Le elezioni parlamentari tenutesi il 3 LUGLIO 2011 potrebbe rivelarsi una delle pietre miliari che scandiscono la storia di un paese. Il voto massiccio per il principale partito di opposizione, Puea Thai [Per i Thailandesi], è un altro segnale che la maggioranza della popolazione esige cambiamenti strutturali.

Le elezioni si sono tenute 14 mesi dopo la repressione che ha portato alla morte di 93 persone, la maggior parte delle quali Camicie rosse [1]. Abhisit Vejjajiva, diventato primo ministro nel dicembre 2008 grazie all’alleanza parlamentare sostenuta dai militari, aveva fatto delle elezioni un test per ottenere dalle urne la legittimità che gli veniva contestata.

Il risultato elettorale è senza appello. Nonostante la censura, la propaganda militare e le intimidazioni, gli elettori hanno votato in massa per il principale partito d’opposizione Puea Thai. Puea Thai ha ottenuto 265 dei 500 seggi del Parlamento, ottenendo così la maggioranza assoluta. Questo partito è l’erede del partito Thai Rak Thai [I thailandesi amano i Thailandesi: partito messo fuorilegge nel maggio del 2007] di Thaksin Shinawatra, un uomo d’affari divenuto uomo politico rovesciato dall’ultimo colpo militare nel settembre 2006. Esiliato Thaksin, il Thai Puea ha scelto la sua sorella minore, Yingluck (foto), per condurre la campagna. Il messaggio elettorale del Thai Puea era perfettamente chiaro e le elezioni hanno assunto il carattere di un referendum sugli avvenimenti seguiti al colpo di stato militare.

Il Partito Democratico, il partito di Abhisit e motore della coalizione di governo, ha ottenuto solo 165 seggi. Esso paga la sua sudditanza ai militari, alla monarchia e all’alta burocrazia che si sono accaparrati le ricchezze del paese e hanno mantenuto disuguaglianze sociali profonde, nonostante una modernizzazione reale e una buona crescita economica. Il Partito Democratico ha anche pagato la forte repressione che ha esercitato contro le Camicie rosse. La censura dei giornali, della radio e della televisione di regime, le intimidazioni e gli arresti dei militanti, non hanno avuto ragione della loro determinazione.

Queste elezioni sono quindi un duro colpo per l’oligarchia che domina da decenni la vita politica ed economica della Thailandia. Questa perde il controllo diretto sul legislativo e l’esecutivo.

Nonostante il colpo di stato del 2006 e un cambiamento della costituzione redatto sotto il tallone dei generali, le classi dirigenti non sono riuscite a liberarsi di Thaksin che resta molto popolare. Sua sorella Yingluck diventerà la prima donna primo ministro nella storia della Thailandia. Ella si appoggia su una forte coalizione parlamentare di 299 membri, composta da Puea Thai e cinque partiti più piccoli.

L’opzione di un nuovo colpo di Stato militare appare oggi molto improbabile. A livello internazionale, un altro rovesciamento di un governo democraticamente eletto, sarebbe impossibile per l’alleato americano, così come avvenne nel 2006. Ancora più importante è che le divisioni nella società thailandese si sono esacerbate che il rifiuto di riconoscere i risultati delle urne porterebbe inevitabilmente ad una vera e propria sollevazione popolare dalla base del Puea Thai e delle Camicie rosse.

E’ più probabile che sarà fatto tutto il possibile per destabilizzare il nuovo governo senza l’uso della forza. Il rischio di una polarizzazione politica ancor più grande è reale. La debolezza dell’opposizione parlamentare potrebbe favorire lo sviluppo di una opposizione extra-parlamentare, come quella del movimento ultra-nazionalista delle Camicie gialle contro Thaksin, oppure ricorrendo a manovre dietro le quinte del palazzo e dei militari.

I militari potrebbero anche scegliere di adottare un atteggiamento più conciliante verso il Puea Thai i cui interessi non sono poi così divergenti. Questo partito non è infatti privo di contraddizioni. Anche se eletto da una base elettorale popolare e sostenuto dalle Camicie rosse, è un partito capitalista che difende gli interessi dei grandi industriali. La sua popolarità si basa su Thaksin, che tra il 2000 e il 2006 ha condotto una politica populista che ha notevolmente migliorato la vita di milioni di persone di umili condizioni.

Dopo il colpo di stato militare le mobilitazioni popolari hanno dimostrato una profonda aspirazione alla democrazia, alla giustizia sociale e al cambiamento politico e sociale. Il nuovo governo saprà rispondere a queste aspettative?

La risposta a questa domanda dipende in gran parte dalla sua volontà e capacità di scontrarsi con le oligarchie che detengono il potere. I militari dominano e controllano gran parte della vita politica e in una certa misura l’economia stessa della Thailandia. Riavviare il processo democratico interrotto dal colpo di stato del 2006, implica la depoliticizzazione dell’esercito, di sottometterlo alle autorità civili e di minare la sua base economica. Il governo dovrà aggredire il patrimonio economico dell’esercito e i suoi mezzi di comunicazione, tra cui diverse emittenti televisive, e ridurre drasticamente il budget ad esso assegnato.

Se vuole davvero rafforzare la democrazia, a livello istituzionale, il nuovo governo dovrà inizialmente ripristinare la Costituzione del 1997, rimpiazzata nel 2007 da quella nuova scritta sotto la dettatura dei generali. La Costituzione del 1997 era di gran lunga la più democratica fin dai tempi della rivoluzione del 1932 [2].

Il nuovo governo dovrà anche fornire garanzie in termini di giustizia sociale. Tutti i prigionieri politici e quelli accusati di “lesa maestà”, oltre 300 casi secondo l’associazione “Prigionieri Politici in Thailandia“, dovrebbero essere rilasciati e concessa l’amnistia nel più breve tempo possibile. Nel frattempo, le Camicie gialle, colpevoli di vari reati, tra cui la chiusura dei due aeroporti internazionali di Bangkok nel novembre del 2008, dovrebbero essere portate in giudizio. Una commissione indipendente di inchiesta dovrebbe essere creata per far luce sulla repressione che ha portato alla morte di 93 persone tra aprile e maggio 2010, la maggior parte delle quali Camicie rosse. Le responsabilità del Primo Ministro Abhisit, del vice primo ministro Suthep Thaugsubal, e dell’ex comandante in capo Anupong Paochinda e del suo successore Prayuth Chan-Ocha, devono essere chiaramente dichiarate.

Il processo democratico non potrà essere riavviato senza una riforma radicale della giustizia manipolata da ricchi, ponendo fine alla censura e alle leggi draconiane come il delitto di “lesa maestà” e la legge sulla criminalità informatica.

A livello economico il Puea Thai ha avanzato molte proposte a favore della sua base popolare, tra cui:

– aumentare il salario minimo giornaliero a 300 baht, vale a dire, l’aumento dal 40 al 100% a seconda della regione;

– permettere ai mutuatari di sospendere il pagamento del debito per tre anni;

– implementare un programma per garantire ai coltivatori di riso un prezzo fisso;

– indicizzazione del rimborso dei prestiti concessi dallo Stato agli studenti;

– fissare a 30 baht il costo della copertura universale per le cure mediche.

L’attuazione di tali misure permetterebbe di ridurre le diseguaglianze profonde che lacerano la società thailandese.

Le Camicie rosse si sono mobilitate per chiedere il rispetto della democrazia e della giustizia sociale. L’attuazione delle riforme necessarie per superare questa crisi dipende anzitutto dalla capacità delle Camicie rosse e dalla società civile di imporle.

* Fonte: Inprecor (edizione francese).
Danielle Sabai è militante del Nuovo Partito Anticapitalista francese

Note

1. Nel mese di aprile 2010, contro le Camicie rosse e i sostenitori dell’ex primo ministro Thaksin, venne dichiarato lo stato di emergenza a Bangkok e dintorni. Nel mese di maggio, le Camicie rosse occuparono un quartiere di Bangkok. In un clima insurrezionale, l’esercito reale scatenò l’assalto contro il campo trincerato, di qui la resa dei leader alle autorità. Furono 93 morti, la maggior parte Camicie rosse.

2. Nel giugno 1932 il re Rama VII non poté impedire l’aumento del malcontento tra i quadri dell’amministrazione e dell’esercito. Un colpo di stato lo costrinse a concedere una Costituzione che stabilì un sistema parlamentare e una monarchia costituzionale.

Traduzione a cura della Redazione