A proposito della messa al bando dei Naxaliti
Nei giorni scorsi, sullo scenario nazionale si sono verificati due importanti sviluppi, entrambi con implicazioni di vasta portata. Uno, naturalmente, è la battaglia per Lalgarh. Il secondo – che ha anche qualche attinenza al movimento su Largarh – è la messa al bando del Partito Comunista Indiano (Maoista) – PCI (Maoista), dopo la sua aggiunta alla lunga lista di quelle che il governo centrale considera “organizzazioni terroriste”. Ciò implica che la Legge sulla prevenzione delle attività illegali del 2008 (UAPA) d’ora in poi potrà essere applicata ai membri del Partito Maoista o ai simpatizzanti della loro causa.
Il partito Maoista fu messo al bando in India ad ogni livello con l’etichetta di “terrorista” il 22 giugno 2009 e, da allora, è caduto nell’ambito della draconiana Legge sulla prevenzione delle attività illegali del 2008. E Gour Chakrabarty, la persona che aveva apertamente ricoperto l’incarico di portavoce politico del PCI (Maoista) per parecchio tempo, è stato prelevato il 24 giugno da una televisione locale, nel bel mezzo di un dibattito sulla situazione di Lalgarh. Egli è stato incriminato ai sensi dell’UAPA; si tratta della prima richiesta di questo tipo di arresto da quando è entrata in vigore la messa al bando. Da parte nostra, vorremmo specificare in poche parole le implicazioni politiche di questa interdizione, nonché i motivi per i quali dovrebbe essere contrastata dai cittadini di orientamento democratico del paese.
In primo luogo, con la messa al bando del PCI (Maoista), sia il governo centrale che quelli statali hanno riconosciuto inequivocabilmente che i maoisti sono un nemico formidabile con cui fare i conti. Questo è un fatto che non possono negare.
In secondo luogo, con la loro messa al bando, i governi hanno fatto una cosa molto importante, che non possono confessare in pubblico. Hanno cioè anche riconosciuto il loro fallimento nel combatterli politicamente. Il movimento Naxalita/Maoista è il movimento rivoluzionario con la più lunga sopravvivenza nella storia del nostro paese, con una esistenza di più di 40 anni dal 1967.
Decenni di repressione brutale attraverso il terrorismo di stato, nonostante grandi battute di arresto, hanno solo aumentato la loro forza. Hanno sollevato fondamentali ed inevitabili questioni sulla situazione socio – economica, sulla povertà del popolo, sulla fame, la malnutrizione e la morte; sull’impatto negativo del modello occidentale di sviluppo sulla nostra società e la nostra economia, sul saccheggio delle risorse del paese da parte delle multinazionali straniere e sulla necessità di avviare, nel nostro paese, un modello di sviluppo veramente autosufficiente e vantaggioso per il popolo.
Molti di questi problemi sono stati sollevati, nel corso del tempo, da sociologi, scrittori, politici, intellettuali, burocrati ritiratisi ed in servizio. Anche quando il primo ministro Dr. Manmohan Singh ha descritto il movimento maoista come “la più grande minaccia singola alla sicurezza interna del paese fin dall’indipendenza”, nell’aprile del 2006, egli, oltre ad affermare altre cose, ha anche parlato di “camminare su due gambe”.
E’ curioso il fatto che il primo ministro indiano ha preso in prestito questa frase da nessun altro se non da Mao Tse-tung per riferirsi alla trattativa con i maoisti indiani, anche se Mao la usò per dire qualcosa di completamente diverso in un contesto storico totalmente differente. Mao la usò nel momento della costruzione del socialismo. Quello che voleva dire con l’espressione “camminare su due gambe” era di affidarsi alla tecnologia sia tradizionale che moderna per sviluppare sia le zone interne che quelle costiere, per sviluppare sia la città che la campagna e altre cose del genere.
Parlando della necessità di estirpare il “virus” maoista (ha usato questo termine in seguito), egli ha anche riconosciuto il fatto che questo movimento era il risultato dell’immiserimento sociale ed economico. Nessuno può desiderare l’allontanamento dei maoisti, dato che il loro movimento – anche se i metodi che essi hanno adottato nel tempo possono essere condivisi o meno – è il risultato di secoli di oppressione, sfruttamento, umiliazione e brutalità di stato.
La realtà è che i successivi governi sia centrali che statali non si sono mai curati di affrontare questi problemi fondamentali, non si sono mai preoccupati di adempiere i loro basilari doveri verso il popolo. Così trattandoli esclusivamente come un “problema di legge e ordine”, i governi hanno soltanto tradito la loro totale incapacità di combatterli sul piano politico e su quello socio–economico. Con la messa al bando del partito Maoista, sia il governo centrale che quello del Bengala Occidentale, di fatto, hanno ammesso la loro sconfitta di fronte a questo formidabile nemico.
In terzo luogo, l’invocazione di questa legislazione draconiana, come di altre analoghe normative in vigore in altre parti del paese, calpesta i diritti fondamentali delle persone, che pure la Costituzione di questo paese professa di tutelare. Le disposizioni dell’UAPA sono così liberticide da costituire una presa in giro della democrazia.
Perché queste misure sono draconiane? Vorremmo precisare alcune caratteristiche salienti. La prima: secondo l’UAPA, chiunque può essere tenuto in custodia dalla polizia o in carcere per 180 giorni senza alcuna prova. La seconda: durante questo periodo, la persona arrestata può essere portata al comando di polizia per essere interrogata tante volte quante i funzionari ritengano necessarie. La terza: è quasi impossibile, ai sensi di questa legge, ottenere il rilascio su cauzione. La quarta: come nelle misure previste nel TADA e nel POTA, l’accusato dovrebbe provare la propria innocenza, piuttosto che l’accusa o la polizia la sua colpevolezza in giudizio.
La quinta: tutti i cittadini hanno la responsabilità di fornire informazioni sui movimenti dei “sospetti”, di agire come informatori della polizia e, se non ottemperano, loro stessi potranno essere incriminati. La sesta: agli occhi dello stato, ogni persona è un sospetto terrorista. La settima: in ogni ora del giorno e della notte, la polizia, sotto direzione di qualche ufficiale superiore a livello di segretariato, è autorizzata a perquisire le abitazioni dei cittadini in cerca di informazioni e anche ad arrestarli. L’ottava: grazie a questa normativa, qualsiasi articolo, film documentario, inchiesta giornalistica, saggio potrà essere distrutto e artisti, scrittori e persone che lavorano nei media possono venire arrestate con l’accusa di “aver intenzione di sostenere il terrorismo”. La nona: i prigionieri potranno essere processati a porte chiuse, i nomi dei testimoni potranno non venir resi pubblici e questa corte speciale sarà controllata dall’autorità amministrativa.
In breve, questa normativa è una nuova aggiunta alla lunga lista delle leggi che calpestano i diritti fondamentali delle persone, impunemente e spazzano via tutte le garanzie legali per gli arrestati e, cosa più importante di tutto, prendendo in giro la Costituzione indiana in questo “paese della più grande democrazia”.
In quarto luogo, la storia ha dimostrato più e più volte che tale invocazione di leggi liberticide e il terrore illimitato scatenato sulle persone in nome del contenimento di quel “nemico” ha un effetto opposto. Al tempo del dominio coloniale in India il governo britannico mise al bando molti periodici, opuscoli e libri rivoluzionari.
Ma agendo in tal modo, le classi dirigenti coloniali sono state in grado di fermare la diffusione dell’ideologia rivoluzionaria? Ciò per la semplice ragione che c’era una domanda sociale per una simile letteratura fra la gente, dato che questi scritti affrontavano alcune questioni che erano questioni brucianti e incidevano sulla vita stessa delle persone.
Quando lo stato proibisce qualcosa, pone restrizioni alla lettura di ciò che la gente sceglie, imbavaglia la libertà di espressione, la gente, in particolar modo le giovani generazioni, viene ancor più attratta da tutto questo. Vorrebbero sapere il perché. Per di più, con la messa al bando di un partito politico, lo stato nega anche il diritto di leggere quanto quel partito scrive. Così la libertà di leggere e di formarsi un’opinione è negata ai cittadini. Questa, ancora una volta, è una chiara violazione dei diritti democratici.
In quinto luogo, per quanto riguarda l’etichetta di “terrorismo”, vorrei citare qualche parola delle lettera scritta al primo ministro indiano da K.G.Kannabiran, eminente avvocato difensore dei diritti civili, attualmente presidente per tutta l’India dell’Unione del Popolo per le Libertà Civili (PUCL) e presidente della sezione dello stato dell’Andhra del Comitato per il Rilascio dei Prigionieri Politici (CRPP). Opponendosi alla messa al bando, egli ha osservato: “L’intervento maoista o, per quello che importa, qualunque intervento politico a causa del fallimento da parte dei vari governi succedutisi nell’adempiere ai loro fondamentali doveri, non può essere considerato un atto di terrorismo e non giustifica l’invocazione di leggi draconiane” (www.expressindia.com, del 25 giugno 2009).
Democrazia e messa al bando non possono convivere. Le persone democratiche e la stampa democratica dovrebbero levare le loro voci contro questa legge, pretendere il suo ritiro e il simultaneo incondizionato rilascio di Gour Chakraborty, del leader del popolo di Lalgarh Chhatradhar Mahato, di Prasun Chatterjee e Raja Sarkhel – entrambi membri del Gana Pratirodh Mancha -, di Swapan Dasgupta, l’editore del Bangla People’s March, e di tutti gli altri prigionieri politici arrestati a partire dalla pubblicazione e ai sensi di questa legge liberticida.
*Amit Bhattacharyya è docente presso l’Università Jadavpur di Calcutta
Traduzione a cura della redazione