A coloro che hanno ancora fiducia nella cosiddetta “Autorità nazionale palestinese”
Abbiamo scritto l’altro ieri sulle devastanti notizie rese note da al-Jazeera e che dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio fino a che punto la cricca di Abu Mazen si sia spinta nel suo scandaloso rapporto di collaborazione con le autorità sioniste israeliane. La documentazione resa nota dalla potente emittente araba (e non si dica che al-Jazeera è filo-iraniana per favore!) ha permesso di capire non solo ai palestinesi, ma all’opinione pubblica araba e mondiale, che l’ANP non solo non rappresenta in alcun modo la Resistenza del popolo palestinese, che essa è nulla più che un governicchio fantoccio, pronto e vendersi al nemico, a sottoscrivere ogni porcheria imposta loro dagli occupanti.
Devastanti, queste rivelazioni, perché mentre sputtanano l’ala (maggioritaria) di al-Fatah che tira i fili dell’ANP, legittimano, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, HAMAS, come il vero baluardo della Resistenza palestinese.
Ciò che è venuto alla luce è insomma destinato ad avere profonde ripercussioni nel mondo politico palestinese e, da quanto emerge seguendo il dibattito, crescono le richieste di dimissioni di Abu Mazen, che appare oramai un piccolo satrapo abbarbicato nel suo bunker. Il grande vento di rivolta che attraversa ora anche l’Egitto del suo amico Mubarak potrebbe forse accelerare la sua dipartita.
Cosa faranno le tendenze palestinesi di sinistra, anzitutto il Fronte Popolare? Potranno ancora attenersi ad una posizione mediana? Noi riteniamo di no.
Lo stesso Fronte Popolare ha diffuso, per bocca del membro del suo Ufficio politico Abu Ahmad Fuad, una dichiarazione riguardo alle rivelazioni di al-Jazeera che suoina come dura critica all’operato di Abu Mazen e afferma che il FPLP, tanto più in quanto membro dell’OLP, nulla sapeva degli intrighi dell’ANP in ambito negoziale. (http://www.pflp.ps/english/?q=comrade-abu-ahmad-fuad-calls-accountability-those). Ma per quanto dura, questa posizione, non pare all’altezza del dramma. Va bene ribadire che il Fronte ha sempre denunciato la strategia negoziale inaugurata con gli Accordi di Oslo, ma i palestinesi, adesso, vogliono sapere se il Fronte vuole le dimissioni o meno di Abu Mazen (unica via, per altro, per ridare all’OLP un ruolo decisionale), oppure se continueranno a reggergli il moccolo, mantenendo la sua equidistanza formale tra HAMAS e al-Fatah.
Prima o poi una decisione dovrà essere presa, pena il discredito agli occhi dei settori più radicali e avanzati del popolo palestinese. Il Fronte, giustamente, inneggia alla cacciata di Ben Alì in Tunisia e alla rivolta in corso in Egitto, parla di sacrosante rivoluzioni democratiche in corso per togliere di mezzi i tiranni mediorientali, guarda caso tutti filo-sionisti. Bene! Ma che facciamo con Abu Mazen? Non è forse un mini-tiranno anche lui? Non è forse vero che l’ANP ha arrestato diversi militanti del Fronte e che molti di loro sono in custodia per conto terzi?
L’ultima notizia fatta filtrare da al-Jazeera sarà forse la goccia che farà traboccare il vaso.
Incontrovertibili documenti attestano che gli uomini della sicurezza di Abu Mazen non hanno solo svolto un attivo e proditorio ruolo di cooperazione con gli apparati militari di Israele per eliminare, ovvero ammazzare, esponenti di HAMAS a Gaza. Al-Jazeera ha reso note le sconvolgenti conversazioni tra il Ministro della difesa israeliano, Shaul Mofaz, ai tempi di Ariel Sharon, nel 2005, con il Ministro dell’interno palestinese Nasser Youssef. Dice Shaul Mofaz «Di Hassan Madhoun conosciamo l’indirizzo. E Rashid Abu Shbak lo sa. Perché non lo ammazzate?». Nasser Youssef: «Abbiamo dato istruzioni a Rashid. Vedremo». Shaul Mofaz: «Non è di HAMAS, lo potete ammazzare… Noi lavoriamo, voi non avete offerto niente».
Chi era Hassan Madhoun? Era un esponente delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, ovvero il braccio militare della stessa al-Fatah, ovvero dello stesso partito di Abu Mazen. Alla fine Hassan Madhoun verrà ucciso nel novembre del 2005 da un missile israeliano con il lasciapassare dell’ANP.
Mettiamola così: se ci fosse uno Stato di diritto in Palestina, Abu Mazen e il suo Ministro Nasser Youssef, sarebbero incriminati per concorso in omicidio e Alto tradimento. In stato di guerra crimini passibili della condanna a morte.
In questi anni, a partire dalla seconda Intifida, per finire con il crudele assedio di Gaza, alcuni hanno tentato di metterci in croce per il nostro sostegno attivo alla Resistenza palestinese e quindi anche ad HAMAS. Si tratta di compagni, di gente di sinistra che non si è ancora liberata di un vetusto cliché laicista. Partendo dall’assunto che HAMAS rappresenterebbe un’opzione religiosa e dunque reazionaria, i nostri detrattori non si sono limitati a criticare noi, poca cosa, ma hanno anche difeso fino all’ultimo l’ANP e Abu Mazen, considerandoli come i soli ostacoli per impedire ad HAMAS di guadagnare ulteriore terreno. Essi hanno così chiuso tutti e due gli occhi non solo sul malaffare e la corruzione endemica tra le file dell’ANP, sono restati silenti sulla repressione dall’ANP messa in atto. Inutile fu fargli notare che la loro scelta di campo paradossalmente coincideva con quella dei sionisti e degli imperialisti, che sigillarono Gaza e attuarono l’aggressione “piombo fuso”, proprio per stampellare l’ANP e far fuori HAMAS.
Le nuove rivelazioni forse apriranno gli occhi agli amici italiani di Abu Mazen che dicono di sostenere la Resistenza palestinese. Tanto più che dovrebbe ora esser loro chiaro quanto fosse legittimo l’attacco portato da HAMAS contro al-Fatah a Gaza nel giugno del 2007. La stampa internazionale lo chiamò “colpo di stato”. Oggi sappiamo che HAMAS aveva ragione quando denunciava le Forze di Sicurezza Nazionale controllate dal al-Fatah guidate da Mohammed Dahlan, di intelligenza col nemico sionista. Lo stesso Dahlan che, una volta cacciato da Gaza, collaborerà apertamente col Mossad nell’assassinio a Dubai di Mahmud al-Mabhuh, dirigente delle Brigate Al-Qassam.
Non è mai troppo tardi, per ricredersi e correggere un gravissimo errore.