La grande e opaca complessità dell’India è pari soltanto alla sua straordinaria centralità strategica. Non solo per questo le elezioni in quattro tappe appena svoltesi (meglio non soffermarsi in questa occasione sui farraginosi meccanismi di voto, comunque non proporzionali) per eleggere i 543 deputati della Lok Sabha (Camera Bassa) meritano la massima attenzione da parte dei rivoluzionari di tutto il mondo. Non parliamo solo dei risultati elettorali, ma delle esplosive dinamiche sociali in atto, di cui i risultati sono solo un pallido e distorto riflesso.

 

La vittoria del Congresso Nazionale Indiano

Il dato più eclatante emerso dalle urne è la vittoria, inaspettata per le sue dimensioni, dell’Indian National Congress (INC). Un successo omogeneo, registrato in pressoché tutti i 28 stati che compongono la Federazione, nonché nei sette Territori che godono di autonomia speciale, tra cui Nuova Dehli. La coalizione elettorale imperniata sull’INC, l’Alleanza Progressista Unita (UP), ha infatti ottenuto 262 seggi (di cui 205 direttamente al partito del Congresso). 61 in più del 2004. Con quasi il 50% dei seggi conquistati l’INC guiderà dunque la quindicesima legislatura, ed è quasi sicuro che il Presidente della Repubblica conferirà l’incarico di formare il nuovo governo all’ex primo ministro, Manmoh Singh.
Non appena diffusi i risultati definitivi la Borsa di Mumbai li ha salutati con un balzo del 10,73%, ad indicare quali fossero le preferenze della borghesia e delle caste dominanti indiane, nonché del mondo degli affari globalizzato. In effetti la borghesia indiana, e con essa la gran parte dell’alta nobiltà brahaminica che ancora gode di posizioni dominanti anzitutto nell’elefantiaco apparato amministrativo, politico-burocratico e militare, hanno anzitutto scelto la stabilità politica, ritenendo che solo il potente apparato bruocratico dell’INC possa effettivamente assicurare la sicurezza, ovvero la prevenzione dei conflitti, e la continuità, ovvero mano libera negli affari. Una scelta dettata non solo  da preoccupazioni tattiche momentanee ma dal timore che i colossali squilibri sociali accentuati dal poderoso recente sviluppo capitalistico, possano prima o poi sprofondare il paese in un caos sociale dalle imprevedibili conseguenze.
La “più grande democrazia del mondo” è infatti seduta su un vulcano. All’instabile e spesso conflittuale convivenza tra le diverse nazionalità che compongono il paese si aggiungono quelli tra le diverse comunità religiose. Entrambi questi confllitti si incrociano poi con quello sociale e di classe, visto che gran parte delle minoranze nazionali (parliamo anche di numerose comunità tribali) e quella religiosa più importante, la musulmana, soffrono di profonde e spesso spaventose discriminazioni sociali e politiche, costituendo il grosso della caste più basse, del contadiname e del proletariato urbano. Il prepotente sviluppo capitalistico registratosi negli ultimi decenni, se ha nutrito un nuovo ceto medio, ha invece approfondito il solco che divide i ricchi dai poveri, le città dalle campagne, gli stati più floridi da quelli in condizioni disperate. Il fatto è che in sintonia con le dinamiche politiche mondiali questi conflitti non si sono manifestati in maniera classista, non hanno premiato la sinistra storica, hanno invece alimentato o i radicalismi religiosi, oppure le aspirazioni nazionalistiche (vedi il caso dei sette stati del Nord Est).

 

La pesante sconfitta del BJP

Il Barathyia Janata Party (BJP) esce pesantemente ridimensionato da queste elezioni legislative. Anche il BJP non si è presentato da solo ma in una composita coalizione, l’Alleanza Nazionale Democratica (NDA). Nonostante la sua ampiezza questo cartello ha ottenuto 159 seggi, di cui 116 al BJP, 22 seggi in meno del 2004. Uno smottamento pesante, visto che il BJP sperava di andare al governo.
A dispetto dell’aggettivo il NDA ha coalizzato quella che in un gergo europeo chiameremmo la destra reazionaria e radicale del paese. Usando un vocabolario Hindi BJP e NDA hanno scelto di rappresentare politicamente il fondamentalismo religioso induista, ovvero quel moto revanchista hindù che va sotto il nome di l’Hindutva. Un moto che viene da molto lontano e che salda in un esplosivo coacervo populista settori importanti delle caste nobiliari e notabilari induiste con quelle più umili, fino agli intoccabili, ai quali si vorrebbe far credere che la loro drammatica discriminazione non dipende appunto dalla tradizionale struttura castale brahaminica, né dal selvaggio sviluppo capitalistico, ma appunto dalle minoranze non induiste, siano esse religiose, nazionali o tribali.
Mettendo a capo della coalizione Narendra Modi, il premier del Gujarat (propro lo stato dove, sotto i suoi occhi, nel 2002, avvenne un sanguinoso pogrom ai danni della nutrita minoranza musulmana da parte di folle induiste inferocite) il BJP ha sfrontatamente impostato la sua campagna elettorale facendo leva sui sentimenti più retrivi e settari della maggioranza induista, chiamandola al “riscatto”, ovvero a conquistare tutte le leve del potere, nella prospettiva della completa industizzazione delle istituzioni e quindi teorizzando l’aperta esclusione delle minoranze. E’ comprensibile come, davanti a questa incombente minaccia, l’INC abbia fatto man bassa dei voti anzitutto tra le diverse minoranze religiose e nazionali. Non solo per questa perorazione dell’Hindutva il BJP è stato battuto. Il secondo cavallo di battaglia del BJP e della NDA è stato lo “sviluppo”, metafora demagogica per indicare appunto il liberismo, dare libero sfogo alle pulsioni animali del capitalismo rampante. Narendra Modi si gonfiava il petto, nei suoi innumerevoli comizi, spiattellando i dati del “folgorante” sviluppo economico del Gujarat, il più alto di tutti gli altri stati. Ciò che questo guru ometteva di dire è quanto pesante fosse il costo sociale di questo “sviluppo” e sulle spalle di chi ricadesse (nelle fabbrichette del Gujarat si può lavorare a meno un dollaro al giorno!). La pesante sconfitta della destra induista è forse il risultato meno pessimo delle recenti elezioni indiane.

 

Il tonfo della sinistra storica

Anche la sinistra storica ha tuttavia subito una sconfitta, nelle sue dimensioni anche più cocente del BJP. I due storici partito comunisti, il Partito Comunista dell’India (marxista) e il Partito Comunista Indiano hanno infatti deciso, per queste elezioni, non solo di presentare una lista unitaria di Sinistra, ma di far parte del cosiddetto Terzo Fronte, un’eteroclita alleanza di centro-sinistra imperniata su alcuni partiti moderati che nel frattempo avevano rotto con l’INC. Questo Terzo Fronte ha conquistato 80 seggi, ed è quindi la terza forza parlamentare. Questo risultato non deve tuttavia trarre in inganno. Il dato eclatante su cui soffermarsi è che i due partiti comunisti assieme hanno ottenuto 22 seggi mentre nel 2004, col 6% dei voti, solo il PCI(m) ne ottenne 44. Una vera e propria disfatta. In un comunicato congiunto i due partiti comunisti (che in gergo europeo definiremmo “riformisti”) hanno diffuso un comunicato stampa in cui fanno autocritica e se la prendono con gli elettori, i quali non avrebbero capito il senso del Terzo Fronte, ovvero l’alleanza con partiti capitalisti “progressisti”, spesso capeggiati da notabili locali corrotti ed emarginati dall’INC. L’India è lontana, e certo molto diversa dall’Italia, ma quello dei comunisti indiani rassomiglia come una goccia d’acqua al disastro elettorale dell’Arcobaleno, non fosse che i “riformisti” indiani almeno salvano la faccia.
Il disastro elettorale dei due partiti comunisti è reso ancor più grave dai numeri ottenuti nei due stati in cui essi erano al governo da decenni, il West Bengala e il Kerala. In un proprio comunicato la direzione del CPI(m) (http://vote.cpim.org/) chiama ad una severa autocritica, non si indica quale. Non si fa cenno, ad esempio, alla scandalosa politica seguita dal governo del West Bengala, segnata dal pieno sostegno all’industrializzazione selvaggia, all’esproprio di decine di migliaia di contadini poveri per far posto a fabbriche e infrastrutture. Né si dice una parola sul fatto che la polizia, inviata dai governanti “comunisti”, ha represso nel sangue le sommosse della povera gente soprattutto nelle zone a ridosso di Calcutta. Nessun cenno di autocritica insomma rispetto ad una politica che non ha fatto che assecondare il selvaggio boom capitalistico e affaristico ai danni sia del proletariato che dei contadini. Questi dirigenti sanno bene che non hanno perso voti solo verso il Congresso, che in gran parte I loro elettori semplicemente li hanno abbandonati senza andare al voto. L’astensione infatti è considerevolmente cresciuta e il sistema elettorale uninominale non può nascondere questo fatto (i due principali schieramenti, l’UPA e il NDA hanno sì ottenuto il 78% dei seggi, ma prendendo meno del 48% dei voti complessivi).

 

Il capro espiatorio dei maoisti naxaliti

Una delle ragioni addotte, soprattutto dal CPI(m), per giustificare la sconfitta, è l’ “assalto subito da parte dei terroristi”, dove per terroristi essi intendono i maoisti, alias naxaliti. E’ vero che nel West Bengala, durante la campagna elettorale, 5 membri del CPI(m) sono stati uccisi dai guerriglieri maoisti. Il CPI(m) dimentica di ricordare che nel West Bengala esso era fino alle elezioni la principale forza di governo, che  in combutta con gli apparati repressivi di Nuova Dheli ha perseguitato i maoisti indiani, soprattutto la corrente People’s War, che ne ha fatti imprigionare decine e fatti massacrare altrettanti. Si può disquisire se sia giusto o sbagliato praticare la lotta armata in India, ciò su cui non si può avere dubbi è che i maoisti naxaliti danno voce agli strati più oppressi della popolazione e che organizzano le lotte popolari contro il barbarico boom capitalistico, con particolare riguardo alle minoranze nazionali, religiose ed etniche. Il CPI(m) dimentica infine di precisare che gli attacchi dei maoisti erano contestuali alla loro pratica di boicottaggio delle elezioni. Un boicottaggio nient’affatto residuale o flolkoristico, visto che secondo lo stesso Ministro degli interni attacchi ai seggi ci sarebbero stati in ben 12 degli stati indiani, in quella dorsale che va da Bihar al Tamil Nadu, passando per Uttar Pradesh, West Bengala, Andhra Pradesh e Kerala. Una vasta area grande quanto mezza Europa con una rete di migliaia di guerriglieri, una presenza capillare tra le masse e una struttura logistica potente.