Il 21 aprile il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità una bozza di risoluzione, la 2043, che prevede l’invio di una missione di 300 osservatori in Siria affinché sia rispettato il cessate il fuoco previsto dal piano di pace concordato dal regime di Bashar al-Assad e dall’inviato Kofi Annan. Tuttavia, secondo diverse fonti, il cessate il fuoco è già stato violato in diversi luoghi sia dalle forze di sicurezza siriane che dagli insorti.

Malgrado siano pochi quelli che scommettono sul successo del piano Annan, noi ci auguriamo che gli scontri armati abbiano fine e che si instauri un clima che renda possibile l’avvio di un negoziato politico tra il regime baathista e i suoi avversari — tutti i suoi avversari, anche coloro che non hanno scelto, come alcune frange della Fratellanza musulmana, la via della lotta armata. La Siria è infatti sull’orlo dell’abisso della guerra civile, una guerra civile che se non viene fermata subito può prendere la forma più devastante, quella della fitna, della guerra tra sette religiose.

Chi rifiuta il negoziato, chi respinge la via del compromesso, inutile girarci attorno, sta scientemente preparando il terreno alla guerra fratricida. Lavorano per quest’esito diversi attori. Spingono direttamente in questa direzione la monarchia saudita e gli emiri del Golfo, Qatar in testa, che così sperano di spezzare il blocco strategico che vede l’Iran come asse. Alle spalle questi regimi hanno gli Usa, l’Unione europea e, in posizione scettica lo stesso Israele. A tutti loro fa comodo isolare l’Iran nella prospettiva di un cambio di regime a Tehran. In questa prospettiva i regimi arabi filo-americani hanno aizzato alcune frange del sunnismo siriano a riprendere la via della lotta armata, determinando un livello di scontro che ha messo in grandi difficoltà il resto dell’opposizione popolare, quell’opposizione che pur chiedendo la fine dell’autocrazia baathista, non vuole diventare carne da cannone per disegni di tipo neocoloniale.

In questo contesto i nemici giurati di Damasco hanno ottenuto una vittoria politica di grande importanza: hanno portato dalla loro parte gran parte della Fratellanza musulmana, la sola forza politica che ha un’influenza di massa in diversi paesi arabi, tra cui la Siria. Anche la palestinese Hamas è stata presa nella morsa, messa quasi con le spalle al muro, spinta a troncare le sue relazioni, non solo col governo siriano, ma con l’Iran ed Hezbollah. I tradizionali pregiudizi settari del mondo sunnita verso lo shiismo e l’alawismo sono utilizzati dai regimi del Golfo come piede di porco proprio per giustificare non solo la fitna, ma la soluzione finale, la punizione collettiva degli “eretici” shiiti e alawiti.

E’ possibile arrestare la corsa verso l’abisso? Ciò dipende anche dall’approccio del regime baathista siriano di Bashar al-Assad. La linea sin qui seguita si è rivelata un disastro. La decisione di affrontare, sin dall’inizio con il piombo la rivolta dei sunniti ha finito non solo per rafforzare le tendenze più oltranziste ma per isolare, tra i rivoltosi, le componenti che chiedevano non un regime change, ma una riforma istituzionale autenticamente democratica, che trasferisse la sovranità politica dalla oligarchia dominante alle masse popolari.

Sia l’Iran che Hezbollah, consapevoli sia della gravità della crisi sociale e politica siriana che della grande posta in gioco, hanno sin dall’inizio consigliato al regime baathista siriano un approccio verso una soluzione politica e non meramente militare del conflitto. Non sono stati ascoltati. E’ secondario ora stabilire se Bashar abbia accettato suo malgrado la linea dura. Sta di fatto che la linea dura, quella della soluzione militare, si è imposta all’interno dell’elite che governa in Siria. E’ certo che gli amici più importanti della Siria, non solo l’Iran e Hezbollah, stanno ancora adesso chiedendo al regime siriano di fermarsi, di rinunciare all’illusione di poter venir fuori dalla crisi con la soluzione militare. Evitare ad ogni costo la fitna, lo scontro frontale col mondo sunnita, questa è la principale preoccupazione della Resistenza nazionale libanese e dell’Iran.  Questo scontro frontale, data l’ampiezza e la potenza dell’eterogeneo fronte avversario, non può che portare ad una sconfitta dell’asse che va da Theran a Gaza, passando per il Libano. A nessuno sfugge, ad esempio, la portata gigantesca di un eventuale rottura strategica tra Hamas e l’Iran, che porterebbe con sé quella con Hezbollah. E’ funzionale a questo spostamento gettare benzina sul fuoco della fitna, rompere ogni legame con la Fratellanza musulmana, contribuendo così all’isolamento di quelle componenti  non ancora asservite all’asse Qatar-Riyad.

Come si sa la madre degli imbecilli è sempre gravida. Ci sono qua e la dei babbei che invece di starsene calmi, si agitano e, scambiando la tastiera per un campo di battaglia, si sono arruolati in servizio permanente effettivo dalla parte delle frazioni più oltranziste del regime siriano, inneggiano alla soluzione militare, lanciano anatemi, non solo contro i ribelli armati, ma contro tutta l’opposizione siriana. Stretti in un paranoico codice binario, sostengono che chi è contro Bashar è automaticamente un servo dell’imperialismo, e quindi va annientato senza pietà. Dicono che ogni dialogo con le opposizioni, anche con quelle che proclamano la loro fedeltà alla causa antisionista e antimperialista, è un cedimento inaccettabile ai “piani del nemico”.

Queste farneticazioni potrebbero essere liquidate come scemenze pre-politiche, se non fosse che alcuni gruppi politici le hanno fatte loro, esercitando una certa influenza su certi ambienti dell’opinione pubblica occidentale che per convenzione chiamiamo di sinistra. Ovviamente queste sette non hanno alcuna influenza sul corso degli eventi. Né il Baath siriano o le forze Resistenti prendono in considerazione il tifo smodato di questi ultras. Per fortuna, aggiungiamo noi. Che se la guerra civile dilagasse sul serio in Siria, ovvero se il Vicino oriente sprofondasse nel redde rationem, di certi grilli parlanti nessuno saprà che farsene