La crisi di Beirut decisa a Washington (ed appoggiata a Parigi)
Molti osservatori sottolineano i gravi rischi connessi con il precipitare della crisi politica in Libano. E’ presto per sapere se davvero la situazione finirà per scivolare verso la guerra civile, o se invece si troverà un nuovo equilibrio, raggiunto magari sull’orlo del baratro come già avvenuto nel maggio 2008. Intanto, domani, il presidente Michael Suleiman darà il via alle trattative formali per la formazione di un nuovo governo.
In attesa degli sviluppi, alcune cose vanno però messe a fuoco da subito. La crisi del governo libanese è stata decisa in primo luogo dagli Usa. E’ stata infatti la posizione americana -perfettamente allineata ai desideri israeliani – a far fallire la mediazione siriano-saudita. Gli Stati Uniti ed il governo sionista vogliono piegare Hezbollah, e siccome sanno perfettamente che questo non sarà facile spingono per far saltare la polveriera libanese. Se Hezbollah non si piega, che venga logorato anche a costo di una nuova guerra civile: questo è il calcolo della signora Clinton, le cui pressanti intromissioni nella politica libanese la dicono lunga su quale sia il rapporto con il governo oltranzista presieduto da Netanyahu.
In questo contesto la vicenda del “Tribunale speciale per il Libano” (Tsl) è solo un pretesto. Questo tribunale, istituito dall’Onu su pressione americana e francese, è stato voluto soprattutto come strumento da utilizzare contro la resistenza nazionale libanese. E’ un tribunale che viola la stessa sovranità del Libano, ed è presieduto dall’italiano Antonio Cassese, un aperto sostenitore della politica sionista. Non è un caso se il “tribunale” si è mosso a senso unico contro Hezbollah, ignorando altri elementi emersi e denunciati dallo stesso partito di Nasrallah (vedi articolo del 30 luglio 2010). Sulla “credibilità” del Tsl rimandiamo a quanto scritto da Thierry Meyssan (Chi ha davvero ucciso Rafiq Hariri?). Ma è significativo che lo stesso figlio di Hariri, Saad, primo ministro fino a quattro giorni fa, abbia parlato ancora a novembre della “politicizzazione della Corte” e dei danni che ne sarebbero potuti scaturire per il Libano.
D’altronde la mediazione siriano-saudita nasceva proprio dalla necessità dei due paesi – pure tra loro nemici – di evitare un nuovo scontro in Libano. Damasco e Ryad avevano proposto ad Hariri di prendere le distanze dal Tsl, in modo da depotenziarne le eventuali decisioni.
Sta di fatto che in dirittura d’arrivo Hariri si è invece allineato a Washington. E già mercoledì sera il cristiano Michel Aoun, leader del Free Patriotic Movement, dichiarava che: «l’Arabia Saudita e la Siria sono riusciti a creare unità in Libano, ma l’intromissione degli Usa ha rovinato i loro sforzi». La mediazione è così saltata costringendo alla rottura il blocco dell’«8 marzo», guidato da Hezbollah. Insomma, se i delicati equilibri del mondo arabo spingevano nonostante tutto per la mediazione, le pressioni americane andavano in direzione opposta: questa è la vera origine della crisi libanese.
L’obiettivo di questa offensiva è dunque Hezbollah. Sappiamo tutti quanto ad Israele bruci ancora l’insuccesso della guerra dell’estate 2006, sappiamo tutti (ma potevano esserci dubbi?) come sia fallito il disegno di disarmare la Resistenza libanese. Oggi l’attacco americano-sionista si fa scudo di un tribunale fantoccio, ma l’obiettivo è sempre lo stesso. Per Hillary Clinton, Hezbollah «vuole sovvertire la giustizia e cerca di minare la stabilità del Libano».
Sostanzialmente allineata agli Usa anche la posizione europea, con la Francia in prima fila e l’Italia a recitare il ruolo di prima della classe nel ripetere a pappagallo la propaganda di Washington. Citiamo il comunicato della Farnesina: «Il governo italiano ribadisce il sostegno al Tsl, come organo di giurisdizione indipendente creato sulla base di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, nella convinzione che la battaglia contro l’impunità rafforzi la stabilità del paese. E’ necessario che da parte di tutti si offra la massima collaborazione al Tsl».
Lasciamo perdere la risibile tesi dell’«indipendenza», ma perché mai – in ogni caso – uno stato sovrano dovrebbe accettare le sentenze di un tribunale internazionale anziché quelle della propria magistratura?
Si preparano tempi caldi in Libano e forse nell’intero Medio Oriente. Ma la partita si è appena aperta e lo sbocco è tutt’altro che certo. Stati Uniti ed Israele spingono per la guerra civile, ma il blocco filo-occidentale del «14 marzo» è disposto ad arrivare a tanto? Dubitarne è molto più che lecito, ed è in questo spazio che Hezbollah giocherà le sue carte, avendo dalla sua non solo la popolazione sciita, ma la netta maggioranza di un popolo che ricorda le tragedie (150mila morti) della guerra civile che ha insanguinato il paese dal 1975 al 1990.
Un portavoce di Hezbollah ha dichiarato che il partito deciderà le prossime mosse sulla base della reazione del blocco del «14 marzo» alla caduta del governo Hariri, ma ha escluso che possa essere accettato un governo simile all’ultimo. Le esperienze passate fanno pensare che anche questa crisi possa avere uno svolgimento assai lungo. A meno che, dall’esterno (e non solo dal Tsl), arrivi l’innesco capace di far deflagrare il paese. Un prospettiva che piace molto a Israele.