Non c’è dubbio che in questi giorni si è assistito a un tentativo di colpo di Stato, fomentato e appoggiato dall’esterno. Ovviamente, tentativi del genere possono avere chances di successo solo in presenza di una consistente opposizione interna. E, tuttavia, la sostanza del problema non cambia.
La tecnica dei colpi di Stato filo-imperialisti, camuffati da «rivoluzioni colorate», segue ormai uno schema ben consolidato:
1) Alla vigilia delle elezioni o immediatamente dopo il loro svolgimento una gigantesca potenza di fuoco multimediale, digitale e persino telefonica bombarda ossessivamente la tesi secondo cui a vincere è stata l’opposizione, che dunque viene spinta a scendere in piazza per protestare contro i «brogli».
2) Il «colore» e le parole d’ordine delle manifestazioni sono state già programmate da tempo; la «guerra psicologica» è stata già definita in tutti i suoi dettagli per fare apparire l’opposizione filo-imperialista come «pacifica» espressione della volontà popolare e per bollare come intrinsecamente fraudolente e violente le forze di orientamento diverso e contrapposto.
3) La rivendicazione è quella dell’annullamento delle elezioni e della loro ripetizione. Non sarà ritenuto valido nessun risultato che non sia avallato dai giudici inappellabili che risiedono a Washington e a Bruxelles. E comunque, la ripetizione della consultazione elettorale già di per sé è destinata a produrre un rovesciamento del risultato precedente. Il blocco politico-sociale che aveva espresso il vincitore considerato illegittimo a Washington e a Bruxelles tende a sgretolarsi: appare ora privo di senso opporsi ai padroni del mondo, che già con l’annullamento delle elezioni hanno dimostrato la loro onnipotenza; donchisciottesco risulta ora tentare di opporsi alla corrente «irresistibile» della storia. Donchisciottesco e anche pericoloso: come dimostra in particolare il caso di Gaza, un risultato elettorale non gradito ai padroni del mondo spiana la strada all’embargo, al blocco, ai bombardamenti terroristici, alla morte per inedia o sotto il fosforo bianco. Su versante opposto i «democratici» legittimati e benedetti da Washington e da Bruxelles, oltre a disporre della strapotenza economica, multimediale, digitale e telefonica dell’Occidente, saranno ulteriormente caricati dalla sensazione di muoversi in consonanza con le aspirazioni dei padroni del mondo e con la corrente «irresistibile» della storia.
Alla luce di queste considerazioni evidente è la miseria intellettuale e politica di buona parte della «sinistra» italiana. Essa non presta nessuna attenzione ad esempio alla presa di posizione del presidente brasiliano Lula: in base a quale principio l’Occidente può pretendere di proclamare in modo inappellabile la legittimità delle elezioni in Messico dell’anno scorso e l’illegittimità delle elezioni di due settimane fa in Iran? Eppure anche nel primo caso il candidato sconfitto denunciava brogli e nel far ciò dava voce a un sentimento largamente diffuso nella popolazione, che infatti scendeva in piazza in manifestazioni non meno massicce di quelle che si sono viste a Teheran. Ed è da aggiungere che in Messico il margine di vantaggio del vincitore era assai risicato, al contrario di quello che si è verificato in Iran…
Rinvio a altra occasione l’analisi complessiva della rivoluzione e situazione iraniana. Ma una cosa intanto è chiara. Nel suo conformismo, una certa «sinistra» crede di difendere la causa della democrazia: in realtà essa prende posizione a favore di un ordinamento internazionale profondamente antidemocratico, nell’ambito del quale le potenze oggi economicamente e militarmente più forti avanzano la pretesa di decidere sovranamente della legittimità delle elezioni in ogni angolo del mondo, nonché di condannare all’inferno dell’aggressione militare e dello strangolamento economico quei popoli che esprimono preferenze elettorali «sbagliate»: Gaza docet!
da http://domenicolosurdoiran.blogspot.com/