Lunedì scorso, quattro maggio, alle tre del pomeriggio, non nascondendo la propria tensione, Pushpa Kamal Dahal, alias Prachanda, annunciava le dimissioni da Primo ministro e quindi la caduta del governo di coalizione da esso presieduto, in carica dal 30 dicembre 2007. Prachanda giustificava le dimissioni dopo che il Presidente ad interim della Repubblica, Ram Baran Yadav, ha rimesso al suo posto il Generale dell’esercito Rukmangad Katwal, dimissionato dal governo a causa del riufiuto di quest’ultimo di onorare uno dei punti più importanti degli accordi di pace del 2006 che posero fine alla guerra civile, ovvero l’arruolamento degli ex-combattenti maoisti dell’Esercito Popolare di Liberazione.

 

Nel corso della conferenza stampa (http://www.youtube.com/watch?v=DYvW4HMQvOA) Prachanda ha accusato il Presidente ad interim di aver compiuto un atto anticostituzionale (in effetti la Costituzione provvisoria non assegna al Presidente alcuna facoltà di annullamento delle decisioni del governo) e di aver portato un attacco al processo di pace e alle giovani istituzioni democratiche dalle conseguenze incalcolabili. Prachanda non avrebbe avuto l’obbligo di dimettersi se l’altro partito comunista, il principale alleato dei maoisti, non fosse uscito dal governo in segno di protesta per il licenziamento del generale. Infatti, malgrado divisioni al suo interno, il PCN-UML, per bocca del suo segretario generale, Jhala Nath Khanal, ha ritirato i propri ministri in segno di solidarietà col Presidente Ram Baran Yadav, costringendo de facto Prachanda alle dimissioni. Lo stesso Khanal ha poi affermato di essere pronto a guidare lui il nuovo governo, affermazione che ha subito avuto il plauso dell’opposizione filo-indiana del Partito del Congresso, dichiaratosi pronto a comporre un nuovo esecutivo che escluda i maoisti.

 

Questa grave crisi non giunge all’improvviso, era piuttosto nell’aria. La vecchia nomenklatura politica, esclusa dal governo, in combutta con i vertici militari e le alte sfere della burocrazia, si è messa sin da subito di traverso al processo di democratizzazione, non limitandosi soltanto ad un boicottaggio ai livelli istituzionali, ma sobillando una opposizione nelle piazze, usando il comprensibile malcontento sociale, non solo dei vecchi notabili, delle caste brahaminiche azzoppate e delle minoranze nazionali e, soprattutto, facendo da sponda alle pesantissime interferenze indiane (Nuova Dehli è giunta al punto di far penetrare proprie truppe in Nepal col pretesto di difendere i diritti della minoranza indiana). I nepalesi si chiedono dove fosse il generale Rukmangad Katwal in quella occasione. La risposta è semplice, egli tramava con l’India, di cui si considerava un agente. Tutti sanno in Nepal che il generale non avrebbe potuto opporsi all’integrazione dei vecchi combattenti maoisti nell’esercito (in difesa dunque del vecchio notabilato militare da sempre monarchico) senza il sostegno di Nuova Dehli e del Partito del Congresso Nepalese, che è la longa manus indiana nel paese.

 

Non appena Prachanda ha dimissionato il generale le autorità indiane, che considerano il Nepal come un proprio satellite, hanno infatti espresso pesantemente il loro disappunto, facendo anche circolare la voce che l’India avrebbe appoggiato un eventuale colpo di stato per rovesciare il governo capeggiato dai maoisti (governo che Nuova Dehli teme sia a causa della sua natura sia perché contesta le sue aperture alla Cina e al Pakistan). Non ce n’è stato bisogno. L’India ha ottenuto ciò che voleva grazie alla mossa del Presidente della repubblica e al pronto sostegno ad esso offerto dal PCN-UML.

 

Quali pieghe prenderà adesso la situazione nepalese è difficile dire. I segnali che giungono sono inquietanti. Il giorno dopo le dimissioni di Prachanda in tutto il paese hanno preso il via manifestazioni di protesta, duramente represse dall’Esercito che ha anche arrestato una cinquantina di dimostranti, tra cui noti leaders vicini ai maoisti. Il Partito di Prachanda ha annunciato che non parteciperà ai lavori del Parlamento e che, anzi, mobiliterà la sua base per bloccarli impedendo il “colpo di stato morbido” in atto.

 

Nell’articolo del 6 dicembre scorso, commentando le profonde divisioni in seno al Partito Comunista (maoista) del Nepal concludevo:
«Per quanto ne sappiamo anche Prachanda ritiene che solo un regime democratico popolare, ovvero dove siano gli sfruttati a comandare possa fungere da ponte per la piena emancipazione degli oppressi. Il punto è che Prachanda vorrebbe temporeggiare, proseguire gradualmente e per tappe successive, sostenendo che andare allo scontro adesso, mentre l’India alle porte minaccia il golpe, sarebbe devastante e suicida. L’ala dura, d’altra parte, considera che il tempo non lavori per il successo della rivoluzione e che sia necessario un colpo d’acceleratore, ovvero mobilitare le masse, se necessario anche in armi, determinando per vie extraparlamentari la Democrazia Popolare. Secondo tutti i commentatori l’ala dura è in maggioranza, e questo pone Prachanda in una situazione difficilissima.
Decisiva in questo senso è stata la riunione del CC maoista del 24 novembre. Prachanda, dato per spacciato, è invece riuscito a ottenere la maggioranza, portando dalla sua parte anche alcuni suoi rivali interni. Indiscrezioni dicono tuttavia che la risoluzione finale approvata dal CC è stata una mediazione con l’ala sinistra, che quindi è stato proprio Prachanda a scendere a patti coi suoi detrattori. Si vocifera inoltre che un dei punti di disaccordo sia stato com’era prevedibile il rapporto con l’India, tra l’ala degli i
ndipendenti, che chiedono un più stretto legame con la Cina, e i cosiddetti indu-pendenti, che non vogliono andare ad uno scontro frontale con Nuova Delhi.
La rottura è stata per ora evitata, ma la divisione politica resta
.».
La rottura nel partito maoista è stata infatti evitata, ma si sta approfondendo quella nel paese. Vedremo nelle prossime settimane se la crisi istituzionale sarà risolta con un nuovo compromesso o se il paese precipiterà nuovamente nel conflitto armato.