Riflessioni scomode sul nuovo attacco sionista
La tesi che imperversa, non solo sui media italiani, ma in quelli di tutto l’Occidente, è quella per cui Hamas, col suo lancio di razzi Qassam, avrebbe “provocato” la dura reazione israeliana. Una tesi che esibisce la forza di un “dato di fatto”, che si camuffa con la maschera ideologica dell’obbiettività.
Manco a dirlo è invece la tesi unilaterale degli aggressori, del governo Olmert – Livni – Barak e dei mezzi di comunicazione sionisti che esso controlla, e dalla cui fonte i pennivendoli nostrani e tutto lo sterminato fronte di “amici di Israele” attingono senza alcun ritegno. La ragione di questa mistificante propaganda (come chiamarla altrimenti?) è la stessa del governo sionista: obnubilare l’opinione pubblica per intrupparla a fianco di Tsahal. Ci informa infatti il Corriere della Sera del 29 dicembre: «E’ la guerra mediatica invocata da Tzipi Livni, che da risultati anche sul fronte interno: secondo un sondaggio tv, l’82% degli israeliani appoggia l’attacco».
Dall’altra parte della galassia, ovvero sulle sponde orientali del Mediterraneo, la musica è ben altra. La spiegazione che viene fornita sulla cause dell’ennesimo attacco israeliano non pretende di essere la verità, ma è almeno verosimile. Citiamo dunque un organo di stampa che non è certo filo-palestinese, il libanese Daily Star (voce ufficiosa del blocco anti – Hezbollah). Nella sua edizione del 29 dicembre scrive: «Israele ha imposto un blocco militare alla Striscia da quando Hamas ha vinto le elezioni parlamentari, nel 2006. Dopo che il movimento islamico ha preso il potere con la forza e sconfitto i rivali di Fatah a Gaza nel 2007, lo stato sionista ha ulteriormente stretto il nodo scorsoio. Stando ai termini del cessate il fuoco [mediato dall’Egitto ed entrato in vigore nel giugno 2008. NdR], Israele era tenuta ad abbandonare l’assedio se Hamas avesse trattenuto i suoi combattenti dal lanciare missili sullo stato ebraico. Se il movimento islamico è riuscito a porre virtualmente fine agli attacchi missilistici, Israele non ha mai rispettato il proprio impegno. Tuttavia, la tregua ha sostanzialmente retto finché Israele non ha mandato all’aria gli accordi con l’invasione di Gaza alla vigilia delle elezioni presidenziali statunitensi a novembre, con un’offensiva che ha ucciso sette membri di Hamas. L’invasione ha spinto i combattenti palestinesi a riprendere i lanci di missili».
E’ esatta questa breve ricapitolazione dei fatti? Inoppugnabile. Israele ha prima imposto, nel gennaio 2007, un embargo unilaterale per affamare e punire i cittadini di Gaza che avevano portato Hamas e stravincere regolari elezioni parlamentari (embargo condannato come illegale dalle stesse Nazioni Unite). Nel giugno del 2007, dopo che Hamas è stata costretta a togliere di mezzo la cricca (foraggiata com’è ormai assodato da Israele) di Dalan e di al-Fath, ha trasformato l’embargo in un vero e proprio assedio, segnato da molteplici incursioni che hanno fatto decine e decine di vittima innocenti. Ai primi di novembre Israele ha infine violato la tregua faticosamente raggiunta sferrando un attacco militare, fulmineo ma in grande stile e prova generale di quello del 27 dicembre.
Fallito il tentativo di cuocere Hamas a fuoco lento mescolando l’assedio ad attacchi armati parziali i sionisti, con l’aggressione su larga scala, si pongono niente meno che sette decisivi obbiettivi tattici: 1. decapitare o almeno falcidiare la direzione di Hamas, 2. distruggerne le basi logistiche e l’infrastruttura militare, 3. terrorizzare la popolazione per spingerla ad abbandonare finalmente il Movimento di Resistenza, 4. stoppare il tentativo di Hamas di ricostruire una nuova OLP per rafforzare invece la leadership addomesticata di Abu Mazen (il suo mandato presidenziale scade il 9 gennaio e con il pretesto della guerra egli potrebbe dichiarare lo stato d’emergenza e prolungare il proprio mandato di un anno), 5. riscattare la cocente sconfitta subito in Libano per riequilibrare a proprio favore l’equilibrio di forze in Medio Oriente (in pochi mesi ci saranno delicatissime elezioni in Libano, Iraq e Iran), 6. mettere il neo-eletto Obama davanti al fatto compiuto e quindi legargli le mani onde evitare che gli Stati Uniti possano affievolire il loro sostegno ad Israele, 7. Ultimo ma non meno importante: rinsaldare la traballante coalizione governativa di Olmert – Livni – Barak in vista delle imminenti elezioni israeliane.
Se quanto diciamo fosse anche solo verosimile, come credere alla tesi per cui quella di Israele sarebbe stata una ritorsione, un’azione difensiva di risposta ai lanci di razzi Qassam? Come non vedere che i sionisti hanno lungamente e meticolosamente preparato l’attacco in corso? Che quello dei lanci dei razzi Qassam è solo un cinico pretesto?
Daniel Pipes, famigerato neocon, fondatore del Middle East Forum, noto per non avere peli sulla lingua afferma: «…Israele è molto pià organizzato e ha preparato l’attacco minuziosamente, mentre Hamas è molto più debole di Hezbollah… Il governo israeliano ha approfittato della transizione politica che l’America sta vivendo con la fine del mandato di Bush per avare campo ancora più libero» Segnala infine, tesi su cui torneremo più avanti: «Il movimento che fa capo a Khaled Meshaal parte dalla convinzione che può infliggere molti più danni a Israele con una guerra anziché con un negoziato, nonostante sia perfettamente consapevole che è molto più debole. Con un conflitto Hamas rafforza la sua popolarità a Gaza e in Cisgiordana, e l’alleanza con l’Iran». (La Stampa del 29 dicembre)
Ely Karmon, docente dell’International Institute For Counter – Terrorism di Herziliya (un gotha dell’antiterrorismo), non ha a sua volta difficoltà a svelare l’obbiettivo militare recondito dell’attacco, ovvero quello di annientare preventivamente la possibilità per HAMAS di poter applicare la tattica della Resistenza libanese: «Hamas sarebbe in una fase di transizione dal terrorismo alla guerriglia e potrebbe contare su 15mila uomini, oltre mille razzi, alcuni dei quali con una gittata di 40 chilometri, un rete di bunker pensata per arrestare l’eventuale avanzata della fanteria israeliana nel caso i thank ammassati al confine decidessero di entrare in azione… Ci sono almeno 85 chilometri di tunnel sotto Gaza, sono stati scavati sul modello di quelli del Libano meridionale grazie ai quali Hezbollah ha ridotto il numero delle perdite nella guerra del 2006… L’aviazione israeliana mira le uscite dei tunnel, punto di forza della nuova strategia di Hamas. Hezbollah è un modello militare almeno dal 2003». (La Stampa del 29 dicembre). Gli fa eco l’analista sionista Hillel Halkin: «Hamas crede che l’esperienza libanese del 2006, quando persero la vita 130 soldati israeliani, dissuaderà la Knesset dal lanciare un’invasione di Gaza su larga scala a meno di mettere in conto una risposta adeguata».
L’edizione elettronica di Repubblica del 29 dicembre ci informa poi che fonti anonime dell’Autorità Nazionale Palestinese, ovvero gole profonde facenti capo ad Abu Mazen e alla destra di al-Fatah, avrebbero sfrontatamente affermato: «L’autorità nazionale palestinese (Anp) è pronta a tornare nella Striscia di Gaza e ad assumerne il controllo, se “Israele riuscirà a liberarsi del regime di Hamas”. “Sì siamo pronti a tornare a Gaza – ha detto un funzionario dell’Anp al quotidiano israeliano The Jerusalem Post – crediamo che la gente sia stufa di Hamas e voglia vedere un nuovo governo”. Un altro funzionario ha fatto sapere che il partito Al Fatah, del presidente palestinese Abu Mazen, ha dato istruzione a tutti i suoi membri presenti a Gaza di tenersi pronti a tornare al potere. “Abbiamo un numero sufficiente di uomini nella Striscia di Gaza pronti a riempire il vuoto di potere – ha aggiunto – naturalmente tutto dipende da Israele, se riuscirà a liberarsi del regime di Hamas».
Avranno questi argomenti convinto i dubbiosi amici della causa palestinese che il lancio di razzi Qassam è solo un pretesto, e che esso non spiega affatto l’ultimo attacco a Gaza? Che l’offensiva sionista sarebbe prima o poi stata sferrata comunque? Ce lo auguriamo.
Questo appello all’intelligenza e al senso delle proporzioni non vuole tuttavia negare l’evidenza per cui Hamas, una volta scaduto il cessate il fuoco il 19 dicembre, ha comunque deciso di sua propria volontà di lanciare una selva di razzi contro Israele (con risultati come sempre assolutamente irrisori). Ci pare evidente che questa scelta abbia fondati motivi, non solo simbolici, ma politici e militari.
Togliamo di mezzo anzitutto il ragionamento peloso, diffuso urbi et orbi dalla centrale sionista di disinformazione strategica, ovvero che siccome i razzi Qassam avrebbero colpito Israele prima che questo facesse scattare la sua devastante risposta, i palestinesi sarebbero gli aggressori. Ci chiediamo: può essere considerato aggressore un soggetto vittima di una occupazione ormai sessantennale, accerchiato, sotto assedio, in tremenda inferiorità di mezzi e potenza di fuoco? Tanto per dire: a Stalingrado, erano forse aggressori i sovietici quando decisero il contrattacco per cacciare gli occupanti nazisti? Erano forse da considerare aggressori i vietkong quando nel gennaio 1968, si lanciarono nella “Offensiva del Tet”? Sono forse da considerare aggressori i partigiani iracheni quando lanciano I loro mrtai contro la zona verde di Baghdad?
Chi critica Hamas dovrebbe tentare, anche solo per un attimo, di mettersi nei loro panni e in quelli di tutta la Resistenza palestinese. Dovrebbe ad esempio porsi la domanda se non sia preferibile provocare il nemico per obbligarlo ad una reazione immediata, ovvero per trascinarlo nella trappola di Gaza.
Non per fare i profeti di sventura, ma a noi pare che la decisione di Hamas di cercare lo scontro frontale con l’armata sionista sia stata dettata, visto che l’offensiva sionista sarebbe prima o poi giunta inevitabile, dalla convinzione che dopo un massiccio attacco aereo, Israele avrebbe spedito la fanteria dentro le città della Striscia. Ovvero sia stata dettata dalla convinzione che la guerriglia casa per casa e strada per strada dentro Gaza causerebbe agli invasori colpi e costi tali da dargli una sonora lezione, non inferiore a quella da essi patita nel 2006 nel Libano meridionale.
Tutti danno per scontato che Tsahal, dopo l’attacco aereo (che certo non ha schiantato la Resistenza), sta per entrare in forze via terra. In base ai ragionamenti sin qui fatti ne dubito.
Se ciò dovesse accadere, se i sionisti volessero portarsi a casa tutti e sette gli obbiettivi tattici su esposti, se cioè volessero una vittoria totale, essi dovrebbero mettere in conto di far fronte ad una guerriglia micidiale e determinata che li obbligherebbe a radere al suolo buona parte delle città della Striscia, a compiere inauditi massacri, e quindi decine e decine di perdite non solo in mezzi ma pure in vite umane, quindi una batosta. Insomma: la possibilità della propria sconfitta e di converso la vittoria di Hamas che avrebbe ripercussioni decisive non solo tra i palestinesi ma in tutto il Medio oriente.
Le prossime ore, i prossimi giorni ci diranno come si metteranno le cose e chi, nella partita tra Hamas e i sionisti, avrà avuto ragione.
Moreno Pasquinelli