Il Libano dopo la vittoria politica di Hezbollah

Giorni addietro, esattamente il 12 gennaio, venutagli a mancare la maggioranza a causa dell’annunciato salto del fosso da parte del notabile druso Jumblatt, il primo ministro Saad Hariri (figlio di Rafik, ucciso in un attentato nel febbraio 2005) ha dovuto rassegnare le proprie dimissioni. Un colpo gravissimo per tutta la Alleanza del 14 Marzo, ovvero il composito blocco filo-occidentale opposto a quello del “4 Marzo” capeggiato da Hezbollah.

Il bello è che, con rapidità sorprendente per gli standard libanesi (le crisi istituzionali possono durare anche svariati mesi) in pochi giorni la crisi di governo è stata risolta. Lunedì 24 gennaio il Parlamento libanese ha eletto con 68 voti su 128 il nuovo Primo Ministro. Si chiama Najib Mikati, un sunnita (questo è d’obbligo dati gli assetti confessionali vigenti). Il Presidente della Repubblica Michel Suleiman, il giorno dopo, l’ha confermato quindi come Premier.

Mikati è un facoltoso uomo d’affari di Tripoli. La differenza con Hariri è che egli non è un nemico di Hezbollah, ed è considerato amico da Damasco. Ora Mikati, avuto l’incarico, dovrà formare il nuovo governo. Sia lui che Hezbollah chiedono che sia come il precedente, di “unità nazionale”. Hariri a la sua Alleanza del 14 marzo hanno subito risposto picche. Non solo. Immediatamente dopo l’incarico il blocco filo-occidentale ha indetto la “giornata della rabbia”, chiamando la propria gente a protestare con ogni mezzo. Risultato: un clamoroso fallimento. Solo nella città di Tripoli, roccaforte dei nemici di Hezbollah, la manifestazione ha avuto una certa consistenza, e si è conclusa con lievi incidenti. Una quisquilia per il Libano, malgrado la stampa occidentale abbia ingigantito i tafferugli, ponendo la notizia, ma guarda un po’, accanto agli articoli sui disordini in Egitto e in Tunisia, ovvero cercando di far passare l’idea che anche il Libano sia  sull’orlo di una rivoluzione. Nulla di più lontano dalla realtà.

Malgrado il fallimento della cosiddetta “giornata della rabbia”, Saad Hariri in persona ha voluto chiamare tutti i suoi sostenitori a radunarsi ogni giorno alle sei di pomeriggio in Piazza dei martiri, a Beirut, ovvero proprio nel luogo dove suo padre venne ucciso e dove giacciono le sue spoglie. Non ha scelto Piazza dei Martiri solo in quanto luogo simbolo, ma perché si trova in quella che gli abitanti di Beirut chiamano “Hariri land”, una roccaforte elettorale del deposto Primo ministro. Risultato: un clamoroso flop, non è che ci fossero quattro gatti. Non ci è letteralmente andato nessuno. Dopo il colpo uno smacco clamoroso per tutto il blocco filo-occidentale.

Visti umiliati i suoi servi, non si è fatta attendere la prima minacciosa dichiarazione americana, direttamente per bocca di Hillary Clinton: «Un governo sotto il controllo di Hezbollah avrà un impatto negativo nelle nostre relazioni col Libano». Amen. Quella che tempo addietro sarebbe stata considerata una inquietante e temibile minaccia, i libanesi l’hanno accolta con cinica indifferenza. E’ un comune sentire, evidentemente, che in Libano, contro Hezbollah, non si governa, tanto più adesso, a cinque anni dall’aggressione israeliana, dato che Hezbollah è non solo più forte di prima politicamente, ma pure militarmente.

Il fallimento penoso dei raduni in difesa di Saad Hariri ci dice tuttavia un’altra cosa. Ci dice che la maggioranza dei cittadini libanesi non ha affatto gradito né condiviso che egli, dopo il suo recente viaggio negli Stati Uniti, abbia ubbidito come un cagnolino ai suoi sponsor della Casa Bianca, ovvero che il suo governo non avrebbe ostacolato, anzi avrebbe sostenuto, le decisioni del Tribunale internazionale istituito dall’ONU riguardo ai colpevoli dell’assassinio di suo padre. Senza prove certe e in base ad un evidente teorema politico, si sa da tempo che il Tribunale internazionale, dopo un’istruttoria che faceva acqua da ogni parte, ha raggiunto la conclusione che i mandanti dell’omicidio sarebbero stati alti dirigenti di Hezbollah. Il Partito di Dio ha non solo negato ma avvertito Hariri che nel caso avesse sostenuto la macchinazione ordita su comando degli americani e dei sionisti, lo scontro frontale, quello che si sarebbe deciso con la lotta armata, sarebbe stato ineluttabile. Altro che tenuta del suo governo!

In barba a questi ammonimenti, Hariri è andato dritto, dichiarando a destra e a manca che le autorità libanesi avrebbero rispettato il verdetto del Tribunale internazionale. Era una vera e propria dichiarazione di guerra contro Hezbollah. Da quel momento Hariri ha firmato il suo certificato di morte politica. Non c’è voluto nemmeno uno sparo per farlo cadere, e la crisi si è risolta nelle sedi istituzionali. Ciò, appunto non sarebbe stato possibile se la maggioranza dei libanesi non avesse voltato le spalle alla sua linea sfrontatamente filo americana e filo sionista. I libanesi non vogliono una nuova guerra civile. Punto.

Così si spiega che senza colpo ferire, una crisi istituzionale che molti ritenevano si sarebbe trascinata per mesi con rischi altissimi di un suo sbocco in una guerra fratricida, si è invece risolta in modo fulmineo. Una vittoria politica di Hezbollah che ha quasi del clamoroso, che non sarebbe stata possibile senza l’autogol di Saad Hariri, la cui sconfitta spiega l’esultanza del popolo di Hezbollah, della gente di sinistra libanese, di tutto il variopinto fronte della Resistenza nazionale.

Gli americani speravano evidentemente in una ripetizione dei fatti del maggio 2008, quando una crisi istituzionale similare, portò ad un violento scontro armato per le strade di Beirut tra i miliziani di Hariri e quelli di Hezbollah. La vittoria sul campo di Hezbollah fu schiacciante, ciò che portò agli accordi di pace che permisero di eleggere Suleiman Presidente e di procedere alla formazione dell’ormai defunto governo di unità nazionale. Gli americani e i sionisti hanno evidentemente sperato in nuovi tumulti, per poi giocare la carta di un intervento internazionale e di mettere il paese sotto il proprio protettorato.  Tutto avrebbe fatto brodo pur di inguaiare e sconfiggere Hezbollah.

E’ andata all’opposto. Hezbollah ha ottenuto una vittoria politica straordinaria. Non è certo scacco matto, ma di sicuro adesso tutto è più difficile per l’asse Usa-Israele e i loro alleati libanesi.