In morte di Vittorio Arrigoni
Chi scrive è sempre stato immune da ogni tipo di paranoia complottista. Per spiegarmi con qualche esempio, ritengo che a rapire Moro non sia stata la CIA ma le BR, che a fare scoppiare la Rivoluzione d’Ottobre non siano stati i servizi segreti tedeschi né i “Savi di Sion” ma il Partito Bolscevico, che a distruggere le torri gemelle non sia stato il Mossad (previo avvertimento a tutti gli ebrei di non recarsi al lavoro) ma Al Quaeda, e inoltre penso che Stalin abbia ordinato l’omicidio di Trotzky per liberarsi del suo più pericoloso avversario e non per un “complesso di Caino” nei confronti del “padre” Lenin.
Stritolato tra l’idea di complotti a cui nessuno sfugge, orchestrati da compagini finanziarie o militari onnipotenti, massacrato da ossessioni metastoriche a cui è altrettanto impossibile sfuggire, l’ometto postmoderno si ritiene la vittima annunciata di tutto ciò che accade al mondo, contro cui non può nulla, e dunque si beve qualsiasi tesi complottista gli venga propinata. In tal modo, pur ritenendosi impotente a cambiare alcunché, suppone però di saperla lunga, di non essere cioè un imbecille che non sappia che a far scoppiare la crisi economica mondiale siano stati i Savi di Sion e che a sollevare le masse arabe ci abbia pensato la CIA. E infatti, nel momento in cui abbraccia una qualsiasi delle tesi complottiste in larga offerta (gli ebrei non vi mancano quasi mai), oltreché un impotente diventa immediatamente anche un imbecille.
Ma schivare l’imbecillità complottista non significa supporre che non esistano complotti e che a volte essi vadano a buon fine. In definitiva una regola sembra esserci: come non sospettare di chi ottiene dagli esiti di una qualsiasi vicenda politica, dallo svolgimento peraltro ambiguo, un forte guadagno? La fine di Arrigoni, l’agghiacciante messa in scena del suo omicidio, la sua militanza coraggiosa, lo sconcerto che ha provocato in ogni segmento del pur variegato fronte filo-palestinese e tanto altro ancora costituiscono un successo di propaganda quasi senza precedenti per chi sostiene lo stato sionista e la sua plausibilità storica. La solidarietà internazionale (a vari livelli operativi) è sempre stata importante per la causa palestinese, ben più di quanto lo sia stata in altri scenari coloniali o neo coloniali anche recenti. Dopo il massacro dei militanti turchi a opera delle forze speciali sioniste, l’omicidio di Arrigoni arriva alla vigilia di una nuova azione di solidarietà internazionale tramite l’arrivo a Gaza di una flotta di sostegno alla causa palestinese. La ricaduta politica dell’omicidio del militante italiano è dunque ancora più negativa di quanto lo sia stata quella dell’omicidio dei militanti turchi.
Le immagini del volto tumefatto, del corpo massacrato eppoi finito, i volti nascosti dei vigliacchi che lo torturano eppoi lo ammazzano, il comunicato in cui si accusa di immoralità un giovane che ha rischiato la propria vita per una causa che non lo riguardava nei propri interessi materiali, laddove la moralità corrisponderebbe alla solita campagna integralista contro tutto ciò che possa rendere la vita piacevole anche per gli uomini e non soltanto per le donne, la militanza di due degli assassini nelle milizie di Hamas (con tanto di stipendio), tutto ciò scredita Hamas e le lotte dei palestinesi di Gaza come non è mai accaduto prima. Gli alibi ideologici dell’occupazione sionista diventano persino credibili in faccia a un mondo in cui la truppa di un’organizzazione politica può massacrare chi è lì, e in maniera disinteressata, per aiutarla. Le accuse si abbattono sulla formazione più autorevole e potente della resistenza palestinese, che insieme a varie formazioni salafite parla di “cellula impazzita”. Forse Hamas e gli altri non si ricordano che il Mossad, sin dall’inizio del conflitto con i palestinesi, ha infiltrato pressoché tutte le loro organizzazioni, dall’OLP a Jibril, dal Fplp a Abu Nidal? Che a volte le ha infiltrate a alti livelli e che in una prassi che chiamerei “ordinaria” ha utilizzato gli agenti infiltrati (spesso traditori prezzolati) per convincere militanti in buona fede a compiere azioni le cui ricadute servivano gli interessi coloniali dei sionisti?
In tutti i casi non sono mai stati i complotti del Mossad a segnare il successo o la disfatta della resistenza palestinese. Le infiltrazioni di un servizio segreto pur potente e “intelligente” come il Mossad può al massimo arrivare a smantellare qualche cellula operativa o alterare in proprio favore la guerra di propaganda. La resistenza palestinese è una realtà politica ampia e dalla storia ormai lunga. Anche il servizio di sicurezza e di controguerriglia più attrezzato sa che non sarà esso l’attore determinante della partita in corso. Quando si muovono forze e tensioni ampie, le analisi dei servizi segreti diventano in genere delle barzellette, vedasi l’autentico collasso delle loro analisi e previsioni prima e durante le rivolte arabe degli ultimi mesi, che ritenevano stabile e non scalfibile persino Mubarak.
Ma l’omicidio di Arrigoni appartiene alla logica del massimo risultato con il minimo sforzo. Se, come riteniamo, il misterioso salafita giordano che avrebbe guidato la “cellula impazzita” fosse un uomo del Mossad (si è peraltro volatilizzato e nessuno si sorprenderebbe di trovarlo morto da qualche parte o di non trovarlo più affatto) che ha individuato due imbecilli di Hamas (o corrotto due traditori), convincendoli a massacrare un militante occidentale tra i più attivi e generosi, la propaganda sionista avrebbe davvero raggiunto il massimo risultato con il minimo sforzo.
Sta ora a Hamas fare chiarezza e limitare i danni della pessima figura delle sue strutture d’intelligence e militari. Deve catturare il “salafita” giordano, interrogare a fondo lui e i suoi due complici, fare chiarezza oltre un paradossale alibi (quello della “cellula impazzita”) nel quale convergono gli interessi di copertura del Mossad e quelli di efficienza di Hamas. Deve ricucire un rapporto con la solidarietà internazionale che rischia di compromettersi. Deve ricordarsi che per l’omicidio per di più orrendo e dalle ricadute negative spettacolari di un militante della causa palestinese, non ci sono alibi; non vi è errore ma solo tradimento. In un conflitto come quello in corso l’imbecillità sebbene travestita da pazzia non è comunque un alibi. Ogni esercito di liberazione degno di tal nome sa come si trattano i traditori.