L’Islam e la lotta di liberazione nazionale – Intervista esclusiva a Jamal Khattab

Il leader salafita chiama alla riconciliazione tra sunniti e sciiti

Intervista di Jamal Khattab, portavoce del Haraka Islamiyyah Muhjahida (Movimento islamico per il Jihad, MJI), rilasciataci in occasione della missione di Sumud nel Campo Profughi palestinese di Ein El-Hilweh (Libano), lo scorso mese di Agosto.

Fondata nel 1975 da Ibrahim Ghonaim la MJI è considerato il più vecchio tra i movimenti islamici, che pratica la lotta armata per la liberazione della Palestina, all’interno del campo profughi palestinese di Ein El-Hilweh. Il MJI ha partecipato alla resistenza contro l’invasione israeliana del Libano nel 1978 e del 1982. Nel 1990 Jamal Khattab ha preso la direzione del gruppo. Laureatosi all’università americana di Beirut, egli rappresentava l’ala moderata del movimento e curava l’aspetto della comunicazione di massa. Con Usbat al Ansar (considerato vicino ad Al qaeda) e Ansar al-islam (considerato vicino ad Hezbollah) il MJI, con circa 200 combattenti, è la terza forza salafita del campo. Esso, comunque, è politicamente più forte ed esercita una larga influenza all’interno del campo profughi. Il MJI dirige un club studentesco, una associazione di donne, un asilo nido, un centro per l’educazione islamica e una rete per la beneficenza. Jamal Khattab gode di un grande rispetto non solo come studioso islamico, ma anche di prestigio tra i movimenti di sinistra, come mediatore politico tra le diverse fazioni del campo.

D: Che cosa sono la Jamaa Islamiyyah Mujahida e il blocco delle Forze Islamiche che tu rappresenti?

Questo campo fu fondato nel 1948, dopo che le nostre famiglie vennero deportate dalla Palestina. La nostra generazione è nata qui nel campo, nelle tende – poiché, al tempo il campo era composto di tende. Siamo stati qui per venti anni. Poi la Resistenza Palestinese iniziò allo scopo di liberare il nostro paese. Prima del 1965, cioè prima della fondazione dell’OLP, pochi erano i gruppi che lottavano per la liberazione della Palestina. Come sapete, fino alla metà degli anni ’70, l’essenza della lotta di liberazione consisteva in una lotta di liberazione nazionale. A quel tempo i credenti islamici non erano ancora molti e i gruppi islamici cominciarono a partecipare alla lotta per la liberazione della Palestina. Il blocco delle Forze Islamiche è sorto come coalizione formata da HAMAS, Jihad Islamica, Movimento Islamico per il Jihad, Partito Liberazione e Usbat Al-Ansar. Furono questi gruppi islamici a dare vita al blocco chiamato Forze Islamiche. Per quanto siamo gruppi islamici, siamo allo stesso tempo palestinesi. Il nostro paese è occupato. Non è solo un diritto universale, ma un dovere – sia esso nazionale o islamico – comunque un dovere, liberare il nostro paese e difendere noi stessi. E’ un nostro diritto intangibile tornare nella nostra patria. Il mio villaggio in Palestina è abbandonato, è un ammasso di macerie. Abbiamo il diritto di tornare nel nostro paese.
Per quanto riguarda i negoziati di pace, essi hanno preso il via 20 anni fa. E’ ampiamente provato che gli israeliani non ci daranno nulla. L’occupazione di quelli che vengono chiamati West Bank e Gaza, continuano e la nostra gente continua a soffrire. I negoziati considerano solo West Bank e Gaza come zone occupate. Gli israeliani, sostenuti dagli americani, continuano a violare le leggi internazionali. Essi calpestano ogni legge e nessuno ha la volontà di punirli o di obbligarli a rispettare le risoluzioni dell’ONU o ogni altra risoluzione. Per questo consideriamo che la sola via, che in questo momento storico ci è data, è quella di lottare per liberare il nostro paese. Questo è quello che stiamo facendo.
Ovviamente, vivendo noi in Libano, dobbiamo tenere nella debita considerazione, la specifica situazione libanese. In quanto profughi, la nostra lotta deve fare i conti con diversi ostacoli. Dopo il 1990, l’esercito libanese ha istituito attorno ai campi posti di controllo e le cose sono molto cambiate per i Palestinesi. L’ingresso e l’uscita dal campo sottostanno a severe restrizioni, così che i palestinesi non sono in grado di partecipare alla lotta di liberazione. A complicare le cose, c’è la peculiare struttura confessionale dello stato libanese. [La consegna di pieni diritti di cittadinanza ai palestinesi in Libano, tra i quali quello di voto, rappresenterebbe uno sconvolgimento dei fragili equilibri del paese, in quanto essi verrebbero considerati in quota alla confessione sunnita. NdT]. Insomma, a causa di questi problemi, noi dobbiamo subire in Libano, forti restrizioni alla nostra lotta e alla nostra agibilità politica.

D: Hai menzionato diversi gruppi islamici che operano nel campo. I movimenti islamici più forti nella Resistenza palestinese sono HAMAS e la Jihad Islamica. Che differenza avete con loro?

HAMAS e Jihad Islamica, fondamentalmente, combattono nella Palestina occupata. Al di fuori della Palestina si limitano all’attività politica. Hanno uffici di rappresentanza in alcuni paesi arabi e non è loro permesso di agire se non nella forma della propaganda. Riguardo a noi, siccome siamo qui da ben prima del 1982, abbiamo lottato contro Israele molte volte e in diversi luoghi, specialmente durante la prima invasione israeliana nel sud del Libano nel 1978, quindi contro la seconda invasione nel 1982, quando riuscirono ad occupare parte di Beirut, e poi, negli anni tra l’82 e l’85, quando essi hanno dovuto lasciare il Libano. In quegli anni né HAMAS, né Jihad Islamica esistevano, qui da noi. Per farla breve, HAMAS e Jihad operano dentro la Palestina, mentre gli altri gruppi operano all’esterno.
Ideologicamente le differenze sono marginali, determinate dai differenti luoghi in cui operiamo. La situazione della Palestina occupata è diversa dalla nostra, abbiamo quindi piccole differenze per quanto riguarda la pratica, diverse idee su come far fronte alla situazione.

D: Qual è la vostra posizione riguardo agli scontri tra HAMAS e i gruppi salafiti avvenuti a Gaza l’anno scorso?

Come blocco delle Forze Islamiche, fuori dalla Palestina, noi abbiamo un accordo per cui non determiniamo le nostre relazioni in base a ciò che accade nella Palestina occupata. Non ci siamo quindi immischiati né negli scontri avvenuti tra HAMAS e i gruppi salafiti e nemmeno tra quelli avvenuti fra HAMAS e Al-Fatah. Come vi abbiamo detto, noi cerchiamo di tenere distinta la nostra situazione in Libano e quella dei nostri fratelli in Palestina. Noi siamo alle prese con problemi difficili, e non vogliamo nemmeno che questi ultimi interferiscano nelle già complesse dinamiche interne alla Palestina occupata.
Nella Palestina avvengono cose che non conosciamo nei dettagli, spetta ai nostri fratelli che vivono lì, risolvere i loro problemi. In generale, abbiamo a volte auspicato la cooperazione tra tutte le fazioni interne alla Palestina. Qui, a Ein El-Hilweh, noi abbiamo raggiunto una sorta di cooperazione. Dieci anni fa, abbiamo formato una “giunta popolare” che include le Forze Islamiche, i gruppi dell’OLP e quelli filo-siriani. Tutti i gruppi del campo di Ein El-Hilweh sono rappresentati in questa “giunta popolare” e sono tenuti a rispettare le sue decisioni. Abbiamo quindi un coordinamento unitario tenuto a risolvere qualsiasi tipo di problema, o a dirimere conflitti politici o sociali o problemi di sicurezza.

D: Qual è la tua concezione dello Stato Islamico? Che considerazione hai di concetti come democrazia o elezioni? Qual è la tua posizione sulla partecipazione alle elezioni in Palestina o in Libano?

L’Islam è differente dalle altre religioni. E’ un’integrale concezione del mondo che non si limita alle preghiere e alle pratiche religiose. E’ una dottrina che coinvolge i più diversi aspetti della vita sociale. Per 1000 anni c’è stato uno Stato Islamico governato dalla sharia. All’interno di questo stato convivevano tutte le religioni. Le chiese qui, hanno più di 1000 anni. Anche gli Ebrei, che furono cacciati dall’Europa, vennero da noi, perché erano più tollerati. La nostra religione non obbliga nessuno a seguire l’Islam e assicura a tutte le altre il diritto di esistere, anche a quelle che non si basano sulla Bibbia come gli Induisti e altri. Questo è il nostro concetto di Stato e dei suoi cittadini.
Riguardo alle elezioni, esse si svolsero sia durante il lungo periodo dello Stato Islamico, come oggi, per esempio in Palestina o Iran. In base alla nostra concezione dell’Islam, partecipare alle elezioni non contraddice il dettato religioso, poiché esse consentono al popolo di scegliere. La possibilità di eleggere chi governa è molto importante nell’Islam, un sistema che noi chiamiamo degli Shura [consiglio NdT]. Oggigiorno la chiamano democrazia.

D: La giustizia sociale e la dignità umana sono due importanti aspetti dell’Islam. Che significato ha per te giustizia sociale? I diritti sociali? Il rapporto tra ricchi e poveri?

La legislazione islamica contiene al suo interno il concetto di distribuzione della ricchezza. C’è un sacro versetto del Corano che dice che la ricchezza non deve essere monopolizzata dai ricchi. Un esempio è quello dell’eredità. Quando qualcuno muore i suoi beni devono essere distribuiti ad un minimo di 10 persone. Questo tipo di distribuzione darà benefici a molta gente. Inoltre abbiamo la Zakat, che oltre ad essere un obbligo religioso è uno dei pilastri dell’Islam: il 2,5 % di tutto il denaro deve andare ai poveri. La Zakat è pagata allo Stato, che è responsabile della sua distribuzione, questo è del resto il sistema vigente in Europa: noi la chiamiamo Zakat, voi tassa. Queste tasse sono raccolte e distribuite a quelli che ne hanno più bisogno. Questo è accaduto nell’Islam per 1400 anni, solo che l’Islam da a questo tributo una valenza religiosa e la sua efficacia, quindi, non dipende solo dall’essere un’imposizione dell’autorità secolare, ma dall’essere anche un obbligo religioso. La gente devolve il proprio denaro ai poveri per compiere il proprio dovere religioso.
Come Palestinesi qui non abbiamo uno stato, ma paghiamo la Zakat, raccogliendola nelle nostre Moschee e la usiamo per aiutare chi ne ha bisogno. Ad esmpio aiutiamo i giovani a sposarsi, gli studenti a pagare le rette universitarie, aiutiamo quelli che hanno bisogno di cure mediche.

D: In Occidente il Salafismo è presentato esclusivamente come sinonimo di terrorismo e di qaidismo. Tu come definiresti il Salafismo?

Il Salafismo è come il “fondamentalismo” in Occidente, quando nel passato c’era chi propugnava il ritorno alle Sacre Scritture. In Occidente avete avuto diversi movimenti fondamentalisti, come i puritani e altri movimenti religiosi, inclusi i protestanti. Il Salafismo è simile a queste correnti. Esso è sorto in Arabia Saudita 150 anni fa. Il loro obiettivo principale era invitare la gente a ritornare al Sacro Corano e alle parole del Profeta, su questo c’è consenso all’interno di tutti i gruppi musulmani. Ma ci sono delle differenze anche tra i gruppi salafiti: come le tendenze che si possono trovare all’interno di ogni altra ideologia, alcuni sono moderati, altri radicali. La maggioranza dei gruppi musulmani qui ad Ein, non sono Salafiti. Gli stessi Salafiti, qui, hanno un atteggiamento moderato, le nostre energie vanno focalizzate nella lotta per liberare il nostro paese. Una corrente all’interno del campo è chiamata “Salafismo scientifico”, che si oppone al “Salafismo jihadista” e si focalizza nell’insegnamento della Sharia, in una conseguente educazione degli scolari. Nei campi profughi non si segue l’orientamento salafita predominante fuori dal Libano.

D: Insomma, il tuo gruppo non era coinvolto negli scontri a Nahr El-Bared, tra lo Stato libanese e Fatah Al-Islam?

Il conflitto a Nahr El-Bared non era un fenomeno endogeno palestinese, la cosiddetta Fatah Al-Islam era composta da combattenti provenienti dalla Siria. Molti giovani provenienti da differenti paesi arabi raggiunsero la Siria allo scopo di recarsi in Iraq per lottare contro gli americani. Siccome la Siria chiuse i suoi confini con l’Iraq, il governo di Damasco per sbarazzarsi di loro, li spedì in Libano. Dobbiamo ricordare che in quegli anni la Siria e il Libano erano in aperto conflitto. I siriani furono costretti a lasciare il Libano e di converso la Siria lasciò che questi militanti entrassero in Libano. In combutta con una frazione palestinese pro-siriana, chiamata Fatah Al-Intifada, essi si insediarono a Nahr El-Bared, ed entrarono in conflitto con l’esercito libanese. Se guardate ai nomi dei caduti a Nahr El-Bared, o di quelli che furono arrestati, potete vedere che nessuno di loro era palestinese, nessuno di loro era originario del campo. Tutti loro venivano dall’Arabia Saudita, dall’Algeria e da altri paesi arabi. La battaglia di Nahr El-Bared aveva cause esterne al campo.

D: Quale fu la vostra posizione a Nahr El-Bared?

Noi abbiamo tentato di salvare il campo. Abbiamo tentato di negoziare con l’esercito libanese, pronti anche a recarci a Nahr El-Bared a trattare direttamente con Fatah Al-Islam. Chiedemmo un cessate il fuoco e l’invio di truppe di interposizione allo scopo di separare l’esercito libanese dai combattenti di Fatah Al-Islam. Ma le cose non andarono come speravamo. Non siamo riusciti a formare una tale forza di pace. Dopo che gli scontri cessarono per qualche giorno, l’esercito libanese tornò nel campo e lo distrusse completamente e ciò avvenne dopo la resa di Fatah Al-Islam. Il campo non venne distrutto completamente durante gli scontri. Durante gli scontri la maggioranza delle case era in buone condizioni, dentro e fuori, dopo gli incidenti l’esercito libanese, sfortunatamente distrusse il campo e saccheggiò le case. Se andate a Nahr El-Bared potrete vedere fino a che punto la gente soffre.

D: Gli eventi di Nahr El-Bared hanno determinato un mutamento nell’approccio dello Stato libanese verso di voi e gli altri gruppi ad Ein El-Hilweh? Sono stati usati come pretesto per eliminarvi dal campo?

Come vi ho detto, durante gli scontri di Nahr El-Bared, abbiamo provato ad intavolare dei negoziati con l’esercito allo scopo di risolvere i problemi a Nahr e di evitare scontri tra l’esercito e i gruppi ad Ein El-Hilweh. Siamo riusciti solo nel secondo intento. Molta gente sospettava che quanto stava accadendo a Fatah Al-Islam era diretto contro i Palestinesi e che gli eventi di Nahr El-Bared non riguardavano solo quel campo. Lì c’è stata una distruzione totale e all’inizio le autorità volevano addirittura impedire il ritorno dei palestinesi alle loro case. Ancora oggi ad alcuni è impedito di tornare nel campo. Spero che riuscirete a visitare Narh El-Bared per verificare con i vostri occhi quanto vi sto dicendo.

D: Che rapporti avete con Abdullah Azam?

Azam non è mai venuto nel campo di Ein El-Hilweh. Egli fu membro di HAMAS nel passato. Tra il 1967 e il 1970 egli lottò contro gli israeliani. Egli era membro della fratellanza musulmana, di cui HAMAS faceva parte. Egli combatté nelle fila di Fatah. Dai ’70 agli anni ’80 era professore universitario. Successivamente si recò in Afghanistan. Era un uomo pieno di entusiasmo. Ma non ha alcuna relazione con il campo di Ein El-Hilweh, né è mai venuto in Libano.

D: Dopo la Freedom Flottilla vedi forse un cambiamento nel ruolo della Turchia? Che pensi dell’aiuto internazionale alla causa palestinese?

I Palestinesi salutano ogni tipo di appoggio. Siamo stati espulsi dal nostro paese e stiamo soffrendo da più di 60 anni, ogni sostegno è il benvenuto. Se questo sostegno per alcuni è facoltativo, per la Turchia e altri paesi arabi e musulmani è un dovere. Per gli Arabi e i Musulmani si tratta della loro nazione. Se non ci sostenessero sarebbero colpevoli. Per quanto riguarda gli altri salutiamo il loro aiuto, ma non li biasimeremmo ove non ci sostenessero. Salutiamo chi ci appoggia senza guardare alla loro religione o alla loro ideologia. Alcuni hanno un appoggio umanitario, altri ideologico. Guevara per esempio, andò in Algeria e sostenne la causa araba.

D: Puoi dirci qualcosa della famosa libreria che hai creato, dove sono conservati libri importanti?

E’ una libreria sotto la moschea, dove ognuno può andare e prendere in prestito.

D: Quali sono le vostre iniziative politiche riguardo al Libano?

Come vi ho già detto, l’iniziativa palestinese è sottoposta a molti limiti in Libano. Dobbiamo fare i conti con molti ostacoli, siamo privati del diritto di formare un partito politico o anche di una associazione. Così quello che stiamo facendo nel campo, è aldilà della legge libanese, e se lo Stato decidesse di applicarla in pieno, molte cose cambierebbero. I Palestinesi non sono nemmeno autorizzati ad avere una farmacia o una clinica, così che i limiti posti alla nostra attività politica sono solo una parte delle nostre privazioni. Ma d’altra parte, siccome il nostro paese è occupato, noi abbiamo il diritto di esprimere una nostra posizione verso l’occupazione e verso l’occupante sionista, allo scopo di convincere chiunque a sostenere la nostra battaglia per liberare il paese.

D: Vuol dire che voi limitate le vostre attività al piano politico e non anche alla lotta armata?

Noi manteniamo una forza militare nel campo, ma essa di norma è usata a scopi di autodifesa. Quando Israele ha invaso il Libano nel 1982, il campo fu devastato. Noi combattemmo gli israeliani dentro e fuori il campo, fino a quando non si ritirarono nel 1985. Nel 2006 noi partecipammo ai combattimenti del Sud. La forza armata è ancora necessaria per lottare contro il nemico che ha occupato la Palestina e che non esclude di occupare altri paesi. I sionisti occupano ancora le acque libanesi e violano lo spazio aereo. Cosa potete aspettarvi da questi? E non dimenticate che nel 2006 attaccarono anche il campo.

Qual è la vostra posizione verso la rivoluzione islamica in Iran? E la disputa tra Sunniti e Sciiti?

Noi siamo per la cooperazione e la riconciliazione, non solo fra le differenti sette e confessioni religiose della regione, ma anche fra le differenti nazionalità. Arabi, Turchi e Curdi vivono insieme entro i confini degli stessi stati. Noi non facciamo differenze tra i popoli che hanno vissuto insieme per 1000 anni. Ciò che ha una storia di 1000 anni non può essere cambiato facilmente.

D: Sul piano ideologico e teologico vedi possibile nel futuro una riconciliazione tra le due ali principali dell’Islam?

Ci sono stati molti tentativi di questo tipo nel passato, ma questi tipi di riconciliazione necessitano dell’impegno diretto degli stati. Non bastano gli sforzi individuali di piccoli gruppi. Anticamente ci sono state molte riconciliazioni, ci sono stati ministri sciiti nel califfato sunnita Abbaside. Il fatto che gli sciiti fossero una minoranza non vuol dire che fossero considerati un problema.

D: Consideri gli shiiti come non-credenti o blasfemi come ritengono altri gruppi salafiti?

No!

D: Qual è il tuo giudizio sulle azioni di martirio e gli attacchi suicidi portati avanti in Palestina o in Iraq?

Stiamo combattendo quasi disarmati contro dei nemici che possiedono ogni tipo di armamento moderno. Questo ci autorizza ad usare anche i nostri corpi, la sola modalità che ci è consentita in questo tipo di conflitto.
E’ vero, l’Islam proibisce il suicidio. Ma se esso è il solo modo di difendere te stesso, allora è legittimo. L’Islam vieta l’uccisione di bambini, donne e vecchi. Anche quando lotti contro il nemico non ti è permesso colpire questi ultimi. Ti è consentito combattere solo chi ti sta combattendo. Tuttavia, per quanto concerne israeliani e americani, essi non ci lasciano altra via per difenderci. La sola altra opzione è la resa e lasciare che il nostro nemico prenda la nostra terra e uccida la nostra gente. Per di più essi parlano tanto di armi moderne, ma uccidono civili innocenti, per poi dirci che era necessario, oppure che era per errore. Gli israeliani hanno ammazzato mille civili inermi durante l’operazione “Piombo fuso” a Gaza. Dovendo noi combattere con missili fatti in casa, essi possono colpire anche delle donne, ma cos’altro potremmo fare? Conduciamo una guerra moderna, mentre una volta si combatteva con le spade, con il copro a corpo. Adesso, la guerra moderna e le armi moderne causano da ogni lato la morte di civili innocenti. Non vorremmo che ciò accada, ma è il solo modo che ci viene concesso per difenderci, e quando colpiamo dei civili è spesso per errori effettivi. No, noi non ci proponiamo di uccidere i bambini israeliani, malgrado i sionisti uccidano i nostri.

D: Cosa ti aspetti dal movimento di solidarietà attivo nelle società occidentali?

I popoli dell’Occidente possono giocare un ruolo importante, come hanno mostrato i grandi movimenti contro la guerra. Possono esercitare pressioni sui loro governi, spingerli a cessare il sostegno ad Israele. I governi occidentali, ad esempio, non hanno compiuto alcun passo concreto per obbligare gli israeliani a ritirarsi dai territori occupati nel 1967. Essi hanno invece fatto il diavolo a quattro nei casi di altre occupazioni, come ad esempio nel Kuwait nel 1990, in Jugoslavia o in Iraq. Per Israele viene applicato un differente standard. I cittadini occidentali dovrebbero obbligare i governi che hanno essi stessi eletto a farla finita con l’uso di due pesi e due misure ed obbligare quindi Israele a ritirarsi dai territori palestinesi occupati. Ad oggi Israele continua non solo con l’occupazione illegale della Palestina, ma ad impossessarsi di nuove terre espellendo i palestinesi. Di recente anche politici palestinesi, per di più eletti, sono stati espulsi da Gerusalemme. Israele agisce contro la legge universale e gli accordi internazionali sanciti dalle risoluzioni ONU, e nessuno apparentemente riesce a fermarlo.

traduzione a cura della Redazione