Pare davvero che il Medio oriente stia precipitando verso una conflagrazione generale. La guerra civile in Siria, oramai dispiegata, potrebbe fungere da detonatore. Il Libano ne sarebbe travolto. Israele è pronto ad attaccare l’Iran, trascinandolo nel conflitto. Gli Stati Uniti (con l’avallo delle loro satrapie arabe e forse anche della Turchia) sono pronti, ma cercano di rimandare tutto al 2013, ovvero dopo le elezioni presidenziali di novembre. (Nella foto un egiziano legge la scheda elettorale)

In prima linea, tra le fila dei provocatori, come per la Libia, ancora una volta la Francia. Hollande, sulle orme di Sarkozy, con la scusa del massacro di Hula (vi ricordate come venne usato nel 1999 il “massacro” di Raciak per aggredire la Jugoslavia?) ha auspicato apertamente un intervento militare d’aggressione e d’occupazione in Siria — che brutta figura i sinistrorsi italiani che hanno esultato alla vittoria dei social-imperialisti  francesi!

In questo contesto regionale è sicuro che l’Egitto ha un posto centrale.

La commissione elettorale centrale ha fornito il suo verdetto sui risultati delle elezioni presidenziali appena svoltesi: al ballottaggio (ma la legge elettorale è ambigua e al ballottaggio ci potrebbero accedere in tre) andranno due candidati: il rappresentante della Fratellanza musulmana, Mohamed Mursi, e l’ex primo ministro dell’era Mubarak, Ahmed Shafiq.

Elezioni svoltesi in condizioni di caos e incertezza, con accuse di brogli su larga scala, e con un’affluenza ufficiale del 46%, a testimonianza della profonda disillusione di tanti egiziani, soprattutto i più poveri che sono la grande maggioranza. Ha votato la parte più politicizzata del paese e, sociologicamente, quella più abbiente. Vediamo i numeri: il candidato della Fratellanza, espressione della potente borghesia islamica è il primo classificato con 5 milioni e 764.952 voti. L’ex premier Ahmad Shafiq ha ricevuto cinque milioni 505.327 voti, pari al 23,7% contro il 24,8% del candidato dei Fratelli Musulmani. Questo, in un paese con 80 milioni di abitanti, indica con chiarezza che chiunque divenga presidente, rappresenta un’esigua minoranza.

La vera e positiva sorpresa è stata quella di Hamdin Sabbahi, nasseriano di sinistra del partito Karamah, terzo classificato, con quattro milioni 820.273 voti, a dimostrazione che esiste ed è ben presente un blocco sociale nazionalista e antisionista, indipendente sia dai militari (veri continuatori del regime di Mubarak) che dall’élite conservatrice islamica che da tempo ha preso il sopravvento all’interno della Fratellanza musulmana.

Sconfitti (anche perché i loro candidati sono stati esclusi) sia le forze liberali, che la sinistra rivoluzionaria e democratica che costituì la prima linea del Movimenmto di Piazza Tahrir, e sconfitti anche i salafiti.

Da un anno a questa parte, com’è noto, la situazione egiziana non è esplosa solo grazie al tacito accordo tra la Giunta militare (Scaf) e la Fratellanza. Sotto questa egida si svolsero nell’inverno scorso le elezioni parlamentari, dalle quali la Fratellanza emerse appunto come primo partito. Questo ha fatto dire a molti che tra l’élite musulmana e l’esercito fosse stato siglato di fatto un patto storico, per gestire la transizione e per ridefinire l’architettura costituzionale del paese.

In verità la questione è ben più complessa e l’accordo tutt’altro che solido. L’affermazione del candidato Ahmed Shafiq, non solo dimostra quanto potente sia ancora il blocco mubarakiano; ma indica che l’esercito è tutt’altro che disposto a cedere il potere. Wasghington ha fatto di tutto affinché si siglasse l’accordo, ma questo potrebbe saltare per aria. Obama ha apertamente sponsorizzato l’accordo. Significative le affermazioni del segretario di Stato americano Hillary Clinton subito dopo le presidenziali, che ha definito «storiche». «Non vediamo l’ora di lavorare con il governo eletto democraticamente». «Gli USA», ha aggiunto, «sono al fianco delle persone che lavorano per raccogliere i frutti della promessa della rivolta dello scorso anno». Il controcanto glielo hanno fatto la rappresentante della politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, «per la prima volta nella storia il popolo egiziano ha avuto l’opportunità di scegliere il proprio presidente in un vero processo elettorale», e il nanetto Napolitano: «I movimenti islamici che si stanno affermando nei paesi della primavera araba sono diventati attori fondamentali del nuovo clima democratico. (…) Dal gennaio 2011 il vento del rinnovamento civile e politico si è levato potente e liberatore dal Nord Africa del risveglio arabo. Si è avviato un processo complesso e denso d’incognite, ma anche di segnali positivi e incoraggianti. Movimenti politici islamici, nel pieno rispetto dei principi democratici, si stanno affermando quali attori fondamentali del nuovo clima democratico».

Se al ballottaggio del 16 e 17 giugno vincesse Shafiq, è sicuro che la protesta sociale incendierebbe il paese, aprendo scenari imprevisti che contribuiranno a sconquassare l’intero Medio Oriente, e la stessa vicenda siriana passerebbe in second’ordine.