Intervista di Al Jazeera ad Osama Hamdan (rappresentante di Hamas in Libano)
Al Jazeera: Che ci faceva al-Mabhouh a Dubai?
Hamdan: Tutto quello che posso dire è che stava facendo il suo lavoro.
C’è un’indagine interna in corso da parte il vostro movimento per individuare cosa è andato storto?
E’ nostra consuetudine svolgere indagini intensive in occasione di operazioni di assassinio contro membri del movimento. Noi crediamo che tali indagini consentano di chiarire i fatti, e allo stesso tempo aiutino a diagnosticare cosa è andato storto.
Avete prove serie del coinvolgimento di Israele nella uccisione di al-Mabhouh?
Abbiamo detto fin dall’inizio che il Mossad (Dipartimento per l’Intelligence e le operazioni speciali) è coinvolto. Non l’abbiamo affermato a caso, è stata una dichiarazione fatta sulla base delle informazioni che possedevano. Inoltre, abbiamo la conferma della polizia di Dubai. Ancora più importante è la reazione dei paesi i cui passaporti sono stati utilizzati dalla squadra omicida. Perché tutti incolpano Israele per l’uso di passaporti di ignari cittadini? Perché incolpano nessun altro fuorché Israele? Non è questa una conferma lampante del ruolo del Mossad?
Ma Israele ha negato il suo coinvolgimento nell’omicidio.
E’ normale che Israele dica che non ha nulla a che fare con l’assassinio. Il fatto è che addirittura alcuni cittadini israeliani affermano che i loro nomi e le identità sono state utilizzate dai sicari. Se Israele non è coinvolta, perché non c’è stata un’inchiesta israeliana dopo le denunce dei suoi cittadini? Perché questo silenzio?
Pensi che le misure di sicurezza adottate per proteggere l’identità di Mabhouh, tipo rimuovere il suo nome di famiglia del passaporto, sono stati sufficienti per proteggerlo?
Le misure di sicurezza sono una serie di procedure, e rimuovere il nome della famiglia dal passaporto del martire è stata una delle misure di sicurezza adottate per proteggerlo.
Sapete come gli israeliani le hanno infrante?
Non posso rilasciare commenti su un’indagine in corso. Inoltre cerchiamo di evitare dichiarazioni affrettate ed emotive.
Israele ha annunciato che aggiungerà due siti nei territori occupati della West Bank alla sua lista dei siti considerati patrimonio nazionale. I siti sono la moschea di Abramo (Grotta dei Patriarchi) a Hebron, e la moschea di Bilal bin Rabah (la tomba di Rachele) a Betlemme.
Considerate la mossa israeliana come un’escalation del governo di destra, o si tratta solo della tappa di un lungo processo di confisca dei patrimoni arabi e islamici da parte di Israele?
Entrambe le cose. Israele ha saccheggiato la cultura palestinese e araba in tutte le forme e sotto molti aspetti. Hanno anche rubato i nostri piatti tradizionali come humus e falafel rivendicandoli per sé.
Se passiamo alla religione, vediamo che Israele ha un piano per cambiare la natura dei siti islamici per trasformarli in luoghi ebraici, in un modo che sia funzionale a quella che chiamano la giudaizzazione dello Stato (di Israele).
L’ingoiamento della moschea di Abramo è iniziato con la richiesta di metterci dentro una candela al suo interno. Dopo il massacro che ha avuto luogo nella moschea nel 1994 compiuto dal terrorista ebreo Baruch Goldstein, la moschea fu divisa tra loro e i palestinesi. Oggi gli israeliani stanno confiscando tutta la moschea. Così possiamo vedere che ci sono motivi più profondi che non l’escalation voluta dalla destra israeliana.
Tuttavia la confisca indica anche che è in corso un’escalation. Binyamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, si sente abbastanza forte per farla e questo per due ragioni: in primo luogo, ha vinto la sua battaglia contro gli Stati Uniti che chiedevano il congelamento degli insediamenti. In secondo luogo, egli sa che può farla franca, perché gli stati arabi e i palestinesi sono impotenti.
Quello che sta accadendo in Hebron è una sorta di cartina di tornasole, mi riferisco a quello che stanno facendo gli israeliani a Gerusalemme, in termini di cancellazione degli arabi e dei musulmani per prendersi l’intera città.
Quanto tempo pensi che il popolo palestinese debba aspettare prima di vedere la “Riconciliazione palestinese”?
L’ostacolo principale è ora la pressione degli Stati Uniti, che ha portato alle modifiche nel documento egiziano che così abbiamo respinto.
Per che cosa esattamente premono gli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti vogliono che i palestinesi restino divisi. A quanto pare, il governo americano non vuole che i palestinesi siano uniti e di conseguenza raggiungano un accordo con gli israeliani, perché se ciò accadesse Israele sarebbe costretto a fare la sua parte in vista di un accordo, ma questo, appunto, richiede la pressione degli Stati Uniti.
Chi ha scelto l’Egitto come negoziatore?
Non c’è dubbio che l’Egitto da sempre è stato profondamente coinvolto nella questione palestinese.
Fu il defunto Abu Ammar [Yasser Arafat] stesso che chiese più volte la mediazione egiziana.
L’Egitto rispose sempre alle richieste di svolgere un ruolo per avvicinare Hamas e Fatah, ma c’erano anche altri paesi arabi a spingere in tal senso.
Dopo il grande scontro fra Hamas e Fatah nel 2006, l’ultimo vertice arabo (Doha, marzo 2009) affidò all’Egitto il compito di mediare tra Hamas e Fatah. Credo che, dopo tutto questo tempo e diverse sessioni negoziali, che dovremmo chiederci come potremmo aiutare il mediatore a raggiungere la sua missione.
Pensi che sarebbe utile se altri mediatori aiutassero l’Egitto nei suoi sforzi per portare Hamas e Fatah alla riconciliazione?
Assolutamente sì. Il fatto è che più paesi arabi saranno coinvolti più forte potrà essere la resistenza alle pressioni. L’altra cosa è che, questi paesi, in quanto Lega araba, potranno essere più efficaci nel controllo e nel monitoraggio dell’attuazione dei termini dell’Accordo di Riconciliazione quando fosse siglato.
In ultima analisi, se il mediatore non riesce a conseguire la missione affidatagli per quasi un anno, un qualche aiuto dovrebbe essere preso in seria considerazione.
La discordia fra Hamas e Fatah è andata avanti per anni e ha influito su ogni aspetto della causa palestinese. Non credi che il problema potrebbe essere nel vostro movimento? Ha Hamas riesaminato il suo approccio e fatto un po’ d’autocritica?
Abbiamo già corretto la nostra politica. Abbiamo rivisto il nostro modo di fare un anno dopo aver vinto le elezioni. Abbiamo analizzato tutto. Lo facciamo sempre, ma è vero che non possiamo rendere tutto il nostro dibattito interno pubblico. Tuttavia, credo che qualsiasi osservatore sia in grado di percepire il cambiamento nel modus operandi di Hamas se lo fa in maniera obbiettiva.
Come giudichi le relazioni di Hamas con gli Stati arabi?
Esse variano, da accettabili a forti. Posso dire che dopo lo shock delle elezioni del 2006, le relazioni di Hamas con il mondo arabo sono state sempre più solide.
Ma non pensate che il vostro stretto legame con l’Iran stia bloccando legami più forti tra voi e molti paesi arabi?
Penso che la causa palestinese ha bisogno di sostegno, da parte degli arabi, dei musulmani, e forse del mondo intero. Il sostegno iraniano dovrebbe essere un motivo per gli arabi per fornire un sostegno ancora maggiore.
Il ruolo iraniano in Iraq non è stato molto piacevole, molti arabi sono diventati cinici riguardo l’Iran. Come si può essere sostenitori degli arabi palestinesi e aggressivi nei confronti degli altri, ad esempio gli iracheni?
Alla base dei nostri principi c’è che noi rifiutiamo qualsiasi minaccia alla sicurezza nazionale, e verso qualsiasi paese arabo. L’appoggio alla causa palestinese non deve giustificare irregolarità verso qualsiasi altro paese arabo.
E’ passato più di un anno da quando Barack Obama ha assunto la carica di presidente degli Stati Uniti. C’è stato alcun cambiamento nella strategia degli Stati Uniti verso la causa palestinese?
L’approccio di Obama è stato positivo all’inizio. Molti hanno avuto l’impressione che avrebbe portato un qualche tipo di cambiamento. Parlando di oggi, Obama non è riuscito a determinare nessun cambiamento e ciò ha causato uno stato di depressione tra i palestinesi e le parti coinvolte nel conflitto israelo-palestinese.
Fonte: http://english.aljazeera.net/focus/2010/02/2010225153440544986.html
(traduzione a cura della redazione)