Il terremoto in Giappone manda in frantumi le false certezze sulla «sicurezza nucleare»
Mentre scriviamo (ore 10), si susseguono i lanci di agenzia sulla drammatica situazione nella centrale nucleare di Fukushima, colpita dal violento sisma di ieri mattina. Le ultime notizie sono decisamente allarmanti. Prima delle 9 (ora italiana) una potente esplosione ha distrutto uno dei quattro edifici della centrale causando il ferimento di almeno 7 lavoratori. La gabbia di contenimento del reattore sarebbe stata polverizzata. Secondo alcune fonti la radioattività nell’impianto, prima dell’esplosione, era di 1.000 volte superiore al normale. Dopo l’esplosione, la televisione pubblica Nhk ha invitato coloro che abitano nelle zone vicine alla centrale, oltre la zona già precedentemente evacuata, a tapparsi in casa e chiudere le finestre.
Ecco cos’è nella realtà un allarme nucleare.
Non possiamo sapere al momento cosa stia esattamente accadendo nella centrale. Sappiamo però che la situazione è gravissima e, già prima dell’esplosione, decisamente fuori controllo. Le avarie che si sono verificate all’impianto di raffreddamento – di cui non si conosce con precisione l’entità – sono apparse gravi fin da ieri, quando il governo giapponese ha dichiarato lo stato d’emergenza nucleare. Con il passare delle ore il quadro si è fatto sempre più fosco, al punto che Hillary Clinton – gli Stati Uniti hanno inviato a Fukushima un aereo con una grande quantità di liquido refrigerante di cui il Giappone era rimasto sprovvisto – ha dichiarato che «nonostante gli alti standard di sicurezza giapponesi, uno dei reattori è stato messo duramente alla prova dal sisma».
Ci vorremmo tanto sbagliare, ma l’impressione è che il peggio debba venire.
Sta di fatto che milioni di giapponesi, già provati da un terremoto spaventoso, vivono ora nell’angoscia della catastrofe nucleare. Una catastrofe doppia per un popolo che, unico al mondo, ha già vissuto sulla propria pelle l’orrore delle bombe atomiche sganciate nel 1945 dall’aviazione americana su Hiroshima e Nagasaki. Sta di fatto che in queste ore il rischio di una nuova fusione nucleare, dopo quella di Chernobyl del 1986, torna paurosamente all’ordine del giorno.
Quello che possiamo già dire è che l’emergenza causata da quel che sta accadendo nella centrale di Fukushima 1 manda totalmente in frantumi il traballante castello delle false certezze sulla «sicurezza nucleare». Per dimostrare l’inconsistenza di quel castello, ci è capitato di citare più volte proprio il caso giapponese. Ecco cosa scrivevamo nel febbraio 2010 (vedi Nucleare: le 5 menzogne da smontare):
«Qualcuno potrebbe pensare che questi incidenti appartengano ormai al passato, frutto delle obsolete tecnologie del secolo scorso. A parte il fatto che la tecnologia nucleare non è poi cambiata molto, e non a caso i problemi che si presentano sono più o meno sempre gli stessi, bisognerebbe riflettere su quanto accaduto nella centrale giapponese di Kashiwazaki nel luglio 2007. Non stiamo parlando di un impianto qualsiasi, ma della centrale atomica più grande del mondo (8.000 MW di potenza). E non stiamo parlando di un paese qualsiasi, bensì del Giappone, sempre portato ad esempio dal punto di vista tecnologico. E portato ad esempio in particolare per la prevenzione sismica. Eppure fu proprio un terremoto, peraltro di intensità assai inferiore rispetto a quello ipotizzato nei calcoli di progetto della centrale, a provocare perdite radioattive, incendi ed altri guasti che portarono alla chiusura dell’impianto. Hanno niente da dire su Kashiwazaki i nostrani fautori dell’atomo?»
Se Kashiwazaki aveva dimostrato l’insicurezza intrinseca delle centrali atomiche, al punto che l’AIEA (Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica) commentava quell’evento dichiarando che «non esiste esperienza né regole per caratterizzarne con precisione gli effetti», Fukushima chiarisce definitivamente qual è il vero rischio connesso all’esercizio degli impianti nucleari.
I sostenitori dell’atomo allegro – in Italia ne abbiamo un buon numero – si sono sempre fatti forti della presunta «unicità di Chernobyl», dovuta a tecnologie obsolete ed errori umani. Leggiamo cosa ha affermato in proposito il prof. Veronesi, in un’intervista a La Stampa del 3 marzo scorso: «Chernobyl è qualcosa che non potrà più accadere. Là era tutto sbagliato. C’era una macchina vecchia, pensata per usi militari, non civili. Si decise di fare un esperimento, vera follia in una centrale. E il direttore dell’impianto non era un esperto di nucleare». Tralasciamo di rispondere a questa impressionante sequenza di professorali sciocchezze, per limitarci a ricordare un banale concetto assai noto a chi si occupa di sicurezza nei campi più disparati: il concetto di rischio.
Uno degli argomenti «forti» della lobby atomica è infatti la scarsa probabilità di incidenti gravi in una centrale atomica. Certo che gli incidenti gravi sono rari, e vorremmo anche vedere!, ma per valutare l’accettabilità sociale ed ambientale del rischio nucleare la frequenza non può certo essere l’unico valore significativo.
L’entità del rischio è ovviamente il prodotto di probabilità e gravità. Se la probabilità di incappare nel fattore «fumo», piuttosto che in quello della radioattività, è enormemente più alto ai fini del «rischio cancro»; la gravità di un incidente come quello di Fukushima (lasciamo per ora perdere il pericolo della fusione del nocciolo del reattore in avaria) è incomparabilmente più alta di qualsiasi altro fattore di rischio. Da queste banali considerazioni che chiunque può fare – ma non il prof. Veronesi, non a caso messo da Berlusconi a capo dell’Agenzia per la Sicurezza – deriva l’inaccettabilità del nucleare.
Fra l’altro, il terremoto giapponese ha evidenziato una vulnerabilità degli impianti atomici che va oltre la centrale di Fukushima 1. Anche Fukushima 2 ha avuto numerosi guasti, mentre nella centrale di Oganawa un incendio è stato domato a fatica, ed in totale ben 11 reattori sui 55 in funzione nelle varie zone dell’arcipelago sono stati messi fuori servizio dal sisma. Un quadro assai indicativo, specie se si considera l’ottima prova fornita nella circostanza dall’ingegneria antisismica giapponese, che ha consentito di ridurre enormemente i danni e le vittime del terremoto.
Per ora ci fermiamo qui, nella speranza che il disastro non si aggravi. Le ultime notizie (ore 11,30) non sono però rassicuranti: l’agenzia Kyodo informa che le autorità giapponesi hanno allargato l’ordine di evacuazione attorno alle centrali nucleari di Fukushima per un raggio di 20 chilometri.
Nel frattempo prepariamoci alle «toppe» ed alle panzane che il club atomico cercherà di rifilarci anche questa volta. Di fronte a quel che sta accadendo i nuclearisti dovrebbero come minimo tacere, ma ben difficilmente lo faranno.