La Thailandia verso la guerra civile?

L’evento che fa da spartiacque nella recente storia thailandese è di sicuro la gravissima crisi finanziaria del 1997, che investì tutto l’estremo oriente ma che ebbe inizio proprio in questo paese. Con quella crisi ebbe termine il boom ed ebbe inizio un periodo di instabilità, aggravata dagli squilibri sociali indotti dal crollo finanziario.

Figlia di quella crisi fu, nel 2001, la sonora vittoria elettorale (ripetutasi nel 2006) del cosiddetto Berlusconi thailandese, il leader populista Thaksin Shinawatra, miliardario e proprietario di grandi mass media nonché fondatore del Thai Rak Thai, un partito da lui fondato all’occorrenza. Da quando il Thai Rak Thai giunse al potere sull’onda di un quasi plebiscito popolare, la Thaliandia non ha più avuto pace. La ragione è presto detta: per la irriducibile opposizione di chi sino a quel momento aveva monopolizzato il potere: ovvero la rapace camarilla di oligarchi, speculatori finanziari, l’alto clero buddista, per finire quindi con la casta dei feudatari (che in questo paese ha resistito ad ogni modernizzazione). Non si deve dimenticare che questa camarilla di oligarchi ha potuto per decenni succhiare il sangue ai popoli thailandesi grazie non solo alla corrotta monarchia e all’appoggio dell’esercito (che fino al 2001 aveva de facto guidato il paese), ma pure a quello degli Stati Uniti, che hanno sempre considerato la Thailandia una loro roccaforte, prima contro l’avanzata comunista e oggi come diga di sbarramento all’influenza cinese. Di quanto odioso fosse il dominio di questa camarilla di oligarchi ne sanno qualcosa i comunisti e i movimenti delle minoranze nazionali, massacrati per tutti i ‘60 e i ‘70, come gli studenti, che videro schiacciate nel sangue le loro rivolte del 1973 e del 1976.
Se il populista Thaksin Shinawatra, finalmente chiamati alle urne i cittadini, ottenne quello storico successo è perché venne votato dalla stragrande maggioranza dei lavoratori, soprattutto delle campagne (nelle floride zone rurali vive quasi il 70% della popolazione). La simpatia da parte della gente più umile, soprattutto dei contadini poveri, non sembra essere venuta meno al miliardario Thaksin, e ciò anche grazie ad una serie di provvedimenti sociali che il suo governo prese, quali la sanità gratuita per tutti, il diritto all’istruzione e un sistema di finanziamenti agevolati per le piccole imprese. Sarà stato un miliardario populista, ma il suo governo intaccò seriamente gli interessi della vecchia oligarchia e ne minò alle fondamenta la legittimità.
Per questo, pochi mesi dopo la seconda vittoria elettorale, con un ennesimo colpo di stato invocato dal Re, l’esercito lo depose il 19 settembre del 2006 contestualmente allo scioglimento d’imperio del suo partito, il Thai Rak Thai. Gli oligarchi pensando di aver liquidato per sempre quella parentesi, chiedono all’esercito di fare un passo indietro e di indire nuove elezioni, che si svolgeranno il 23 dicembre 2007. Con Thaksin costretto all’esilio e il Thai Rak Thai fuorilegge, gli oligarchi erano certi della vittoria. Si sbagliarono, poiché vinse il Partito del Potere Popolare, ovvero la coalizione che chiedeva il ritorno di Thaksin ( il PPP si aggiudicò 232 seggi su 480, mentre la maggioranza assoluta era di 241). Anche in questo caso la vittoria del PPP veniva dalla zone rurali e dalle periferie più povere delle città, le quali votarono in massa contro la coalizione monarchica, degli oligarchi e dei militari.
Non appena metabolizzato il ceffone i perdenti si adoprano per rovesciare il nuovo governo, guidato da un collaboratore di Thaksin, Samak Sundaravej. Alla guida delle mobilitazioni si pone, guarda caso, un altro miliardario, Sondhi Limthongkul, anche lui proprietario di potenti reti televisive. Sondhi è il leader indiscusso della monarchica Alleanza Democratica del Popolo (PAD), la coalizione che da mesi ormai porta in piazza decine di migliaia di persone nella capitale. Un’alleanza che, com’è ovvio, non è solo sostenuta dal Re, ma anche dai militari e dai vecchi affaristi e feudatari.
Da maggio ad agosto, con la complicità dell’esercito e della polizia che stanno a guardare, il PAD blocca ripetutamente strade ferrovie, circonda il palazzo del governo, minaccia la guerra civile. A causa di queste pressioni il primo ministro Samak Sundaravej si dimette il 9 settembre scorso per far posto al collega di partito Somcahi Wongsawat. Ma queste dimissioni non placano le proteste del PAD, che anzi aumentano a ottobre di intensità e giungono fino alla recente occupazione dell’aeroporto internazionale di Bangkok, causando il totale isolamento internazionale del paese. Anche questa volta l’esercito, uno dei più interventisti e golpisti dell’Asia, sta a guardare e lascia i dimostranti occupare indisturbatamente l’importante hub.
Ma chi sono quelli del PAD? Studenti, gente agiata, la piccola e media borghesia che guarda agli USA come modello e che dopo la crisi del 1997 ha perso terreno e cerca di riconquistarlo con ogni mezzo, pigliandosi indietro ciò che in questi anni i più poveri avevano ottenuto. Li chiamano “i gialli” perché vestono tutti con magliette gialle. Il perché è presto detto. In Thailandia ogni giorno della settimana ha un colore e il giallo è il colore del lunedì, ovvero il giorno di nascita del Re. Monarchica è infatti la coalizione, non solo perché ha l’appoggio della casa reale, perché chiede più potere alla monarchia. Il PAD, a dispetto del suo nome, contesta il sistema parlamentare e il principio un uomo un voto, teorizzando il 70%-30%, ovvero che il 70% dei parlamentari sia designato dal Re e solo il resto eletto democraticamente dai cittadini. Altro che opposizione democratica dunque! Siamo in presenza di una opposizione reazionaria che formalmente chiede sì nuove elezioni ma che con le sue azioni extraparlamentari (in alcuni casi con armi da fuoco) vuole causare l’intervento dell’esercito, quindi un nuovo golpe. E per cosa? Per rimettere in sella i vecchi dignitari, il sistema politico notabilare e feudale.
D’altra parte, in una situazione drammatica che i commentatori temono stia precipitando verso la guerra civile, contro “i gialli” si mobilitano anche “i rossi”, il colore dei seguaci del PPP. I  “rossi” sono forti anzitutto nelle zone rurali e nelle province più povere, spesso abitate da minoranze nazionali (Nord e Nord-est). Non è un segreto per nessuno, in Thailandia, che non si tratta solo di due meri schieramenti politici, ma che si tratti di due contrapposti blocchi sociali. La spaccatura del paese avviene lungo linee di classe. E’ vero che alcuni esponenti della vecchia sinistra stanno con l’opposizione del PAD, ma si tratta di elementi isolati. Le cronache riportano che gran parte della vecchia guardia comunista dei ‘70, quella che prese le armi contro la dittatura filo-USA, è dalla parte del PPP e pur non amando il governo, si è schierata a sua difesa.
Un caso è emblematico, quello di Chaturon Chaiseng, un leader politico tra i più amati nello schieramento di Thasin, ben conosciuto per la sua lunga militanza comunista. Egli va in giro per il paese aiutando la povera gente a combattere il PAD e a denunciare a monarchia con lo slogan “MAI PIU’ GOLPE!”. E ad ogni comizio canta una canzone scritta da uno dei suoi compagni d’armi d’un tempo, una canzone che racconta della vita durra del guerrigliero. E ammonisce infine che se ci sarà un nuovo colpo di stato la lotta armata sarà inevitabile.

La Redazione

Fonti:

news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/7716033.stm (articolo sulle differenze sociali e di classe dei due schieramenti giallo e rosso)
atimes.com/atimes/Southeast_Asia/JI09Ae01.html (intervista di Asia Times a Sondhi Limthongkul, leader del PAD)
bangkokpundit.blogspot.com/2008/11/pad-announcement.html (comunicato del PAD)