Il lungo assedio della Striscia di Gaza dal 5 novembre, quando Israele ha violato la tregua con una brutale aggressione nella zona di Kan Younis, si incrudelisce sempre più. L’ingresso non è consentito neppure ai convogli ONU per introdurre generi di prima necessità e carburanti necessari per la produzione di energia elettrica. Ieri alcuni pescatori, insieme a tre attivisti contro l’assedio fra cui l’italiano Vittorio Arrigoni, sono stati sequestrati in mare. La Striscia ha fame, freddo ed è al buio, ma la popolazione resiste. Pubblichiamo una testimonianza di questa Resistenza.

 

Gli abitanti di Gaza resistono sopravvivendo
di Ramzi Kysia*

Pubblicato nel numero del 17 novembre di “The Indypendent” (NY)

“Io manderò dentro alle mura di Gaza un fuoco…”
Amos 1:7

STRISCIA DI GAZA; PALESTINA — In un piccolo Caffè della città di Gaza, Amjad Shawa, il coordinatore del “Palestinian NGO Network (PNGO)”, centellina il suo caffè nero e rimugina sull’embargo israeliano di Gaza. “Questo assedio non ha nulla a che fare con la ‘sicurezza’, e neppure con Hamas” dice. “Il vero scopo di Israele è di separare Gaza dalla West Bank ed uccidere il progetto nazionale palestinese”.
La Striscia di Gaza, una stretta pianura costiera lunga 40 km incuneata fra Israele e l’Egitto è la patria di un milione e mezzo di Palestinesi. Nonostante le sue piccole dimensioni, Gaza racchiude l’essenza di due dei maggiori conflitti mondiali: la crescita dell’Islam politico e l’uso da parte dell’Occidente della punizione collettiva e della coercizione economica come sua brutale contromisura.
Da quando Hamas ha vinto le elezioni parlamentari nel gennaio 2006, Israele ha sottoposto Gaza ad un embargo sempre più pesante. Nel giugno 2007, dopo che Hamas ha sconfitto i miliziani schierati con il Presidente palestinese Mahmoud Abbas e si è assicurato con la forza il controllo di Gaza, Israele ha stretto l’embargo includendovi ogni cosa, ad eccezione di qualche consegna occasionale di aiuti umanitari. Come risultato di ciò, l’economia locale è andata in pezzi, causando una considerevole crescita dei tassi di disoccupazione, di povertà e di malnutrizione infantile.
Mentre Abbas ed il partito Fatah governano ancora la West Bank con il pieno supporto di Israele, Hamas va in contro ad un futuro incerto. Sebbene gli abitanti di Gaza abbiano fatto quadrato attorno al governo, è presente anche una crescente frustrazione pubblica a causa dell’economia moribonda.
Rawya Shawa, un membro indipendente del Consiglio Legislativo Palestinese di Gaza, descrive la Palestina come giacente in un limbo politico. “Quando sei al potere non è mai come quando ne sei al di fuori” dice Shawa. “Il 70% della popolazione di Gaza è costituito da rifugiati. Fatah ha guidato i Palestinesi per 45-50 anni. Fatah ha fallito. Non hanno ottenuto nulla. Hamas, ora, sta provando a fare qualcosa. Non hanno ancora avuto successo, per cui la gente sta semplicemente aspettando”.
L’ASCESA DI HAMAS
Di fronte al declino del nazionalismo panarabo che ha raggiunto il suo apice negli anni ’60 e ’70 ed al drastico fallimento degli Accordi di Oslo del 1993, Hamas ha trovato terreno fertile in Palestina combinando progetti di stato sociale, tradizionalismo religioso, anti-elitarismo (il Primo Ministro Ismail Haniyeh vive ancora nella casa dove è cresciuto, nel Beach Camp, una delle zone più povere di Gaza) ed un atteggiamento di linea dura verso Israele. Sebbene Hamas stia attualmente osservando un cessate il fuoco unilaterale, in passato la sua ala militare ha mandato piccoli razzi e attentatori suicidi in Israele, il che ha condotto alla sua designazione come gruppo terroristico da parte di Israele e degli Stati Uniti.
Pochi abitanti di Gaza sono d’accordo con tale descrizione. Secondo B’Tselem, un gruppo israeliano di tutela dei diritti umani, dall’inizio della seconda Intifada nel settembre del 2000, 995 minorenni palestinesi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane, mentre 123 minorenni israeliani sono stati uccisi da attacchi palestinesi. Con l’embargo, 3500 delle 3900 fattorie di Gaza sono state chiuse, facendo perdere il lavoro ad oltre centomila abitanti impiegati nel settore privato. Il reddito pro-capite a Gaza è inferiore ai 2 dollari al giorno, e l’80% delle famiglie è completamente dipendente dagli aiuti alimentari internazionali.
L’assedio ha portato a una massiccia penuria di risorse, che si è propagata attraverso l’economia e la società. La penuria di carburante ha fatto salire vertiginosamente il prezzo della benzina a 60$ al barile all’inizio dell’estate, il che ha provocato consistenti tagli del consumo elettrico. Gli ospedali, dipendenti dai generatori alimentati a diesel, hanno frequentemente perso l’elettricità fino a 12 ore al giorno. I contadini, vista l’impossibilità di utilizzare le pompe di irrigazione, hanno subito significative perdite di raccolto. La maggior parte delle case ha acqua corrente per meno di 6 ore al giorno, e quasi un terzo delle case non ne ha del tutto.
Senza elettricità, gli impianti di trattamento dei liquami non sono in grado di funzionare, per cui nel Mediterraneo vengono riversati liquami non trattati, trasformandolo in un cesso. Oltre 15 miliardi di litri di liquami grezzi sono stati rilasciati nel Mediterraneo nel solo 2008, uccidendo gran parte della fauna marina nelle vicinanze.
Rispetto al dicembre 2005, Israele concede l’accesso a Gaza a meno del 20% dei rifornimenti normalmente necessari e gli investimenti stranieri sono crollati del 95%, portando sia la Banca Mondiale che diverse organizzazioni umanitarie israeliane a chiedere la fine dell’embargo.
“Questo non è un disastro naturale”, dice John Ging, direttore dell’Agenzia “Relief and Works” delle Nazioni Unite a Gaza. “È un disastro di origine umana, generato da politiche che non sono umane”.
AZIONE DIRETTA
La gente di Gaza non aspetterà la fine dell’embargo per affrontare la crisi. A gennaio, centinaia di migliaia di cittadini di Gaza si sono riversati in Egitto quando Hamas ha demolito un muro di confine che Israele aveva eretto nel 2003. A febbraio, il Comitato Popolare contro l’Assedio ha organizzato migliaia di abitanti di Gaza in una “catena umana” che si è snodata lungo l’intera lunghezza della Striscia di Gaza.
“Il mio telefono ha squillato ininterrottamente tutto il giorno, perché [gli Israeliani] pensavano che stessimo per assaltare il confine” dice Sameh Habeeb, uno degli organizzatori dell’evento. “Israele non riusciva a credere che migliaia di arabi potessero protestare pacificamente. Contro la resistenza armata Israele può mandare i suoi razzi ed F16, ma non sanno come rispondere alla resistenza civile. La non-violenza fa ammattire gli Israeliani”.
Il più grande atto di resistenza non-violenta in Gaza è stato semplicemente quello di sopravvivere. Alcune famiglie hanno incominciato a catturare ed allevare conigli selvatici e uccelli per integrare la loro dieta. Una rete di pericolose gallerie che sfociano in Egitto hanno reclamato diverse vite, ma hanno anche aiutato a lenire la penuria di beni con quelli di contrabbando. Nelle ultime settimane, una conduttura sotterranea di benzina ha sostanzialmente alleggerito la crisi di carburante. I kit di conversione delle automobili, che consentono alle automobili di utilizzare gas da cucina, vengono venduti a circa 300$. La penuria di propano ha portato le famiglie a tornare a cucinare con le stufe a legna e, a causa della scarsità di calcestruzzo, gli abitanti di Gaza hanno ricominciato ad usare mattoni di terra per le costruzioni.
Il collasso dell’economia di Gaza è un esempio di imperialismo portato all’estremo: impedire l’ingresso dei materiali grezzi nell’economia, indebolire e smantellare le industrie native con la violenza militare e l’embargo, consentire l’accesso solamente ai prodotti finiti importati dall’estero (in questo caso, prodotti israeliani) e costringere la popolazione locale ed il suo governo non-cooperativo a spendere ed esaurire tutte le risorse e le riserve che sono riusciti a mettere da parte. Quando l’embargo di Gaza verrà finalmente tolto, la gente avrà grosse difficoltà a riprendersi, anche in presenza di maggiori aiuti umanitari.

Il direttore del PNGO Amjad Shawa puntualizza che l’embargo è una parte essenziale dell’occupazione israeliana in corso. “Gaza è ancora occupata, legalmente e fisicamente” dice Shawa “e l’assedio è semplicemente una componente di questa aggressione. Non abbiamo bisogno di più aiuti. Quello di cui abbiamo bisogno è la fine dell’occupazione”.

*Ramzi Kysia è uno scrittore ed un attivista arabo-americano, nonché uno degli organizzatori del “Free Gaza Movement” (“Movimento per Gaza Libera”).

Traduzione a cura del Campo Antimperialista