Pubblichiamo qui sotto l’articolo di Ornella Sangiovanni, uscito il 27 settembre scorso su Osservatorio Iraq. Esso ci da conto dell’ultima mossa dell’ala filosiriana moderata del Baath iracheno, l’altra essendo quella “dura” di Izzat Ibrahim al Douri (dei cui militanti son piene le carceri irachene) che, pur in condizioni durissime, continua la sua Resistenza contro le truppe d’occupazione, portando altresì attacchi settari contro le forze shiite condannate in blocco come collaborazioniste. Chi scrive ebbe modo, tempo addietro, di incontrare a Damasco Mohammed Yunis al Ahmad, esponente di spicco della frazione filosiriana di ciò che resta del Baath iracheno.

Ricevemmo una brutta impressione. Di fatto, dietro ai virulenti discorsi antiamericani, il suo gruppo sosteneva al-Sahwa, il cosiddetto “risveglio”, ovvero il passaggio armi e bagagli di molte tribù sunnite (e relative milizie) dalla parte degli occupanti col pretesto di schiacciare la guerriglia qaedista. Ed anche oggi non è difficile immaginare come dietro al proclama col quale Mohammed Yunis al Ahmad avanza proposte per “l’Iraq liberato”, ci sia in realtà la sua disponibilità a entrare con tutti e due i piedi nel cosiddetto “processo politico”, lasciando sottinteso che si rivendicano poltrone nelle istituzioni.

«Un governo di transizione, la stesura di una nuova Costituzione, e poi elezioni sotto supervisione internazionale. Questa la Road Map proposta da una delle fazioni del partito Ba’ath, per la fase che seguirà alla “liberazione” dell’Iraq, ovvero dopo che gli Stati Uniti avranno completato il ritiro delle loro truppe – dal 2012.
E’ il gruppo che fa capo a Mohammed Yunis al Ahmad a presentare il suo “progetto nazionale”, da avviarsi attraverso la creazione di un Political Bureau – un organismo dirigente – che rappresenti tutti i gruppi della resistenza irachena e “delle forze che si oppongono all’occupazione”.

Obiettivo: la formazione di un sistema e di un governo nazionale, che prendano in carico l’Iraq, una volta che esso sarà stato “liberato”.
Ne riferisce oggi [in arabo] il quotidiano arabo al Sharq al Awsat, che se ne è procurato una copia.

Si parte, una volta costituito il Political Bureau, con la formazione di un Majlis al Shura, una sorta di consiglio consultivo,  composto da 100-150 personalità scelte dalle forze rappresentate nel Political Bureau. Ad esso spetta il compito di formare un “governo nazionale di transizione”, che resterà in carica due anni.
Dopo un anno dal suo insediamento, si terranno “elezioni democratiche” per il Parlamento, “sotto la supervisione delle Nazioni Unite, della Lega Araba, e dell’Organizzazione della Conferenza Islamica”.

Una nuova Costituzione da sottoporre a referendum popolare

Il Parlamento neoletto dovrà preparare una bozza di nuova Costituzione per l’Iraq da sottoporre a “referendum popolare generale”.
L’iter si concluderà con la formazione di un “governo costituzionalmente eletto”, e con l’elezione del presidente della Repubblica sempre da parte del Parlamento.

Non si tratta di una vera novità: il progetto di una delle due fazioni nelle quali è attualmente diviso il Ba’ath (che fu partito unico di governo, ed è stato messo al bando dopo l’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti del marzo 2003) per l’Iraq “liberato” è sostanzialmente lo stesso percorso proposto più volte in tutti questi anni dalle forze irachene che si oppongono all’occupazione.
Il gruppo guidato da Ahmed (con base a Damasco) è stato spesso considerato il più disponibile al dialogo con le attuali autorità di Baghdad, a fronte di quello – più intransigente – di Izzat Ibrahim al Douri, che di Saddam fu il numero due, ed è tuttora in libertà.

Rifiuto di tutto ciò che è arrivato con l’occupazione

Distinzione che appare non così azzeccata, laddove il suo “progetto nazionale” si incentra su una serie di punti, di cui il principale è “il rifiuto di tutto ciò che è arrivato con l’occupazione: il processo politico, e le decisioni, ordinamenti, e leggi che ne sono derivati”.
Seguono l’affermazione dell’appartenenza dell’Iraq “alla sua Umma [nazione NdR] araba e islamica”, le relazioni di buon vicinato, rapporti regionali e internazionali “costruiti sugli interessi comuni”, fatta eccezione per “l’entità sionista” (ossia Israele).
E ancora: lotta alla corruzione amministrativa e finanziaria, e al terrorismo.

Uno dei punti qualificanti è poi il rifiuto della presenza militare straniera sul territorio iracheno “in tutte le sue forme” – che si tratti di basi militari, o di forze di protezione delle ambasciate, o società che proteggono installazioni varie.
La protezione di ambasciate nonché interessi civili ed economici dei vari Paesi dovrà essere assicurata – si dice – dallo Stato iracheno, e dalle sue istituzioni governative.
Ultimo – ma non meno importante: la presentazione “di un autentico progetto per la riconciliazione nazionale”.

Tutto comunque rinviato al 2012. Dopo la “liberazione”.

Fonte: al Sharq al Awsat