India – Il movimento rivoluzionario tra crisi sociale e repressione

Wilhelm Langthaler intervista G.N. Saibaba

G.N. Saibaba è Assistant Professor di letteratura all’Università di Delhi uno degli istituti più prestigiosi dell’India. Egli è una delle voci più rumorose dell’opposizione democratica e gioca un ruolo eccezionale nel mettere insieme le più diverse tendenze contro il regime. Egli è il portavoce del Fronte Democratico Rivoluzionario (RDF).

D: La campagna “India Shining” (lanciata nel 2004 dalla destra induista del Bharatiya Janata Party – BJP), ha promesso l’industrializzazione del paese e il benessere anche per la maggioranza povera. E’ davvero andata così?

G.N. Saibaba: L’applicazione della politica di globalizzazione in India ha significato anzitutto benefici per l’oligarchia dominante. Una manciata di famiglie detengono il pieno controllo delle leve del potere. Grazie a questo  loro ruolo hanno potuto accumulare fortune enormi, soprattutto negli ultimi venti anni. Guarda alla classifica mondiale dei miliardari, ci troverai un sacco di indiani. La concentrazione della ricchezza è cresciuta rapidamente, mentre circa l’80% della popolazione deve vivere con meno di mezzo dollaro al giorno e non può permettersi neanche un pasto quotidiano. Secondo le stesse statistiche del governo, non era così prima del ventennio globalizzatore. L’India ha perseguito politiche di globalizzazione nel modo più aggressivo, dal momento che vi sono grandi risorse disponibili intatte di cui le potenze occidentali e in particolare gli Stati Uniti vogliono impossessarsi. Ma l’enorme povertà evoca anche conflitti enormi.

Negli ultimi sei anni siamo entrati in una nuova fase chiamata “Riforme di Seconda Generazione”. Qual è la differenza rispetto a quelle precedenti? La prima fase è stata caratterizzata dalla liberalizzazione dell’economia e del sistema giuridico. Essa riguardava principalmente il settore dell’Information Tecnology. Ma gli investimenti stranieri furono pochi. Dopo la situazione è cambiata. Diverse centinaia di Accordi (MOU) con le multinazionali (MNC) sono stati firmati, per lo più legati allo sfruttamento delle risorse naturali. Soprattutto negli stati dell’India centrale e orientale, dove vi sono enormi giacimenti di minerali di ferro, carbone, bauxite, calcare e altri minerali strategici di cui le potenze occidentali vogliono disporre.

Così, incredibilmente, enormi distese di terreno sono state date alle multinazionali. Siamo di fronte ad una svendita senza precedenti di terreni, di foreste, di minerali e di acqua che non ha avuto precedenti nemmeno sotto il colonialismo britannico.

Per questo da circa cinque anni abbiamo assistito alla crescente resistenza da parte del popolo contro il furto di terra, contro l’istituzione dell Zone economiche speciali (ZES) e contro i progetti di industrializzazione. Data la reazione spietata dei dominanti questi movimenti sono stati costretti a ricorre all’autodifesa armata, spontanea e/o organizzata.

D: Qual è l’impatto della crisi economica mondiale?

G.N. Saibaba: L’India non può tenersi fuori dalla crisi mondiale. La disoccupazione è cresciuta e i posti di lavoro andati perduti raggiungono cifre enormi. Circa cinque milioni di lavoratori hanno perso il lavoro (tanti quanti negli Stati Uniti). L’industria tessile è praticamente al collasso. Anche  le classi medie pagano duramente il costo della crisi, mentre la stessa borghesia non può più sperare di avere una vita confortevole di tipo occidentale. Per la prima volta anche i “colletti bianchi” del settore dei servizi subiscono pesanti conseguenze a causa della crisi, come ad esempio nel comparto dell’industria e dei servizi tecnologici.
In Gurgaon [un sobborgo di Delhi dove sono concentrate le aziende informatiche e gli addetti sono in gran parte ingegneri] per la prima volta abbiamo avuto lo sciopero degli addetti. Ci sono poi segnali di unità tra le lotte della classe operaia e e quelle dei contadini.

Per la prima volta da oltre 60 anni assistiamo ad un’inversione del fusso migratorio. La gente sta lasciando la città per tornare in campagna. Ma se non si può sopravvivere in città, non va meglio nelle campagne. Da nessuna parte è facile trovare qualche forma di sostentamento. Il settore agricolo si contrae, nonostante il fatto che circa il 60% della popolazione lavori nelle zone rurali. La sicurezza alimentare che l’India aveva conquistato negli ultimi cinquant’anni è andata perduta. Gli investimenti promessi per l’industrializzazione non arrivano, nonostante gli accordi firmati.

Così sono scoppiate proteste popolari sia nelle zone rurali che nelle zone urbane spesso culminate in scontri nelle strade. Per fortuna c’è un movimento rivoluzionario che può aiutare l’organizzazione delle turbolenze spontanee causate dalla crisi. Nella fase attuale c’è dunque un grande potenziale di crescita per le forze rivoluzionarie, proprio a causa dell’impatto brutale della crisi che spinge le persone a lottare contro il sistema.

D: Si può tracciare un primo bilancio della campagna militare “Green hunt”, lanciata dall’esercito indiano nello scorso autunno contro la resistenza Adivasi (le popolazioni degli indiani nativi) per cacciarli  dalle loro terre ancestrali?

L’operazione sta entrando nel suo quinto mese ed è una guerra a larga  scala, con circa 250.000 soldati coinvolti e l’appoggio logistico-militare Usa. Ma non ci sono segni visibili di successo. Centinaia di civili innocenti vengono uccisi, così come semplici soldati, spesso provenienti da regioni lontane, che quindi non capiscono la lingua locale né il contesto politico del conflitto. Le forze governative non avanzano, scelgono bersagli facili e commettono atrocità. Hanno subito duri colpi da parte del movimento maoista, che è riuscito a colpire alcuni obiettivi di alto livello. Il morale  delle truppe governative sta precipitando.

D: E la reazione nelle città, soprattutto tra le classi medie istruite?

I ceti medi stanno lentamente acquisendo coscienza. Ma una polarizzazione è in corso. Il quadro sta cambiando di giorno in giorno. L’opposizione contro la campagna “Green Hunt” è in crescita, mentre un grande sconvolgimento, non è lontano. Il governo non ha potuto andare avanti sulla via dell’offensiva rapida e ha dovuto rallentare.
È un dato di fatto, la maggior parte delle miniere e grandi progetti industriali sono in fase di stallo a causa della resistenza popolare.

D: La stampa parla di una “minaccia terroristica” anche in India.

La politica americana è stata copiata e utilizzata in India per annientare ogni seria opposizione. L’esercito viene inviato anche contro manifestazioni ordinarie. I musulmani sono collettivamente bollati come terroristi e lo stesso avviene con  gli Adivasi e i Dalit (intoccabili). L’ideologia degli Stati Uniti ha permeato a fondo l’elite indiana. Nel 2008 hanno introdotto lo “Unlawful Activity Prevention Act”, che è una replica draconiana del precedente “Prevention of Terrorist Activities Act”.
Per legge, il maoismo è ormai identificato con il terrorismo. Di mira vengono presi anche tutti i musulmani, così come i movimenti di liberazione del Kashmir e del Nord-Est.

D: Tu sei accusato dalla polizia di aiutare in modo decisivo i maoisti.

Negli ultimi mesi il governo ha tentato di coinvolgermi con le organizzazioni illegali, e questo perché ho partecipato alla campagna contro la messa fuorilegge del Partito Comunista dell’India (maoista) [CPI (M)].

In realtà le accuse sono ridicole. Come posso partecipare alla controffensiva armata o dare rifugio a quadri del Comitato centrale? Mi accusano che il mio ruolo sia quello di allargare il consenso ai maoisti (quello che chiamano “outfight”), e che le mie personali opinioni sono tenute in considerazione dal loro Comitato centrale. In questo modo possono far credere che io sia  responsabile per tutto ciò che sta accadendo in India. Mi attaccano per le mie posizioni politiche.

Questo fa parte di un più vasto piano per mettere a tacere le voci della democrazia e l’opposizione alle politiche anti-popolari del governo. Essi temono la crescente critica alla loro campagna militare contro i più poveri tra i poveri, spogliandoli delle loro terra e delle loro risorse. Oggi vogliono chiudere la bocca a me, domani toccherà a tutte le voci democratiche. Prima hanno vietato, ed io lo considero sbagliato in sé, le organizzazioni di resistenza, e adesso si tenta di bruciare l’area circostante.

Ma la società civile ha alzato la testa e ha condannato il governo per la diffamazione. Tutta una serie di conferenze stampa e di proteste pubbliche sono in corso, anche con la partecipazione di personalità di alto livello.

D: Un’ultima domanda, di geopolitica: alcuni pensano che l’India potrebbe far parte di un futuro blocco insieme con la Cina e la Russia nell’ambito di un sistema multipolare mondiale.

L’India è diventata il principale alleato degli USA nella regione. Non vedo alcun segnale che ciò possa cambiare in un futuro prevedibile. Le classi e le élite dominanti indiane sono totalmente asservite a Washington, e questa tendenza sembra destinata a peggiorare.

New Delhi
21 Febbraio 2010
Traduzione a cura della redazione.
Tratto da: http://www.antiimperialista.org/