Brevi note prima di lasciare Ein el-Hilweh
dalla brigata 2010 di Sumud
Un’insegna sovrasta l’ingresso del campo, subito dopo il chek point. Le parole, in arabo, recitano: “La Palestina è la nostra terra, Gerusalemme è la nostra capitale, il Ritorno è il nostro obiettivo”. Tutti i Palestinesi hanno interiorizzato il significato di queste parole, anche quelli che sono nati nei campi, da rifugiati, o quelli emigrati per il mondo. Vivono sperando che prima o poi riusciranno a tornare a casa e la Resistenza è l’unico mezzo che hanno per riprendersi ciò che gli appartiene di diritto, dal momento che nessun accordo è stato in grado di garantire una pace equa e non da perdenti.
Resistenza! Questo termine è molto temuto, soprattutto nei nostri paesi, in realtà non bisogna averne paura, ma sostenerla in ogni modo possibile. Chi di noi non lotterebbe con qualsiasi mezzo per difendere la propria terra, la famiglia, la propria gente? Qual è l’alternativa possibile per queste persone, dal momento che si cerca di rendere invivibile la loro esistenza, soprattutto nei campi, così che si disperdano e smettano di costituire un problema? Resta solo la Resistenza. Questa non indica unicamente la lotta armata, è anche trasmissione della cultura, difesa delle tradizioni, dei valori, di tutto ciò che caratterizza la civiltà di un popolo, contro il criminale tentativo di eliminazione della sua esistenza, al Mukawama, la parola più bella che abbiamo imparato in arabo.
Qualche giorno fa, siamo andati tutti assieme al confine sud del Libano, gli amici di Nashet ci hanno detto che da lì, potevamo vedere, anche se da lontano, la Palestina. Quando siamo arrivati, scesi dal bus, di fronte a noi si apriva una lunga strada tutta circondata dal filo spinato, collegato ai cavi elettrici, al di là, un campo minato, stralci di muro e ancora oltre una terra verdeggiante, ricoperta di frutteti, la terra di Palestina, con sopra le case israeliane. Al ritorno, Abdallah ci ha detto che aveva voglia di festeggiare, solo perché l’aveva vista, la sua Terra.
Festeggiare, i giovani del posto non hanno nulla di diverso da noi, la voglia di divertirsi è uguale, ma loro non hanno le nostre stesse possibilità, in nessun caso. Nonostante la nostra posizione privilegiata, queste persone ci hanno dato tanto, e tanto di più ci stanno insegnando. Soprattutto che cosa è una comunità, la solidarietà, l’importanza dell’aiuto reciproco. Siamo responsabili nei loro confronti, in questi giorni abbiamo potuto sperimentare che vuol dire essere profughi, vivere come fantasmi. Con i nostri occhi abbiamo visto la sofferenza di tanta gente, abbiamo condiviso difficoltà quotidiane, speranza e rabbia, voglia di lottare perché tutto cambi. Sapevamo già che non può esserci pace senza giustizia, qui abbiamo imparato che per la giustizia si lotta e non ci si può arrendere, che è un dovere morale e politico riconoscere il diritto di qualsiasi popolo di resistere all’occupazione. Siamo con loro e teniamo ferma la differenza tra Resistenza e Terrorismo, bisogna svincolarsi con obiettività di giudizio dalla propaganda mediatica. Il monopolio dell’informazione occidentale protegge gli interessi economici e politici dei governi, divulgando solo ciò che giustifica le decisioni e le azioni, solitamente sconsiderate, di questi ultimi. Sulla nostra Europa grava pesantemente la responsabilità del dominio coloniale nella regione medio-orientale, in Palestina in particolar modo, portiamo il peso della complicità e della sottomissione incondizionata alle politiche egemoniche statunitensi. Intanto, sotto un silenzio complice, Israele continua a rubare ai legittimi proprietari, terra, acqua, tutto! Siamo responsabili, e non vogliamo più esserlo.
Con il documentario che stiamo ultimando, ci proponevamo di mostrare la vita ad Ein, far vedere quali danni sono stato prodotti. Forse non sarà un capolavoro, ma se saremo riusciti a trasmettere un po’ di sana rabbia, una maggiore attenzione e sensibilità riguardo la situazione di questa gente, allora la nostra brigata sarà stata un successo.