La scena di Mahmoud Jilu, 4 anni, che fa rotolare la palla insieme agli amici non sembra affatto strana, finché non si vede dove sta giocando. Mahmoud corre dietro alla palla in un cortile pieno di tombe, che costituiscono il cimitero dove la sua famiglia vive da quando ha memoria.

I sei membri della famiglia Jilu vivono tutti insieme in una casa minuscola, con una stanza da letto e un piccolo spazio per la cucina con una tomba vicino ad essa. Per Afaf Jilu, 30 anni, mamma di tre bambini e una bambina, non è la vista delle tombe circostanti che la mette più a disagio ma lo spazio angusto che la costringe a vivere in un’unica stanza con suo marito e i quattro figli.

“La mancanza di privacy è ciò che rende questa vita insopportabile”, dice Afaf. “Quando cerco di dormire, i miei figli vogliono guardare la tv e sono appena bambini. Non posso rendere loro le cose ancora peggiori negando quello che vogliono”.

Aggiunge Afaf: “Continuo a dire a me stessa che avremo la nostra casa quando la situazione economica del paese sarà migliorata, e allora potrò piantare molti alberi intorno alla casa anziché avere un cimitero che ci soffoca da ogni parte. Tutti noi ci aggrappiamo ai nostri piccoli sogni. E’ la cosa migliore che abbiamo imparato vivendo qui; più vediamo le persone morire, lasciandosi dietro i propri sogni, più ci attacchiamo ai nostri. E’ il solo modo per farcela!”.

Per il tredicenne Mohammed, la cosa è diversa, perché non porta mai con sé i propri amici a giocare o a studiare, per la sua sensazione di essere un”intruso”, da quando vive in un cimitero. “I miei amici non sono abituati all’idea di vivere in mezzo ai morti. Può sembrare uno scherzo stupido e non l’esatta realtà della vita. Qualche volta mi vergogno di questo posto”, dice.

La sedicenne Nour non è d’accordo con suo fratello dato che si sente libera di invitare le amiche di scuola nella sua casa “unica nel suo genere”. “Non ho fastidi dalle ragazze a scuola a causa di dove abito. Mi rispettano per quello che sono e non per dove vivo. E’ una cosa così semplice da fare – solo i ragazzetti pensano in quel modo. Inoltre, molte famiglie hanno perso di recente le loro case dopo che sono state distrutte dalla guerra e non si vergognano, perché dovrei farlo io?”. Nour dice di sognare di andare un giorno al college e di diventare infermiera. Dice di voler lavorare con i pazienti negli ospedali e di voler essere considerata “un angelo di misericordia”.

Suhail Jilu, 43 anni, lavora come taxista ed è quello che mantiene la famiglia. La sua famiglia abita nel cimitero di al-Sheikh Shaban, al centro di Gaza City, dal 1948, quando vennero espulsi dalle loro terre a Jaffa dalle forze sioniste. Egli svolge due lavori, e aiuta anche nei funerali che si svolgono vicino casa sua per racimolare un po’ di denaro per una nuova casa. Suhail ha ricevuto di recente un avviso ufficiale dalle autorità affinché abbandoni la propria casa,  perché si trova in un terreno di proprietà del governo.

Spiega con un tono di voce disperato: “Chi vorrebbe una tale vita per sé e per i propri figli? Sia la situazione che il governo sono contro di noi! Come se potessimo scegliere!”.

Ha aggiunto: “Abbiamo sogni urgenti da realizzare e un altro genere di vita lontano dalla morte e dalla miseria. La nostra situazione non era migliore di altre durante l’ultima guerra; in realtà era peggiore, avendo a che fare con la morte e i funerali tutto il giorno tutti i giorni. Niente può essere più dannoso di questo per la salute mentale dei miei figli”.

Come altre famiglie di Gaza, la famiglia Jilu lotta con la spaventosa situazione economica causata dall’assedio israeliano. Nonostante i loro disperati tentativi di lasciare il cimitero, non sono riusciti a trasferirsi. I Jilu sono ancora intrappolati tra l’alternativa di essere cacciati e quella di non avere un’ abitazione alternativa al crescente – e soffocante – numero di tombe intorno a loro. Vivere in mezzo ai morti è un’amara realtà per anime che sognano una vita migliore.

 

* Eman Mohammed è un fotoreporter nonché giornalista freelance giordano – palestinese, che risiede a Gaza dal 2005.

Articolo originale pubblicato il 19 maggio in ElectronicIntifada.net.

 

Tradotto in italiano dalla Redazione