Un intervento sull’ondata di proteste islamiche dei compagni del Lupo (Lotta Unità Proletaria Osimo)

L’attacco al consolato americano di Bengasi non coglie di sorpresa chi ha seguito l’evolversi della rivolta armata in Libia, fino all’invasione occidentale che ha determinato gli esiti della guerra civile e la deposizione di Gheddafi.

Se i paesi del Golfo avevano una chiara strategia di intervento, in linea con le altre intromissioni nei confronti degli stati retti da regimi laici, per estendere su questi la propria egemonia e la relativa concezione del sunnismo, i governi occidentali sono intervenuti con opzioni differenti se non conflittuali. In particolare la Francia ha appoggiato sin dall’inizio la rivolta in Cirenaica, distinguendosi per le ambizioni neocoloniali di Sarkozy.

Tale frettoloso protagonismo è stato accolto con evidente insofferenza dall’amministrazione americana ben consapevole che l’area di Bengasi ha fornito il maggior numero di kamikaze e combattenti (in proporzione agli altri paesi arabi) per la resistenza Jihadista in Iraq anzi, l’intervento americano è sembrato più volto a contenere l’avanzata dei bengasini, anche con frequenti ed opportuni “errori” di bombardamento, per portare al vantaggio sul campo i clan di Misurata e del Zintan, evidentemente considerati più affidabili, fino a regalar loro il linciaggio di Gheddafi.

La frustrazione delle correnti salafite deve essere aumentata anche dal risultato elettorale sul cui tasso di democrazia si può sorridere ma che hanno dato comunque delle indicazioni. Al di là dell’altissima percentuale di astensione, l’affermazione delle forze liberali laiche, cui ha fatto riscontro il deludente risultato dei partiti di ispirazione islamica, attesta la profondità con cui il laicismo ha pervaso in questi 40 anni la società libica e ridimensiona il presunto consenso alle forze principali che hanno animato la rivolta; ci sembra evidente che anche da settori lealisti e dalle popolazioni di colore possano essere arrivati i voti per i liberali e per i loro candidati,“traditori”ma provenienti dal vecchio regime e quindi percepiti come più rassicuranti.

Le manifestazioni scatenate dal film spazzatura holliwoodiana, ingiurioso verso il profeta, hanno fornito l’occasione di una attesa vendetta.
Noi abbiamo denunciato le rivolte libiche ed oggi quelle siriane come in parte etero dirette dall’imperialismo e dalle petro-monarchie ma abbiamo specificato che l’Islam Jihadista che le anima, è costituito da una galassia di movimenti e tendenze delle quali alcune importanti, influenzate da Arabia Saudita e Quatar, sono oggi nuovamente riposizionate con gli interessi imperiali Usa, come lo furono in Afghanistan contro l’Armata Rossa e con il secessionismo musulmano in Yugoslavia.

Questa rimane una alleanza tattica, favorita dal comune obiettivo di attaccare l’Iran e le confessioni sciite di cui lo stato persiano rimane il faro ma è pronta a saltare quando gli obiettivi strategici si porranno su passaggi divergenti. Mentre per gli Usa l’obiettivo rimane quello di mantenere la leadership unipolare (come ha ricordato Obama nell’orazione funebre ai suoi funzionari) usando con sempre maggior decisione la superiorità militare per sopperire alla decadenza economica – leadership che passa per un Medio Oriente normalizzato, con Israele in sicurezza, parte di una più vasta area-cuscinetto che si vuole possibilmente omogenea ed alleata, ospite delle proprie basi militari in funzione antirussa e, soprattutto, anticinese – per le forze jihadiste gli obiettivi sono essenzialmente legati all’egemonia nel mondo islamico.

Ecco quindi che il mio amico di ieri torna ad essere il mio nemico di oggi, soprattutto quando anche ieri la sua amicizia si manifestava con l’ampio uso del “fuoco amico”. Ci sembra chiaro che la situazione in Libia, con parti del sud ancora in mano a tribù ex-lealiste, rivendicazioni autonomiste, scontri tra laici e islamici, tra le stesse milizie tribali e tra organizzazioni islamiche combattenti animate da una diversa visione del Jihad globale è lontana dall’essere normalizzata e sicuramente non basteranno i 200 marines e i droni inviati da Obama a fini elettorali.

Meno chiara appare la regia che si nasconde dietro la produzione e la diffusione del digitale-scandalo, tanto da suggerire, per una volta, fondate tesi complottiste, alimentate anche dalla scelta americana di indicare come cristiano copto un travisato responsabile del misfatto, puntualmente diffuso sui media, forse per spostare l’odio delle folle islamiche dai simboli e sedi occidentali sulle minoranze cristiane.

Tale target può produrre un doppio effetto, da un lato alimentando l’odio delle masse islamiche (e motivandolo) si coglie il pretesto per intervenire pesantemente con uomini, mezzi e tecnologia nelle aree sensibili, con processi politici in corso dagli esiti incerti, come in Yemen, Libia ecc., d’altro canto si persegue l’approfondimento dello scontro interconfessionale esponendo le minoranze a rappresaglie che possono tornar utili a pretesto di futuri interventi umanitari.

Sicuramente attribuire ai cristiani arabi simili nefandezze non favorisce la tenuta lealista in Siria, tanto per dirne una. Quello che comunque dobbiamo cogliere è la profondità dei sentimenti identitari ed antimperialisti delle popolazioni islamiche e la loro potenziale forza d’urto, favorita anche dalla religione, da cultura, lingua e simboli comuni; una forza che potrà renderle protagoniste della propria emancipazione quando riusciranno a spazzar via sia le strumentalizzazioni dei funzionari delle petro-monarchie e dei regimi reazionari, travestiti da preti, sia i condizionamenti dell’imperialismo spacciati per processi democratici.

Lotta di Unità Proletaria Osimo (An)