Il pezzo «Se fossimo tibetani – Come opporsi al rinascente Impero Han senza diventare servi di quello americano?», contenuto nell’ultimo nostro Notiziario ha sollevato critiche. Critiche, per così dire, dai due lati opposti della barricata: da parte dei filo-tibetani e da quelli che, al contrario, stanno con la Cina.
In rappresentanza del primo fronte Carmine Colacino sommessamente ci scrive:
«Eppure quando il Dalai-Lama è venuto in Italia non fu ricevuto… spiace poi vedere il calcolo dei morti, come se la rivolta tibetana, per contare, dovesse avere, prima, un bel po’ piú di morti… Io mi sarei aspettato uno sventolare di bandiere della pace, invece, ma evidentemente quelle sono solo bandiere anti-americane e con la pace e con i diritti dei popoli, hanno poco a che vedere… ancora una volta il diritto (e il principio) all’autodeterminazione dei popoli passa al vaglio dell’ideologia… peccato, un’altra occasione perduta»…
# Non abbiamo titolo per parlare a nome dei pacifisti. Rispondiamo invece come antimperialisti che, pur sostenendo in linea di principio il diritto dei popoli all’autodeterminazione, non ne facciamo l’alfa e l’omega della questione nazionale. Noi sosteniamo questa rivendicazione nel contesto globale della lotta all’imperialismo, ovvero, non la sosteniamo affatto (vedi il Kosmet —Kosovo e Metohjia) ove questa rivendicazione sia funzionale agli interessi geopolitici di una potenza imperialistica (interessata magari a squartare su linee “etniche” quelli che bollano come “Stati canaglia”).
# In secondo luogo, sostenere e avocare il diritto all’autodeterminazione non equivale a sostenere una posizione indipendentista. Lenin, tanto per dire, quasi sempre era infatti contro le secessioni e le piccole patrie, a favore del modello federale fondato sui principi di fratellanza fra i popoli e di parità di diritti. Anche nel caso tibetano o del Turkestan orientale, noi non peroriamo in prima battuta la secessione. Cos’è che peroriamo quindi? La trasformazione della Cina in una repubblica federale e democratica in cui tutte le nazioni abbiano uguali diritti e sia posto fine alla supremazia Han.
Passiamo ai filocinesi a scoppio ritardato. Pubblichiamo due messaggi su tutti.
«Cari compagni,
nonostante la polemica brillante contro Fausto Bertinotti, alla fine sul Tibet (e sulla Cina) non vi differenziate molto da lui.
Un cordiale saluto»
Domenico Losurdo
(…)
«Ebbene anche noi vogliamo pronunciarci sul Tibet, ma non per gridare alla repressione Han contro il Tibet, ma per mettere in luce due cose.
Una, specifica, che riguarda il Dalai Lama e la sua cricca di bonzi. E´ evidente che questa cricca agisce in nome e per conto dell´imperialismo occidentale e americano in particolare. Permettere che le olimpiadi sanzionassero la grande ascesa cinese sarebbe stato, con la crisi economica in atto, troppo per gli Stati Uniti. Un´operazione audace e coordinata della CIA in versione tibetana è proprio quello che serviva. Diciamo che lo
stato cinese è stato fin troppo moderato nella reazione, il che ha consentito a quella banda di controrivoluzionari tibetani di tentare un pogrom incendiando negozi cinesi e bruciando anche chi ci lavorava dentro.
Dobbiamo solidarizzare con l´operazione CIA? Dobbiamo essere dalla parte dei tibetani `oppressi´? Chi combatte veramente l´imperialismo deve stare da un´altra parte. E gli antimperialisti sono impegnati da anni a denunciare l´operazione Kosovo, l´operazione Darfur ecc ecc. La linea `etnica´ è la linea dell´imperialismo oggi.
Seconda questione. Non esiste forse, ci dicono però i critici di sinistra, una questione nazionale, per i tibetani come per altri popoli?
Per il Tibet, quelli che si considerano rivoluzionari, dovrebbero riflettere sul fatto che lo scontro è il prodotto evidente della continuità con la storia cinese dopo il `48. Negli anni cinquanta quando la rivoluzione ha spazzato via il regime feudale dei bonzi, ora con l´avanzare di un processo di ascesa economica che non può non riguardare anche il Tibet. La questione etnica non c´entra, i fatti ci dicono che lo scontro è tra reazione e trasformazione. E, per capirci, noi non siamo mai andati in giro sventolando libretti rossi, ma abbiamo come riferimento la politica dei comunisti che ha permesso la creazione dell´Unione sovietica e della Jugoslavia. Sappiamo dunque riconoscere le caratteristiche ´nazionali´ di certi processi che
hanno portato alla dissoluzione di questi stati a vantaggio dell´imperialismo».
AGINFORM
Cari compagni di AGINFORM,
secondo noi, sulla recente rivolta popolare in Tibet, avete preso un granchio. Come ogni granchio, deve essere pigliato alla giusta maniera, altrimenti l’incauto ci resta ferito.
Dite sbrigativamente di voler mettere in luce due cose. La prima sarebbe che la cricca del Dalai Lama è al servizio della CIA. La seconda è che non esiste una questione nazionale tibetana, ovvero non ci sarebbe alcuna oppressione Han del popolo tibetano.
Che il Dalai Lama e il suo governo in esilio siano arnesi della CIA questo è storicamente provato e non ci piove. Ma questo, va da sé, non dimostra che non esista l’oppressione Han e che essa riguardi non solo i tibetani ma le numerose minoranze nazionali.
Che gli USA siano la principale potenza imperialista è scontato, ma immaginare che essi siano talmente onnipotenti da essersi inventati il problema nazionale tibetano è sintomo di una mentalità complottista alquanto rudimentale.
Si capisce che non avete studiato né la storia cinese, né avete avuto la fortuna di capitare in Cina e in Tibet recentemente. Non ve ne facciamo una colpa, solo vi consigliamo di trattare le questioni complesse col bisturi e non con l’accetta.
Infatti non entrate nel merito del problema, e non ci entrate poiché, le due cose che avete voluto mettere in luce, sono oscurate da una terza cosa, dalla tesi per cui, mentre sarebbero sacrosante tutte le lotte di liberazione nazionale che avvengono nela sfera d’influenza nordamericana, che vadano a farsi fottere tutti quei popoli che dovessero subire oppressione nella zona d’influenza delle potenze pur capitalistiche avverse agli Stati Uniti. Essi si ribellano? Chiedono giustizia e diritti? Peggio per loro! E come giustificate questa macchiavellica enormità? Che siccome un indebolimento della Cina sarebbe negli interessi degli Stati Uniti, il governo cinese va rafforzato, anzi occorre sostenere come lecita e legittima la sua politica repressiva. Ovvero trattate i tibetani come se fossero mercenari, come se fossero i marinesi che hanno in Afganistan, come se fossero i curdi che tengono testa alla Resistenza irachena. Ragionate insomma come se il dissidio cino-americano fosse già una guerra, come se ciò che è solo in potenza fosse già in atto. E questo è un grave errore politico.
Citate di passata l’Unione Sovietica e la Iugoslavia, stabilendo quindi un parallelismo con la Cina. Questo parallelismo è giusto? No che non è giusto! Si tratta infatti di un parallelismo del tutto formale, che non tiene conto del fatto che la Cina è una grande potenza capitalistica la cui forza espansiva si fonda sul più infernale sfruttamento dei lavoratori, i cui investimenti negli USA, come tutti sanno, tengono a galla l’economia imperiale; e che sgomita affinché siano riconosciuti i suoi interessi geopolitici mondiali, ovvero imperialistici. Anche l’equiparazione con la Iugoslavia non tiene, poiché la Iugoslavia non solo era un paese in preda ad una crisi economica devastante; essa è crollata dopo un decennio di embarghi e infine per un attacco frontale antiserbo da parte della NATO —la quale ha utilizzato apertamente certi movimenti nazionalisti (croati, bosniaci, kosovari) come truppe di complemento.
Siccome l’imperialismo usa strumentalmente alcune rivendicazioni nazionali, voi che fate? Buttate il bambino con l’acqua sporca, le legittime aspirazioni democratiche di un popolo assieme agli eventuali dirigenti che strizzano l’occhio a Washington.
Facciamo l’esempio dell’Iran. Volete forse negare che i persiani pur essendo la metà della popolazione sono la nazione dominanante? Volete forse negare che non esistono questioni nazionali come quelle curda, belucia, araba o azera? Come affrontiamo il problema? Neghiamo il sacrosanto diritto diritto di queste nazioni all’autodecisione in quanto l’Iran è un possibile bersaglio di un attacco americano? No! Questo diritto, come insegnava Lenin, va difeso in linea di principio, tuttavia non in modo astratto. Difenderemo l’Iran da un eventuale aggressione imperialista, e condanneremo quei movimenti nazionalisti che dovessero cooperare con gli aggressori. Ma diciamo anche che se l’Iran vuole resistere e vincere deve avere il più vasto sostegno popolare, non solo dei persiani, deve quindi andare incontro e non soffocare le altre nazionalità. Non deve quindi commettere le bestialità compiute da Saddan contro gli shiiti e i curdi.
Si capisce poi che voi considerate antimperialista non un popolo, una nazione o un governo che lottino effettivamente contro l’imperialismo (con tutti i limiti questo era il caso con Milosevic o Saddam). Voi considerate antimperialista chiunque si opponga agli Stati Uniti. Siccome saprete senza dubbio che possono invece esistere conflitti inter-imperialistici, se ne deve dedurre che considerate la Cina odierna come socialista o, quantomeno, un fac-simile socialista. Andatelo a dire ai maoisti cinesi (che liquidano il regime come fascista), oppure provate a dirlo agli operai e ai contadini, Han compresi, che se provano ad alzare la testa vengono trattati peggio che sotto il fascismo.
Un’ultima cosa. Il vostro posizionamento, tutto geopolitico, cascame di una guerra fredda che non c’è più, si basa sul fatto che se gli USA stanno da una parte noi dobbiamo per forza essere da quell’altra. QUASI sempre è così, ma non sempre. Decine sono i casi nella storia recente in cui gli americani ce li siamo trovati tra i piedi nella difesa di qualche causa democratica. Senza andare troppo lontano: il Sudafrica dell’Apartheid, quando gli USA hanno appoggiato le lotte democratiche, fino all’appoggio all’ANC di Mandela.
fraterni saluti antimperialisti
Campo Antimperialista – Sezione italiana, 5 aprile 2008