienamente riuscita quando metterà i suoi uomini migliori alla guida del Paese»

«Insieme per la rinascita», questo il tema dell’incontro con il leader del partito di Nahda, che si è svolto domenica pomeriggio a Reggio Emilia. Nel palazzetto dello sport della città emiliana circa tremila persone, provenienti dalle comunità immigrate di tante città italiane, hanno accolto ed acclamato Rachid Ghannouchi (foto), presidente del partito islamico tunisino.

La Tunisia è in campagna elettorale per l’elezione dell’assemblea costituente che si svolgerà il 22-23 ottobre prossimi. Tre parlamentari verranno eletti dalla comunità italiana, la più numerosa in Europa insieme a quella francese. L’iniziativa di Reggio Emilia, promossa da Nahda Italia, non è stata però di tipo prevalentemente elettorale. E’ stata innanzitutto una grande occasione di incontro di un comunità che prima della rivoluzione semplicemente non poteva incontrarsi. Grande l’emozione dei partecipanti, forte il sentimento nazionale, altrettanto forte la consapevolezza delle grandi responsabilità del momento.

Tra i presenti non c’era infatti alcun dubbio: il partito islamico, che ha combattuto la dittatura per trent’anni, sarà il grande vincitore delle elezioni di ottobre. Giustificata dunque l’enfasi della presidenza, che ha aperto i lavori affermando che: «è giunto il momento di iniziare la ricostruzione dopo la dittatura». Prima dell’intervento ufficiale di Gannouchi è stata data la parola a due parlamentari, Lapo Pistelli del Pd e Renzo Barbieri del Pdl. I due hanno cercato di barcamenarsi, schivando del tutto le responsabilità italiane nell’appoggio a Ben Ali.

Ghannouchi, volendo chiarire quanto sia cambiata la situazione, li ha subito messi in difficoltà, ricordando che: «Nel 1996 l’Italia mi ha respinto all’aeroporto di Milano, così pure nel 2008, mentre Ben Ali veniva ricevuto in Italia con tutti gli onori; oggi invece la polizia mi ha scortato fino a Reggio Emilia…». A Pistelli che – dimenticandosi dell’aggressione alla Libia –  aveva parlato del Mediterraneo come «lago di pace», il leader tunisino ha ricordato che oggi «questo mare si è trasformato da spazio di incontro delle civiltà in luogo di morte». Perché, si è domandato, «tanti giovani vanno a morire in mare?».

«La rivoluzione ha raggiunto soltanto la metà dei suoi obiettivi, noi vogliamo l’altra metà: democrazia, dignità, parità tra i sessi, parità tra le varie zone del Paese».

«Ho sognato a lungo la rivoluzione. Abbiamo lottato, contro due dittatori (Bourguiba e Ben Ali) per trent’anni». «Il suicidio di Bouazizi è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. L’islam non incoraggia il suicidio, ma le persone che lo hanno fatto erano giunte alla disperazione». «Si è arrivati così all’unità delle forze di opposizione».

Ghannochi ha poi ricordato il ruolo del suo partito negli anni della dittatura, della persecuzione e dell’esilio: «Nahda è il partito che ha pagato il prezzo maggiore della repressione del regime. Quando eravamo in esilio volevano farci credere di essere ormai dimenticati dal popolo. In realtà il regime ha fallito in molte cose, ma il fallimento più grande è stato proprio del tentativo di cancellare la memoria del popolo tunisino. Il partito gode oggi di un grande sostegno tra i giovani, nonostante che ancora oggi esso non abbia spazio nei media se non per venire accomunato al terrorismo».

Tanta soddisfazione dunque, ma anche realismo: «La rivoluzione non è finita. Il dittatore è stato cacciato, ma le radici del regime non sono state ancora tagliate. La rivoluzione sarà pienamente riuscita quando metterà alla guida del Paese i suoi uomini migliori».

Ghannouchi è poi ritornato sulle ragioni che spingono tanti giovani a tentare l’avventura sui barconi della morte. Al centro della risposta di Nahda c’è il riequilibrio economico tra le varie zone della Tunisia, un Paese segnato da enormi squilibri territoriali: «Lavoreremo per uno sviluppo economico che consenta agli immigrati di tornare alle loro case. Se invece la rivoluzione fallisse, Lampedusa verrebbe invasa da centinaia di migliaia di tunisini». «La propaganda del vecchio regime faceva vedere una Tunisia truccata, ma dalle zone della Tunisia profonda, più povere ed oppresse, è partita la rivoluzione».

Prima della conclusione del suo intervento, Ghannouchi si è soffermato sulla questione della libertà delle donne: «Non credete a chi vi dice che vogliamo risolvere la disoccupazione mandando le donne a casa. Si tratta di un’autentica fesseria. Vogliamo la piena libertà per le donne».

La conclusione è stata dedicata alle sollevazioni arabe, che hanno avuto inizio proprio dalla Tunisia. Per il leader del partito islamico, che si è augurato la vittoria della rivolta in Siria, le rivoluzioni potranno spingere all’unità dei popoli del Maghreb e dell’intero Mondo Arabo.

Naturalmente molte sono le questioni aperte. Dalle parole di Ghannouchi si capisce però quale sia il modello che ha in mente: un islam non integralista, coniugabile con la democrazia parlamentare (modello turco dell’AKP); un capitalismo aperto agli investimenti occidentali, temperato con i richiami alla giustizia sociale. Una visione che dovrà fare i conti con la situazione concreta, con la forza di cui ancora dispongono gli uomini del vecchio regime, con le mire delle potenze occidentali.

Vedremo quali saranno i risultati delle elezioni di ottobre. Intanto la Tunisia di oggi è ben diversa da quella di un anno fa. Ed i tunisini, domenica a Reggio Emilia, facevano giustamente festa. Ghannouchi si è richiamato più volte, spesso in nome dei martiri della rivoluzione, alle grandi responsabilità del momento. Responsabilità che vanno davvero ben oltre il normale peso di un piccolo paese come la Tunisia.