Sulle divisioni in seno al partito maoista di Prachanda

di Moreno Pasquinelli

Sono trascorsi otto mesi dalla elezione dell’Assemblea Costituente, sei dalla nascita della Repubblica e cento giorni dalla formazione del governo guidato dal Partito Comunista del Nepal (maoista). L’entusiasmo popolare che accompagnò queste svolte va lentamente scemando, lasciando il posto al disincanto e alla rabbia per le mancate promesse riforme sociali. Questi contraccolpi si riverberano all’interno del partito maoista, dove cresce il dissenso verso la linea “moderata” di Prachanda e la spinta a superare il governo di coalizione.

Nel Notiziario del 28 aprile scorso salutavamo la travolgente vittoria ottenuta dal Partito Comunista del Nepal maoista (118 seggi su 245, quasi il 50%) nelle elezioni per l’Assemblea Costituente svoltesi il 10 aprile. Tra l’altro affermavamo: «Se questa vittoria farà da apripista ad una trasformazione sociale vera e propria, ovvero ad una nuova e libertaria forma di socialismo, è certo presto per dirlo. Noi ce lo auguriamo, sapendo che una rondine non fa primavera… Giunge comunque il messaggio che è possibile vincere senza rinnegare i propri ideali, senza ammainare la bandiera del socialismo».
A pochi mesi dalla svolta che ha portato alla nascita della nuova repubblica e del governo a guida maoista emergono le prime grosse difficoltà. Il Partito del Congresso Nepalese, che non vuole partecipare al governo di unità nazionale, ligio agli interessi economici e geopolitici dell’India, fa del tutto per destabilizzare il paese ed indebolire il governo del primo ministro Prachanda. Alcune minoranze nazionali fomentate dal potente vicino indiano si agitano rivendicando un federalismo ai limiti del separatismo. La vecchia nomenklatura che attorniava la corrotta monarchia, per non parlare dei notabili e dei brahamini induisti, ancora in posizione decisiva, non perdono occasione per sabotare l’operato del governo e dell’Assemblea Costituente. Dietro a questa tenace opposizione c’è il gigante indiano. Nuova Delhi, che ha considerato il Nepal il suo orto di casa, non tollera che i suoi interessi strategici siano messi in discussione e ha ammonito pesantemente Prachanda a non andare oltre al suo avvicinamento alla Cina. I problemi non finiscono qui. L’alleato di governo di Prachanda, il Partito Comunista Nepalese-Marxisti Leninisti Uniti (CPN-UML), per bocca del suo leader K.P. Sharma Oli ha dichiarato ufficialmente il 30 novembre che sono pronti a lasciare il governo se i maoisti non scioglieranno davvero e definitivamente le loro milizie armate. Anche in questo caso non si può non vedere la potente pressione indiana. A complicare ulteriormente la vita del governo insediatosi ad agosto ci sono le divergenze in seno ai maoisti stessi. Una cosiddetta “ala dura”, guidata dallo storico leader Mohan Vaidya, alias Kiran (a suo tempo considerato il mentore di Prachanda), contesta apertamente il primo ministro, accusando il governo di non adempiere alle promesse fatte al popolo e di aver deviato dalla linea rivoluzionaria.
Il governo di coalizione in bilico
Partiamo dal fattore più semplice, la questione delle milizie armate dei maoisti. In base agli accordi del 2006 i guerriglieri maoisti sarebbero dovuti essere integrati nel nuovo esercito nepalese, mentre tutte le armi sono state immagazzinate in compound controllati dalle Nazioni Unite. A due anni di distanza tuttavia i guerriglieri censiti, circa 20mila, non sono stati integrati nell’esercito, ciò che produce un grave malumore nel partito maoista. “Siamo il primo partito di governo, perché non sblocchiamo questo problema?”. A complicare le cose ci si è messo come dicevamo il CPN-UML, che accusa i maoisti di avere aggirato gli accordi sul disarmo, riarmandosi sotto mentite spoglie, ovvero attraverso la Lega dei Giovani Comunisti. L’accusa del CPN-UML è che l’ala dura dei maoisti si vuole preparare ad una insurrezione armata. Per dirimere questo scottante problema, ovvero per salvare il governo di coalizione, Prachanda si è dovuto incontrare il 2 dicembre col segretario del CPN-UML, Jhala Nath Khanal, al quale ha assicurato che il suo partito sostiene lealmente il governo e non ha alcuna intenzione di scatenare l’insurrezione. Questo incontro, se ha evitato una crisi di governo considerata imminente, non consente a Prachanda di dormire sonni tranquilli. La questione è che il CPN-UML è sponsorizzato dai principali media nepalesi, fino a ieri sostenitori del re Gyanendra, oggi controllati dal Partito del Congresso Nepalese. La verità è che il CPN-UML agisce come quinta colonna dell’opposizione reazionaria, la quale è a sua volta apertamente appoggiata da Nuova Delhi.
Il fattore indiano e la minaccia di golpe
Non è un mistero che l’India consideri il Nepal uno stato satellite. Nuova Delhi accettò obtorto collo l’uscita di scena del Re, suo fido alleato e servitore. Né è un mistero che il processo di transizione dalla monarchia alla Repubblica poté avvenire solo grazie al semaforo verde dell’India. Ricordiamo infatti che gli accordi tra i sette partiti nepalesi che posero fine alla guerra civile (22 novembre 2005) furono siglati a Nuova Delhi e quindi sponsorizzati da Nuova Delhi. Davanti alla crescita della protesta popolare e alla saldatura tra queste e la guerriglia, l’India accettò la nascita della Repubblica e l’integrazione dei maoisti come partito legale, ma non poteva aspettarsi che questi avrebbero stravinto le prime vere elezioni democratiche, quelle per l’Assemblea Costituente (aprile 2008). Da allora l’India ha accentuato la sua pressione sul Nepal, onde evitare che questo paese sfuggisse alla sua sfera d’influenza. Inutile dire che non si fida del governo guidato da Prachanda e vorrebbe mandarlo a casa. Da agosto ad oggi Prachanda si è dovuto incontrare più volte col Primo ministro indiano Singh. L’ultimo in ordine di tempo il 17 novembre. Sull’incontro, svoltosi nella massima riservatezza, ha fornito significative indiscrezioni sia la stampa indiana che quella nepalese d’opposizione. Singh è stato perentorio con Prachanda: 1. Devi arrivare ad un accordo più ampio, che includa i nostri ascari del Partito del Congresso Nepalese; 2. Devi fare delle aperture alle minoranze nazionali filo-indiane che chiedono una repubblica federale; 3. Devi assicuraci che gli interessi delle aziende indiane che hanno grandi investimenti in Nepal non saranno minacciati da provvedimenti di nazionalizzazione; 4. Devi infine porre uno stop alle vostre aperture commerciali e politiche alla Cina e al Pakistan. Il Telegraph Nepal del 18 novembre ha così brutalmente riassunto il diktat indiano a Prachanda: “L’India può digerire qualsiasi cosa, ma non il crescente ruolo di Cina e Pakistan in Nepal”.
Tra l’elefante e il drago
Prachanda ha tentato in ogni maniera di sfumare le divergenze registratesi con Singh, ma a nessun commentatore sfugge il dilemma in cui egli, il suo governo e il partito maoista si trovano. Non c’e’ dubbio che il governo, se ha a cuore gli interessi popolari, deve porre fine ai rapporti di vassallaggio del Nepal con l’India. Ma non c’è alcun dubbio nemmeno sul fatto che l’India non accetterebbe mai uno sganciamento del Nepal dalla sua orbita strategica, che è economica, politica e militare. Anche in questo caso l’ala dura dei maoisti incalza Prachanda a spezzare ogni vincolo di sudditanza verso l’India e quindi a proseguire nel rafforzamento dei legami bilaterali con la Cina. L’ala dura è in questo senso assolutamente coerente con la linea strategica del partito maoista, il quale ha sempre considerato l’India una potenza espansionista e rapace, e ha sempre insistito che solo una piena indipendenza del Nepal può assicurare a questo paese una prospettiva di sviluppo sociale. Non è superfluo segnalare che una delle ragioni del grande consenso popolare dei maoisti è stato proprio l’elemento patriottico, la loro rivendicazione di totale sovranità nazionale e dunque la rottura dei rapporti di servaggio verso l’India. Non si tratta di un elemento propagandistico o retorico, ma di una potente leva mobilitante delle masse oppresse, schiacciate e sfruttate dal vecchio sistema feudale e monarchico il cui principale punto d’appoggio erano appunto minoritarie e invise caste brahaminiche induiste (vera cinghia di trasmissione del predominio indiano). E’ in questo contesto che vanno intese le aperture verso la Cina. Prachanda si è recato per ben due vote a Pechino, non solo alla ricerca di aiuti finanziari ed economici, forse anche a chiedere un sostegno contro le ingerenze indiane. La paventata richiesta dei maoisti di aprire un varco stradale e ferroviario verso Lhasa (che porterebbe si calcola un milione di turisti in più verso il Nepal) ha fatto imbestialire gli indiani, che tutto possono tollerare ma non un corridoio diretto cinese verso la strategica valle dell’Indo. La stampa nepalese non fa mistero che Nuova Delhi è pronta a sostenere un colpo di stato militare nel caso il governo Prachanda persegua con le sue aperture a Cina e Pakistan.
La lotta interna ai maoisti
Dei malumori del partito maoista verso il governo presieduto dal loro proprio segretario Prachanda, trapelavano indiscrezioni sin dalla fine di settembre, ad appena un mese dal suo insediamento. Il malumore non era estemporaneo e si trasformò in critica aperta. Una critica diffusa al punto che violò il perimetro del centralismo democratico per occupare le prime pagine dei media nepalesi. Ne demmo notizia su questo sito il 14 novembre, pubblicando un’intervista del 23 ottobre a C.P. Gajurel, responsabile per le relazioni internazionali del Partito. Dai primi di novembre si vocifera a Katmandu addirittura che Prachanda è in minoranza nel suo CC, e che il partito andrà verso un congresso straordinario per dirimere le divergenze. Non si tratta solo che “l’ala dura” impersonata da Mohan Vaidya, alias Kiran, contesta gli scarsi risultati ottenuti dal governo. Certo, “l’ala dura”, o se si preferisce rivoluzionaria, raccoglie e da voce al grande malessere della base del partito, che non ha visto alcun serio cambiamento sociale. Ma non è questo il punto, poiché anche Kiran si rende conto che in soli cento giorni un governo di coalizione, che per sua natura legifera per via di mediazioni, non poteva fare molto di più. Il vero pomo della discordia tra Kiran e Prachanda è di natura strategica. Tutto verte sul modello di Repubblica che l’Assemblea costituente dovrà partorire – a sei mesi dal suo insediamento la Costituente è paralizzata ed è ben lungi dal produrre la promessa Costituzione. Questa paralisi non si spiega soltanto per l’opposizione dei filo indiani del Partito del Congresso, né per il sabotaggio dei partiti micro – nazionali anch’essi filo-indiani, e nemmeno soltanto per le resistenze del CPN-UML. L’ala sinistra dei maoisti ritiene che la politica dilatoria e di progressive mediazioni perseguita da Prachanda sia del tutto fallimentare, che non sia cioè la via per realizzare gli scopi strategici del partito, quelli per cui si fecero dieci anni di guerra popolare. Questi scopi si condensano in due parole: Democrazia Popolare. L’ala sinistra non pensa affatto che si possa passare al socialismo dal giorno alla notte, ritiene tuttavia che la forma democratica parlamentare che sembra venga partorita dalla Assemblea Costituente, lungi dall’essere un terreno favorevole per avanzare verso il socialismo, sia invece un ostacolo per sua stessa natura. Come dargli torto? Per quanto ne sappiamo neanche Prachanda contesta questa tesi, anche lui ritiene che solo un regime democratico popolare, ovvero dove siano gli sfruttati a comandare possa fungere da ponte per la piena emancipazione degli oppressi. Il punto è che Prachanda vorrebbe temporeggiare, proseguire gradualmente e per tappe successive, sostenendo che andare allo scontro adesso, mentre l’India alle porte minaccia il golpe, sarebbe devastante e suicida. L’ala dura, d’altra parte, considera che il tempo non lavori per il successo della rivoluzione e che sia necessario un colpo d’acceleratore, ovvero mobilitare le masse, se necessario anche in armi, determinando per vie extraparlamentari la Democrazia Popolare. Secondo tutti i commentatori l’ala dura è in maggioranza, e questo pone Prachanda in una situazione difficilissima.
Decisiva in questo senso è stata la riunione del CC maoista del 24 novembre. Prachanda, dato per spacciato, è invece riuscito a ottenere la maggioranza, portando dalla sua parte anche alcuni suoi rivali interni. Indiscrezioni dicono tuttavia che la risoluzione finale approvata dal CC è stata una mediazione con l’ala sinistra, che quindi è stato proprio Prachanda a scendere a patti coi suoi detrattori. Si vocifera inoltre che un dei punti di disaccordo sia stato com’era prevedibile il rapporto con l’India, tra l’ala degli indipendenti, che chiedono un più stretto legame con la Cina, e i cosiddetti indu – pendenti, che non vogliono andare ad uno scontro frontale con Nuova Delhi.
La rottura è stata per ora evitata, ma la divisione politica resta.