«Se questo è il nostro avamposto democratico in mezzo all’islam»
Notizia di ieri, 12 gennaio: la Corte suprema israeliana ha confermato valida la legge approvata dal Parlamento nel 2003. Che dice questa legge? Essa impedisce di fatto a cittadini israeliani di potersi sposare con cittadini palestinesi, pena la perdita della cittadinanza. In buona sostanza, non solo è proibito ad una o ad un palestinese di acquisire la cittadinanza israeliana; se un cittadino o una cittadina israeliani vogliono coniugarsi con una o un palestinese possono farlo solo all’estero, e se lo fanno perdono automaticamente la cittadinanza israeliana.
Con quali motivazioni la Corte ha emesso questa agghiacciante sentenza? Leggo: «Secondo la Corte, i palestinesi che diventano cittadini israeliani tramite matrimonio sono una minaccia per la sicurezza dello Stato. Rispettare i diritti umani non vuol dire accettare un suicidio nazionale”, ha scritto nella motivazione della sentenza il giudice Asher Grunis». [la Presse]
Indicativo che questa notizia gravissima sia stata confinata dalla grande stampa in piccoli trafiletti. Pensate se fosse avvenuto il contrario. Pensate se una simile decisione fosse stata presa, che so, dalle autorità palestinesi, sudanesi o iraniane. Apriti cielo. Prime pagine e caratteri di scatola contro l’integralismo islamico, il fondamentalismo fanatico, la teocrazia, e via dicendo.
Cosa significa questa decisione? Essa getta un fascio di luce sinistra sulla natura stessa dello Stato israeliano, che da un pezzo, oramai, ha superato di gran lunga le nefandezze ben note dell’ideologia sionista. Qui siamo oltre, qui siamo all’enormità che uno Stato fonda il fatto della cittadinanza sull’appartenenza alla religione ebraica. Di più: si istituzionalizza la “pulizia etnico-religiosa” proibendo matrimoni misti e dando l’ostracismo a coloro che si vogliano sposare con un o una palestinese.
Altro che “avamposto democratico” dell’Occidente in terra araba! Invece l’Occidente tace, in ossequio alla realpolitik per cui il fido alleato si deve sostenere sempre e comunque, anche a costo di avallare leggi simil-naziste, leggi che cristallizzano l’odio nazionalistico e religioso anti-palestinese. Dico simil-naziste con cognizione di causa, perché esse ricalcano appunto le specifiche leggi hitleriane in difesa della razza ariana e della persecuzione degli ebrei.
Ora, io mi chiedo, dove sono gli ebrei democratici? Quelli che qui in Italia non perdono occasione per dirci che solo Israele è un paese democratico e dunque, tutti i suoi avversari arabi sono antidemocratici? Essi tacciono, tace Riccardo Pacifici. E lo credo bene che tacciono! Quali argomenti “democratici” potrebbero mai portare in difesa di una legge-abominio? Una legge che allarga il fossato coi palestinesi, che fomenta l’odio e alimenta guerra e terrorismo?
Esilarante la presa di posizione del Partito Democratico. Leggiamo sul sito del Pd: «Conforta che la legge sia passata per un solo voto, a dimostrazione del fatto che Israele, aldilà degli attuali equilibri governativi e parlamentari, è un Paese che possiede sufficienti strumenti di ragionevolezza e lungimiranza da fare ben sperare per il futuro. Per questo ci auguriamo che questa dialettica nel Paese rimanga aperta e che possano prevalere le ragioni del dialogo, della democrazia e della pace. Noi in Europa sosteniamo queste ragioni”.
Ps
L’altro giorno, ascoltando Rai3Mondo, il bravo Giordana ha dato la parola ad una giornalista israeliana, Bibi David che raccontava del fenomeno del “fondamentalismo ebraico” in Israele, anzitutto a Gerusalemme [clicca per ascoltare la testimonianza]. Sapevo già che la religione ebraica, tra tutte quante, è quella che più discrimina la donna. Ma sono rimasta allibita quando una giornalista, in collegamento da Telaviv riportava la notizia che ci sono forti gruppi integralisti taridim che impongono alle donne di non indossare t-shirt, di non scoprirsi le braccia; di mettere il velo o parrucche per nascondere alla vista i loro capelli. Gruppi che in pratica teorizzano la segregazione della donna. Alcuni sono giunti a discriminare diverse bambine, proibendo loro di accedere alle scuole perché “sconciamente vestite”. Altri addirittura, proprio come certi gruppi tribali in Afghanistan o Yemen, consentono alla donne di andare per strada solo se indossano il burqa. Sì, sì, proprio così: certi ebrei ortodossi teorizzano e impongono alle donne il burqa. Si tratta spesso proprio dei coloni armati fino ai denti, la falange del “democratico Israele”.
da Sollevazione