Aumentano le pressioni su Teheran

Cosa cambia dopo la risoluzione dell’AIEA contro il programma nucleare iraniano?

La questione del nucleare iraniano è al centro di una complessa partita politica, diplomatica e militare ormai da diversi anni. Anche negli ultimi mesi si sono alternati, praticamente senza soluzione di continuità, segnali di escalation e momenti di apparente abbassamento della tensione. Ieri l’altro l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), su proposta dei cosiddetti 5+1 – i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania – ha approvato per la prima volta negli ultimi 4 anni una risoluzione di condanna nei confronti dell’Iran.
Siamo all’inizio di una nuova e più pericolosa fase di escalation?

Vedremo. Sono però più che significative le reazioni dei paesi coinvolti nel crescendo di pressioni su Teheran. Se il Dipartimento di Stato americano ha minacciato «serie conseguenze» qualora l’Iran non si adeguasse alle imposizioni dell’AIEA, se il neo-ministro degli esteri tedesco, Westerwelle, ha dichiarato che «la nostra pazienza non è infinita», la presa di posizione più eloquente è arrivata da Israele. Il ministero degli esteri di Tel Aviv si è addirittura felicitato per la risoluzione approvata, prova di come il programma nucleare iraniano sia considerato «una minaccia seria ed urgente per la pace mondiale».
Quasi mai Israele si felicita apertamente per decisioni di organismi internazionali, neppure quando gli sono platealmente favorevoli. Come mai questa volta il plauso è stato così forte ed immediato?

La risoluzione votata a Vienna, in aperta violazione delle norme in vigore, chiede all’Iran lo stop della costruzione dell’impianto di arricchimento dell’uranio di Fordow, vicino alla città santa di Qom, la cui esistenza era stata regolarmente notificata da Teheran all’AIEA nel settembre scorso, pochi giorni prima che Obama, Sarkozy e Brown (vedi A cosa servono i vertici) mettessero in piedi la sceneggiata di Pittsburgh per accusare l’Iran di aver costruito un impianto nucleare segreto.

Su questi aspetti è interessante quanto ha scritto (The Guardian del 28 settembre 2009) l’ex ispettore dell’Onu Scott Ritter, divenuto famoso per la sua denuncia dei pretesti – le famose quanto inesistenti armi di distruzione di massa – usati dall’amministrazione Bush per giustificare l’attacco all’Iraq del 2003.
Ecco infatti quello che scrive oggi Ritter sui pretesti utilizzati contro l’Iran: «Quando Obama ha annunciato che “l’Iran sta violando le regole che devono seguire tutte le nazioni”, è in errore sia dal punto di vista tecnico sia da quello giuridico».

Ed ancora: «Occorre sottolineare che l’impianto di Qom cui si riferisce Obama non è un impianto per armi nucleari, ma semplicemente una centrale nucleare di arricchimento simile a quella che si trova nell’impianto notificato (e ispezionato) di Natanz.
L’impianto di Qom, se le descrizioni attuali sono accurate, non può produrre stock-base di alimentazione (esafluoruro di uranio, o UF6) utilizzato nel processo di arricchimento basato sulla centrifuga. Si tratta semplicemente di un altro impianto in cui l’UF6 può essere arricchito.
Perché è importante questa distinzione? Perché l’AIEA ha sottolineato, continuamente, che possiede un resoconto completo delle scorte di materiale nucleare dell’Iran. Non c’è stata alcuna diversione di materiale nucleare per l’impianto di Qom (dal momento che è in fase di costruzione). L’esistenza del presunto impianto di arricchimento di Qom non cambia in alcun modo il bilancio dei materiali nucleari presenti oggi all’interno dell’Iran.
In parole povere, l’Iran non è più vicino a produrre ipotetiche armi nucleari oggi di quanto non lo fosse prima dell’annuncio di Obama sulla struttura di Qom
».

Parole chiare, pronunciate non da un dirigente dei pasdaran, ma da un ex militare americano che ha prestato servizio nei Marine ed è stato consigliere balistico del generale Norman Schwarzkopf durante la Guerra del Golfo del 1991.
Lo stesso titolo del Guardian – «L’Iran è da considerarsi leale» –  è piuttosto significativo. Ma la linea delle pretese e delle pressioni crescenti non si è certo fermata. Ed anzi, con la risoluzione dell’AIEA, siamo entrati in una fase estremamente pericolosa.

Questa risoluzione del Direttivo dell’agenzia atomica è stata presa con 25 voti a favore, 3 contrari (Venezuela, Cuba e Malaysia) e 6 astenuti (Afghanistan, Sudafrica, Brasile, Egitto, Turchia e Pakistan). La sua messa ai voti è stata possibile solo grazie all’assenso di Russia e Cina, ma resta da capire quali saranno le conseguenze concrete. A questo punto la palla passa infatti al Consiglio di sicurezza dell’Onu che, sulla base del testo di Vienna, potrebbe decidere nuove sanzioni contro Teheran.
Sarà quello il momento della verità per Mosca e Pechino. Senza il loro consenso il Consiglio di sicurezza non può decidere alcunché, e non è affatto detto che al sì in terra austriaca segua un altro sì al Palazzo di vetro. Proprio su questa possibilità sembra contare il governo iraniano, che attraverso il ministero degli esteri ha definito la risoluzione «inutile».

Presto capiremo se le speranze di Teheran sono fondate, ma intanto la strategia dell’escalation ha fatto un passo avanti.
L’entusiasmo di Israele è facilmente spiegabile. I due scenari che potrebbero scaturire dalla decisione dell’AIEA, sono entrambi positivi per il governo Netanyahu.
L’eventuale adozione delle sanzioni segnerebbe la crisi profonda dei rapporti Iran-Russia ed Iran-Cina, mentre il no di Mosca e Pechino alle sanzioni ridarebbe fiato alle posizioni oltranziste dei dirigenti israeliani che puntano all’azione militare, ma che non possono farla senza la copertura di Washington. E già possiamo immaginarci lo scatenamento della propaganda sionista a livello mondiale qualora le sanzioni non passassero.
Naturalmente la diplomazia ha sempre mille soluzioni in serbo ed alla fine potrebbero venir fuori delle sanzioni deboli ed inefficaci, come frutto di un ulteriore compromesso nel gruppo dei 5+1.

Intanto però il Wall Street Journal informava già a fine settembre sui piani di attacco israeliani, attraverso un’analisi di Anthony Cordesman, consigliere di Stanley McChrystal, il comandante Usa in Afghanistan.
Ovviamente Israele non potrebbe sostenere una vera guerra con l’Iran, e dunque la «soluzione» pensata è quella dello «Strike», il colpo mordi e fuggi sul modello dell’attacco alla centrale nucleare irachena di Osirak nel 1981. Cordesman ritiene rischiosa, ma probabile questa prospettiva, ed indica i siti che verrebbero colpiti. Oltre all’impianto in costruzione di Fordow sarebbero nel mirino i siti di Arak, Bushehr e Natanz. Quest’ultimo sarebbe in realtà l’obiettivo fondamentale, da colpire in profondità con le bombe Gbu-28, da oltre due tonnellate di esplosivo, fornite ad Israele dagli Usa.
Più recentemente (vedi Gli Stati Uniti stanno preparando l’attacco all’Iran?) è uscita anche la notizia della produzione di una bomba anti-bunker ancora più potente, la MOP (Massive Ordnance Penetrator), una bomba di 13.500 Kg che può raggiungere obiettivi posti a profondità di 60 metri sotto il suolo.

Naturalmente i piani israeliani ed americani non possono non tener conto di due seri problemi: l’impossibilità (nell’attuale contesto) di un’invasione terrestre dell’Iran; la probabilità di una capacità di risposta da parte delle forze armate iraniane ben superiore a quella di cui disponeva ad esempio Saddam Hussein.
Sono questi i veri deterrenti all’attacco. Anche ammesso che lo «Strike» possa essere efficace nella distruzione dei siti nucleari, esso sarebbe del tutto inefficace nel perseguimento del «regime change» che è il vero obiettivo della Casa Bianca.
Da qui il tentativo di replicare il modello jugoslavo, il logoramento della società prima con le sanzioni, poi attraverso una prolungata campagna di bombardamenti su obiettivi civili in modo da ribaltare gli assetti politici dall’interno.

Vedremo cosa accadrà nelle prossime settimane, ma certo le decisioni dell’AIEA vanno inquadrate in questa strategia di logoramento che tende, sia pure con gli inevitabili zig zag, verso l’escalation politico-militare.
La grande differenza che c’è oggi rispetto alle aggressioni alla Jugoslavia, all’Afghanistan ed all’Iraq risiede da un lato nel minor isolamento internazionale dell’Iran, dall’altro nel manifestarsi della crisi del disegno di dominio planetario di Washington.
Differenze che hanno finora impedito l’attacco, che rendono necessario un maggior lavorio diplomatico, ma che non devono far pensare che Stati Uniti ed Israele rinuncino al tentativo di spazzare via l’unica potenza mediorientale in grado di mettere in difficoltà i progetti dell’imperialismo nella regione.