Ilyas Kashmiri, per alcuni analisti il comandante in capo delle operazioni globali di al-Qaeda e per altri capo dell’ala militare dell’organizzazione, a settembre è stato dichiarato morto dal Pakistan e dalla CIA, che ha parlato di “grande successo della guerra al terrore”. A quanto pare è invece ancora vivo, e ha rilasciato un’intervista esclusiva ad Asia Times Online esponendo la strategia e le tattiche di al-Qaeda e la sua personale visione degli sviluppi futuri.

Capo della guerriglia di al-Qaeda espone la sua strategia

di Syed Saleem Shahzad *

ANGORADA, Sud Waziristan, ai confini con l’Afghanistan – Un incontro ad alto livello tra i capi militari e civili pakistani svoltosi il 9 ottobre al palazzo presidenziale ha approvato un’operazione contro i taliban pakistani e al-Qaeda nell’area tribale del Sud Waziristan, che gli analisti considerano la madre di tutti i conflitti regionali.

Contemporaneamente, al-Qaeda sta mettendo in atto la sua strategia nel teatro di guerra dell’Asia meridionale, nell’ambito di una campagna più vasta contro l’egemonia globale americana inaugurata con gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti.

L’obiettivo di al-Qaeda restano gli Stati Uniti e i loro alleati, come l’Europa, Israele e l’India, e l’organizzazione non prevede di diluire la propria strategia accogliendo nel proprio seno movimenti di resistenza musulmani con parametri ristetti. In questo contesto, l’attività militante in Pakistan è vista più come un fattore di complessità che come parte della strategia di al-Qaeda.

Negli ultimi giorni i militanti sono stati particolarmente attivi. Giovedì scorso un’auto imbottita di esplosivo è stata lanciata contro il muro di cinta dell’Ambasciata indiana a Kabul, la capitale dell’Afghanistan, uccidendo almeno 17 persone. Sabato, poi, dei militanti hanno messo in atto un audace attacco contro il quartier generale dell’esercito pakistano a Rawalpindi, città gemella della capitale Islamabad. Lunedì un attentatore si è fatto esplodere in un mercato, nella regione della Valle di Swat, uccidendo 41 persone e ferendone 45.

Il Pakistan si trova ora a un punto critico, con le forze armate raccolte in grandissimo numero (quasi un corpo, ben 60.000 soldati) attorno al Sud Waziristan per cacciare il Pakistan Tehrik-e-Taliban (PTT), al-Qaeda e i loro alleati dalle aree tribali del Pakistan.

In questi momenti difficili, Mohammad Ilyas Kashmiri, colui che secondo i servizi segreti americani è il capo delle operazioni militari di al-Qaeda e la cui morte è stata erroneamente confermata in occasione di un attacco di un drone nel Nord Waziristan, ha accettato di parlare con Asia Times Online.

Sono stato invitato in un rifugio segreto nell’area di confine tra il Sud Waziristan e l’Afghanistan, zona regolarmente sorvolata dai droni.

Questa è la prima interazione con i media di Ilyas da quando si è unito ad al-Qaeda, nel 2005. È un esperto comandante formatosi ai tempi della lotta con l’India per il Kashmir diviso.

Negli ultimi mesi i militanti sembravano essere sulla difensiva. Vari capi sono rimasti uccisi negli attacchi di droni in Pakistan. Tra questi, il keniota Osama al-Kini, capo delle operazioni esterne di al-Qaeda; Khalid Habib, comandante del Lashkar al-Zil o Esercito Fantasma, il braccio militare di al-Qaeda; Tahir Yuldashev, leader del Movimento Islamico dell’Uzbekistan, legato ad al-Qaeda; il capo del PTT Baitullah Mehsud, e molti altri.

Anche i taliban pakistani sono stati duramente colpiti dall’esercito nelle aree urbane e tribali. Erano in corso negoziati per raggiungere accordi di pace con alcuni comandanti taliban in varie province afghane.

Poi la scorsa settimana almeno nove soldati statunitensi, oltre a diverse decine di uomini dell’Esercito Nazionale Afghano (ANA), sono rimasti uccisi in un’incursione in un avamposto della provincia del Nuristan. Inoltre sono stati rapiti dai taliban più di trenta ufficiali e soldati dell’ANA.

A questo attacco se ne sono aggiunti altri contro basi NATO nelle province sudorientali di Khost, Paktia e Paktika, costringendo il Generale statunitense Stanley McChrystal a ritirare tutte le truppe dalle postazioni isolate nelle aree più remote di queste province per riposizionarle in centri abitati.

Ciò ha dato ai taliban uno spazio immenso per muoversi liberamente, vale a dire che se il Pakistan conducesse operazioni in Sud Waziristan i militanti potrebbero facilmente trovare rifugio oltreconfine.

Gli attacchi degli ultimi giorni hanno anche dimostrato che i militanti sono ancora capaci di colpire praticamente a volontà obiettivi importanti. Comportano anche una riconfigurazione del teatro di guerra: il Pakistan dovrà riposizionare le truppe dal fronte orientale (l’India) a quello occidentale (l’Afghanistan), dato che i taliban sono ora il nemico numero uno.

Washington intende mandare almeno altri 40.000 soldati in Afghanistan, mentre l’India collaborerà a questi sforzi con la competenza del suo esercito e dei suoi servizi segreti contro il nemico comune rappresentato dai gruppi militanti musulmani.

La prossima battaglia

Ilyas Kashmiri ha espresso il suo punto di vista sulla prossima battaglia, sui suoi obiettivi e sul suo impatto sull’Occidente in relazione alla destabilizzazione di uno Stato musulmano come il Pakistan.

Il contatto con Asia Times Online è cominciato il 6 ottobre con una telefonata dei militanti, che mi hanno invitato nella città di Mir Ali nel Nord Waziristan. Non è stata fornita nessuna motivazione. Il giorno successivo sono andato a Mir Ali, una città che nell’anno passato è stata pesantemente attaccata dai droni. Dopo più di sette ore di continui spostamenti sono stato ricevuto da un gruppo di uomini armati che mi hanno condotto nella casa di un membro di una tribù locale.

“Il comandante [Ilyas Kashmiri] è vivo. Come sa, il comandante prima d’ora non ha mai parlato con i media, ma dato che tutti sono certi della sua morte nell’attacco compiuto da un drone [a settembre], la shura [concilio] di al-Qaeda ha deciso di smentire questa notizia con un’intervista a un giornale indipendente, e la shura ha scelto lei”: così mi ha detto, non appena ho raggiunto il luogo sicuro, una persona che sapevo avere un ruolo cruciale nella famosa Brigata 313 di Ilyas. La Brigata, un insieme di gruppi jihadisti, aveva combattuto per molti anni contro l’India nel Kashmir amministrato da quest’ultima.

“Dovrà rimanere in questa stanza finché non la informeremo dei prossimi movimenti. Può udire il rumore dei droni che sorvolano questa zona, dunque non lascerà questa stanza. L’area è piena di taliban, ma anche di informatori che potrebbero denunciare la presenza di stranieri e dunque provocare un attacco,” ha detto l’uomo.

Il giorno dopo mi hanno trasferito in un’altra casa in una località sconosciuta, a circa tre ore di viaggio. Per tutto questo tempo sono stato scortato da uomini armati. Non avevo il permesso di parlare con loro, e loro non potevano comunicare con me. Questo è il mondo di al-Qaeda. Il 9 ottobre, di primo mattino, sono arrivati alcuni uomini armati a bordo di un’auto bianca.

“Lasci qui tutti i suoi dispositivi elettronici, prego. Niente cellulare, niente macchina fotografica, niente. Le forniremo carta e penna per scrivere l’intervista,” sono state le istruzioni. Dopo un viaggio molto scomodo durato varie ore, per strade fangose e attraverso passi di montagna, siamo entrati in una stanza dove avrebbe dovuto attenderci Ilyas.

Dopo un paio d’ore il silenzio è stato rotto dal rumore di un veicolo potente. La scorta e gli uomini che si trovavano già lì hanno rapidamente preso posizione. Indossavano tutti dei porta-cartucce ed erano armati di AK-47.

Ilyas ha fatto il suo ingresso. Figura imponente, più di un metro e ottanta di statura, indossava un turbante color crema e un qameez shalwar (completo tradizionale composto da camicia e calzoni) bianco, portava un AK-47 a tracolla, teneva in mano un bastone di legno ed era affiancato da uomini della sua celebre Brigata 313.

Ilyas adesso porta una lunga barba bianca tinta di henné rossastro. A 45 anni ha ancora una corporatura robusta, anche se reca le cicatrici della guerra: ha perso un occhio e un dito in battaglia. Quando mi ha stretto la mano, ho sentito la forza della sua presa.

Il padrone di casa ci ha subito servito il pranzo, e ci siamo seduti a mangiare sul pavimento.
“Dunque è sopravvissuto a un terzo attacco con i droni… perché la CIA le dà così tanto la caccia?” ho chiesto.

Era una domanda retorica. È uno dei comandanti di al-Qaeda di altissimo profilo; in Pakistan ha una taglia di 50 milioni di rupie (600.000 dollari) sulla testa. La sua posizione viene descritta in modo diverso a seconda dei vari organi di stampa e intelligence. Secondo alcuni è il comandante in capo delle operazioni globali di al-Qaeda, mentre per altri sarebbe il capo dell’ala militare dell’organizzazione.

Se oggi al-Qaeda si divide in tre sfere, Osama bin Laden è indubbiamente il simbolo del movimento e il suo vice Ayman al-Zawahiri definisce l’ideologia e la più ampia visione strategica di al-Qaeda. Ilyas, con la sua ineguagliata esperienza di guerrigliero, traduce la visione strategica in realtà, fornisce le risorse e fa sì che gli obiettivi siano conseguiti, ma sceglie di restare sullo sfondo e mantiene un profilo molto basso.

Le sue basi e attività sono sempre state segrete. Tuttavia, l’arresto di cinque dei suoi uomini in Pakistan all’inizio dell’anno e gli interrogatori cui sono stati sottoposti hanno contribuito a sollevare il velo di segretezza. Le informazioni da loro fornite hanno portato agli attacchi dei droni della CIA contro di lui, il primo a maggio, il secondo il 7 settembre, quando è stato dichiarato morto dai servizi pakistani, e il terzo il 14 settembre, dopo il quale anche la CIA l’ha dichiarato morto parlando di un grande successo della “guerra al terrore”.

“Fanno bene a darmi la caccia. Conoscono bene il loro nemico. Sanno di cosa sono capace,” ha replicato fiero Ilyas.

Nato il 10 febbraio 1964 a Bimbur (già Mirpur) nella Valle di Samhani nel Kashmir amministrato dal Pakistan, Ilyas frequentò il primo anno di un corso di laurea in comunicazioni di massa alla Allama Iqbal Open University di Islamabad. Non proseguì gli studi a causa del pesante coinvolgimento nelle attività del jihad.

Il Movimento per la liberazione del Kashmir fu la sua prima esperienza nella militanza; fu poi la volta del Jihad-i-Islami (HUJI) e infine della leggendaria Brigata 313. Quest’ultima è diventata il gruppo più potente dell’Asia meridionale e dispone di una rete compatta in Afghanistan, Pakistan, Kashmir, India, Nepal e Bangladesh. Secondo alcuni dispacci della CIA, elementi della Brigata 313 si trovano ora in Europa e sono capaci del genere di attacco che ha visto una manciata di militanti terrorizzare Mumbai lo scorso novembre.

Poco si sa della vita di Ilyas, e quello che si racconta è spesso contraddittorio. Tuttavia viene invariabilmente descritto, di certo dagli organi di intelligence mondiali, come il capo guerriglia più efficace e pericoloso del mondo.

Ha lasciato la regione del Kashmir nel 2005 dopo essere stato scarcerato per la seconda volta dai servizi segreti pakistani, l’ISI, e si è diretto nel Nord Waziristan. In precedenza era stato arrestato dagli indiani, ma era riuscito a evadere. Poi era finito nelle mani dell’ISI, che lo sospettava di essere la mente di un attentato contro l’allora presidente Pervez Musharraf, nel 2003, ed era poi stato scagionato e scarcerato. L’ISI ha arrestato nuovamente Ilyas nel 2005 quando si è rifiutato di porre fine alle operazioni in Kashmir.

Il suo riposizionamento nelle turbolente aree di confine ha fatto rabbrividire Washington, dove ci si è resi conto che con la sua enorme esperienza era in grado di trasformare rozzi schemi di battaglia in Afghanistan in audaci tattiche di guerriglia moderna.

I trascorsi di Ilyas erano eloquenti. Nel 1994 lanciò l’operazione al-Hadid nella capitale indiana, Nuova Delhi, per ottenere il rilascio di alcuni compagni jihadisti. Il suo gruppo di 25 persone comprendeva lo sceicco Omar Saeed (il sequestratore del giornalista statunitense Daniel Pearl a Karachi nel 2002), suo vice. Il gruppo rapì diversi stranieri, compresi turisti americani, israeliani e britannici, e li portò a Ghaziabad, nelle vicinanze di Delhi. I sequestratori chiesero la scarcerazione dei loro colleghi, ma le forze indiane attaccarono il loro nascondiglio. Il sceicco Omar rimase ferito e fu arrestato. (Fu in seguito scarcerato grazie allo scambio con i passeggeri di un areo indiano dirottato.) Ilyas sfuggì all’attacco incolume.
Il 25 febbraio del 2000 un commando dell’esercito indiano attraversò la linea di controllo (LoC) che separa i due Kashmir e uccise 14 civili nel villaggio di Lonjot, nel Kashmir ad amministrazione pakistana. Il commando fece ritorno nel Kashmir ad amministrazione indiana dopo aver rapito delle ragazze pakistane, e gettò ai soldati pakistani le teste mozzate di tre di esse.

Il giorno dopo Ilyas condusse un’operazione di guerriglia contro l’esercito indiano a Nakyal, nel settore controllato dal Pakistan, dopo aver attraversato la LoC con 25 guerriglieri della Brigata 313. Rapirono un ufficiale dell’esercito indiano che fu poi decapitato: la sua testa fu esibita nei bazar di Kotli, in territorio pakistano.

Ma l’operazione più significativa di Ilyas fu condotta contro una base militare nel Kashmir controllato dall’India, in seguito al massacro di musulmani nella città indiana di Gujarat nel 2002. Con un’accurata pianificazione, gli uomini della Brigata 313 si divisero in due gruppi e misero in atto un primo attentato per attirare in una trappola generali e altri alti ufficiali indiani. Due generali rimasero feriti (l’esercito pakistano non è riuscito a ferire un solo generale indiano in tre guerre) e morirono diversi generali di brigata e colonnelli. Fu uno dei colpi più duri inflitti all’India nella lunga storia dell’insurrezione del Kashmir.

Nonostante quello che affermano alcune fonti, Ilyas non ha mai fatto parte delle forze speciali del Pakistan, neanche dell’esercito. Quasi 30 anni fa, quando si unì al jihad afghano contro i sovietici dalla piattaforma dell’HUJI, fece esperienza nella guerriglia e nell’uso di esplosivi.

Soli pochi mesi dopo essere giunto nel teatro di guerra afghano, nel 2005, Kashmiri riconfigurò le forze insorgenti guidate dai taliban basandosi sulla strategia di strangolamento messa in atto dal leggendario generale vietnamita Vo Nguyen Giap. I taliban dovevano concentrarsi sulla necessità di tagliare tutte le linee di rifornimento della NATO in Afghanistan e di condurre operazioni speciali simili all’attentato di Mumbai in India.

Negli anni Ilyas ha voluto mantenere un profilo basso nella gerarchia dei militanti. Le sue operazioni sono invece di alto profilo, benché non diffonda mai dichiarazioni o rivendichi gli attentati.

Si ritiene che la sua Brigata 313 sia il principale catalizzatore di operazioni d’alto profilo come quella di Mumbai e altre azioni in Afghanistan, nonché delle operazioni di al-Qaeda in Somalia e in una certa misura in Iraq.

“Crede che l’imminente operazione in Sud Waziristan sarà la ‘madre di tutte le operazioni’ nella regione, come sostengono alcuni analisti?” ho chiesto quando abbiamo finito di pranzare e mi sono ritrovato da solo con Ilyas e il suo uomo più fidato.

“Non sono capace di giocare con le parole in un’intervista,” ha risposto Ilyas. “Sono sempre stato un comandante e conosco il linguaggio dei campi di battaglia. Cercherò di rispondere alle sue domande nel linguaggio che mi è familiare. (Ilyas parla prevalentemente in urdu, mescolato con parole punjabi.)

“Saleem! Richiamerò la sua attenzione sugli aspetti fondamentali dell’attuale teatro di guerra e me ne servirò per spiegare la strategia delle prossime battaglie. Coloro che hanno pianificato questa battaglia miravano in realtà ad attirare il più grande Satana del mondo [gli Stati Uniti] e i suoi alleati in questa trappola e pantano [l’Afghanistan]. L’Afghanistan è un luogo unico al mondo, nel quale il cacciatore può scegliere tra tutti i tipi di trappole.

“Possono essere i deserti, i fiumi, le montagne e anche i centri urbani. Così ha pensato chi ha pianificato questa guerra, era stufo degli intrighi globali del grande Satana e mirava a sconfiggerlo per trasformare questo mondo in un luogo di pace e giustizia. Tuttavia il grande Satana era pieno d’arroganza e senso di superiorità e pensava che gli afghani fossero delle statue indifese che si sarebbero lasciate colpire dalle sue macchine da guerra da tutte le direzioni, e che non avrebbero avuto la forza o la capacità di reagire.

“Questa era l’illusione con la quale una grande alleanza di potenze mondiali venne in Afghanistan, ma a causa delle loro aspettative mal riposte queste potenze rimasero gradualmente intrappolate in Afghanistan. Oggi la NATO non ha alcun significato o rilevanza. Hanno perso la guerra in Afghanistan. Ora, una volta compresa la loro sconfitta, hanno posato l’accento sul fatto che tutta questa battaglia si combatte dall’esterno, cioè dai due Waziristan. Per me, questa tesi militare è un miraggio che ha creato una situazione complessa nella regione e ha prodotto reazioni e controreazioni. Non vorrei entrare nei dettagli, ritengo che sia stato solo un diversivo. Da comandante militare penso che in realtà la trappola dell’Afghanistan abbia successo e che i principali obiettivi militari sul terreno siano stati raggiunti,” ha detto Ilyas.

Ho replicato che il riposizionamento della Brigata 313 dal Kashmir era di per sé una dimostrazione del fatto che in Afghanistan erano coinvolte forze straniere.
“Tutta la base del suo ragionamento è sbagliata, a proposito del fatto che questa guerra viene combattuta dall’esterno. È una valutazione sganciata dal contesto dell’intera situazione. Se parliamo di me e della Brigata 313, io ho deciso di unirmi alla resistenza afghana come individuo e avevo le mie buone ragioni. Tutti sanno che solo dieci anni fa combattevo una guerra di liberazione per la mia terra natale, il Kashmir.

“Tuttavia ho capito che decenni di lotte politiche e armate non avevano contribuito a risolvere la questione. Però il problema di Timor Est è stato risolto senza perderci troppo tempo. Perché? Perché tutto il gioco stava nelle mani del grande Satana, gli Stati Uniti. Organismi come le Nazioni Unite e paesi come l’India e Israele erano una semplice estensione delle sue risorse; ecco perché non si è riusciti a risolvere la questione palestinese, quella del Kashmir e il problema dell’Afghanistan.

“Così io e molte persone sparse in tutto il mondo abbiamo capito che analizzare la situazione in una prospettiva politica regionale ristretta costituiva un approccio scorretto. Questo è un gioco completamente diverso e impone una strategia unica. La sconfitta dell’egemonia americana globale è indispensabile se voglio la liberazione del mio Kashmir, ed è questo che ha motivato la mia presenza in questo teatro di guerra.
Ha continuato Ilyas: “Quando sono giunto qui ho capito che la mia decisione era giustificata; ho compreso come le potenze mondiali operino sotto l’ombrello del grande Satana e appoggino i suoi ambiziosi piani. Qui in Afghanistan lo si può vedere.” Ha aggiunto che la strategia di guerra regionale di al-Qaeda, in base alla quale sono stati colpiti obiettivi indiani, è di fatto abbattere la potenza americana.

“Il RAW [Research and Analysis Wing, il dipartimento indiano di ricerca e analisi] ha centri di comando distaccati nelle province afghane di Kunar, Jalalabad, Khost, Argun, Helmand e Kandahar. Le attività di copertura sono costituite da compagnie che si occupano della costruzione di strade. Per esempio, il contratto per la costruzione della strada da Khost all’area tribale Tanai è in mano a un appaltatore che è attualmente un colonnello dell’esercito indiano. A Gardez la copertura è fornita dalle compagnie di telecomunicazioni. I loro uomini operano per lo più con nomi musulmani, ma di fatto i dipendenti sono hindu”.

“Dunque il mondo dovrebbe aspettarsi altri attentati come quello di Mumbai?” ho domandato.

“Non è niente se paragonato a quello che è già stato pianificato per il futuro,” ha risposto Ilyas.

“Anche contro Israele e gli Stati Uniti?” ho chiesto.

“Saleem, non sono un esponente religioso tradizionale del jihad che si occupa di slogan. Da comandante militare direi che ogni obiettivo ha un suo momento e una sua ragione specifici, e le risposte arriveranno di conseguenza,” ha detto Ilyas.

Mentre trascrivevo le risposte di Kashmiri, pensavo come anni prima fosse stato il beniamino delle forze armate pakistane, il loro orgoglio. Le più alte cariche militari erano fiere di incontrarlo nella sua base nel Kashmir, trascorrevano del tempo con lui e ascoltavano i racconti leggendari dei suoi giochi di guerra. Oggi avevo davanti una persona diversa: un uomo condannato come terrorista dal sistema militare pakistano, che lo vuole morto a tutti i costi.

“Cosa l’ha spinta a unirsi ad al-Qaeda?” ho domandato.

“Eravamo vittime dello stesso tiranno. Oggi tutto il mondo musulmano è stufo degli americani, ed è per questo che è d’accordo con lo sceicco Osama. Se a tutti i musulmani venisse chiesto di eleggere il loro capo, la loro scelta cadrebbe sul [leader taliban] Mullah Omar o sullo sceicco Osama,” ha risposto Ilyas.

“Se è così, perché una sezione di militanti vuole la guerra con Stati musulmani come il Pakistan? Ritiene che sia corretto?”

“La nostra battaglia non può essere contro i musulmani e i credenti. Come ho già detto in precedenza, attualmente il mondo musulmano è caratterizzato da una complessità causata dai giochi di potere americani che hanno prodotto reazioni e controreazioni. Ma questo è un problema completamente diverso e potrebbe distogliermi dal vero argomento della nostra discussione. Il vero gioco è la lotta contro il grande Satana e i suoi seguaci,” ha detto Ilyas.

“Cosa l’ha trasformata da amico amatissimo al nemico più inviso agli occhi dell’establishment militare pakistano?” ho chiesto.

“Il Pakistan è il mio amato paese e le persone che ci vivono sono i nostri fratelli, le nostre sorelle e i nostri congiunti. Non posso neanche pensare di andare contro i loro interessi. L’esercito pakistano non è mai stato contro di me: si tratta di elementi che mi hanno etichettato come nemico per mascherare le loro debolezze e per compiacere e acquietare i loro padroni,” ha detto Ilyas.

“Cos’è la Brigata 313?” ho chiesto.

“Non posso dirle nulla, se non che la guerra è tutta tattica e questo è la Brigata 313: leggere la mente del nemico e reagire di conseguenza. Il mondo pensava che il Profeta Maometto avesse lasciato solo donne dietro di sé. Si sono dimenticati che c’erano anche degli uomini veri che non avevano mai assaggiato la sconfitta. Il mondo conosce solo i cosiddetti musulmani che seguono la direzione del vento e sono privi di volontà, che non pensano con le loro teste né possiedono una loro dimensione. Il mondo deve ancora vederli, i veri musulmani. Finora ha visto solo Osama e il Mullah Omar, mentre ce ne sono altre migliaia. I lupi rispettano solo la zampata del leone; i leoni non colpiscono con la logica delle pecore,” ha detto Ilyas.

Il calare delle ombre della sera ha posto fine alla conversazione. Il giorno dopo sarebbe stato imposto un coprifuoco nel Nord Waziristan in vista della grande operazione militare nella regione, e dovevo lasciare l’area. Anche Ilyas doveva spostarsi verso un’altra destinazione, come fa regolarmente per sfuggire agli occhi dei droni Predator.


Articolo originale pubblicato in Asia Times Online il 15 ottobre 2009
: Al-Qaeda’s guerrilla chief lays out strategy.


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L’autore

Traduzione di Manuela Vittorelli, membro di Tlaxcala, rete di traduttori per la diversità linguistica.
http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=9010&lg=it