Nel settembre del 2012 è stata costituita una delegazione di cittadini di vari paesi per promuovere “Pace con giustizia in Siria”. L’idea di base concepita da Leo Gabriel, antropologo e giornalista austriaco, fu rapidamente adottata da attivisti per la pace di Grecia e Germania. Essi ritenevano che, siccome nessuna delle due parti in conflitto avrebbe potuto vincere militarmente questa guerra civile, doveva esserci un dialogo politico che avrebbe potuto portare ad una condivisione del potere come risultato dei negoziati.

Furono stabiliti in Siria dei contatti con il governo e con diversi gruppi di opposizione, così come con la resistenza in Libano, Turchia e altrove in Europa. Ci furono incontri con leader religiosi, le organizzazioni di soccorso e quelle internazionali, sia in Siria che fuori. I 13 membri della delegazione, provenienti da 9 paesi dell’Europa e dell’America Latina, sono stati a Damasco dal 2 all’8 giugno e sono stati ricevuti da vari funzionari a tutti i livelli di governo e da una serie di partiti di opposizione tollerati dal governo, come pure dal Gran Muftì capo dei sunniti a Damasco e da gruppi cristiani. A seguire alcune considerazioni sulla situazione, le sue cause e le possibili soluzioni.

1. Una situazione drammatica

Secondo l’ufficio dell’ONU a Damasco, su una popolazione di 21.377.000 ci sono più di 8.800.000 persone in Siria che necessitano di assistenza e fra esse 4.250.000 circa sono profughi interni. Nell’aprile del 2013 i rifugiati all’estero erano stimati in 1.400.000 persone. Ma se dovesse proseguire lo stesso ritmo di partenze, la cifra potrebbe arrivare a 3.500.000 entro la fine del 2013, investendo soprattutto i paesi confinanti come il Libano (dove più della metà della popolazione è attualmente composta da rifugiati palestinesi e siriani), la Turchia e la Giordania. Al tempo stesso ci sono più di mezzo milione di rifugiati palestinesi in Siria, per i quali le Nazioni Uniti chiedono un aiuto urgente di 200.000.000 di dollari.

Il numero di morti, in un periodo di poco più di due anni, è di 93.000 (6.500 bambini) secondo un rapporto ONU del 13 giugno 2013. Ci sono 100.000 prigionieri nelle prigioni siriane e migliaia di ostaggi in mano ai gruppi di opposizione armata. L’economia è seriamente compromessa: l’inflazione è aumentata, la disoccupazione è salita dal 10,6% al 34,9% (anche se la vita è molto più conveniente che in Libano). La moneta siriana si è svalutata del 67%. Secondo l’ONU le sanzioni economiche hanno notevolmente danneggiato la situazione delle fasce più povere della popolazione.

2. Proposte della Delegazione di pace

Non si possono trovare soluzioni politiche generali se non attraverso negoziati fra i diversi attori del conflitto e va quindi incoraggiato lo svolgimento della Seconda Conferenza di Ginevra. Va compiuto ogni sforzo, visti gli orrori dell’attuale situazione e le sofferenze di tanti innocenti. La delegazione, convinta che la prosecuzione dell’azione militare non sia una soluzione, ha elaborato alcuni suggerimenti per contribuire a creare le migliori condizioni per più ampie trattative politiche, in particolare: l’istituzione di zone locali di non violenza intorno ad ospedali, scuole, siti religiosi o storici con l’aiuto della Mezzaluna Rossa e delle Nazioni Unite; la liberazione di alcune categorie di prigionieri da parte del governo e di ostaggi da parte dell’opposizione, come i prigionieri molto vecchi, i minori, le donne; ed infine l’organizzazione a Vienna di una conferenza internazionale offrendo alla “società civile” siriana l’opportunità di esprimere le sue esigenze, sulla base di uno stato laico, orientato verso un processo democratico e senza intervento straniero.  Il contatto diretto con la distruzione desolante di un tale guerra, con le condizioni disumane dei campi profughi e con i tanti traumi personali causati dal conflitto genera l’obbligo morale di testimoniare e di agire.

3. Evoluzione politica in Siria

Il partito Baath, fondato nel 1947, è stato al potere dal 1963 (in coalizione) e, da allora, il paese è vissuto sotto la legge di emergenza. Hafez al–Assad fu eletto presidente nel 1971. Il partito Baath è prevalentemente costituito dalla classe media urbana e nelle prime fasi si alleò con il partito socialista. A causa di tale composizione sociale diversi cristiani della stessa classe sono stati membri attivi e anche dirigenti del partito. La famiglia Assad è alawita, gruppo minoritario pari al 12% della popolazione e radicato lungo la costa mediterranea. Tradizionalmente è stato ai margini della società siriana e ha trovato una certa sicurezza nel partito Baath. In effetti, gli obiettivi del partito sono stati la creazione di uno stato laico (anche se il presidente deve essere musulmano), la difesa dell’unità siriana e della sovranità basata sul nazionalismo arabo, l’istituzione di un sistema di protezione sociale, l’istruzione e la sanità generalizzate, la riforma agraria e una moderna amministrazione. La Siria è stata anche un membro attivo del movimento dei Paesi Non Allineati.

Si autoproclamò socialista, ma senza lotta di classe, e fu dunque un nazionalismo arabo  alternativo all’Islam politico. Sotto il partito Baath, il paese è riuscito a non dipendere solo dalle attività estrattive (petrolio), ma ha sviluppato anche un settore industriale. Il carattere ufficialmente laico dello stato ha facilitato una coesistenza relativamente positiva fra i differenti gruppi religiosi: sunniti (circa il 70%), sciiti e cristiani, anche se, di fatto, l’effettivo funzionamento della società e della politica ha seguito in gran parte linee confessionali.

Tuttavia, nell’attuazione di tali obiettivi, si è dimostrato incapace di evitare diversi sviluppi, a causa della complessità della società siriana e degli effetti della concentrazione del potere politico da una sola parte. Anche se la presenza alawita è importante in alcuni organi di potere, resta una minoranza. Nel governo ci sono 19 sunniti, 6 alawiti, 2 cristiani, 2 sciiti. Il primo ministro è sunnita. Da 2006 il vice presidente è stata una donna, la sorella di un dirigente della Fratellanza Musulmana in esilio. I sunniti sono la maggioranza anche nell’esercito e nelle forze di sicurezza. Alcuni clan alawiti si oppongono alla famiglia Assad. La repressione politica contro i gruppi di opposizione è stata severa (ad esempio, il massacro di migliaia di persone, molte delle quali appartenenti alla Fratellanza Musulmana, ad Hama nel 1982, dopo l’assassinio di 80 quadri alawiti). Anche la corruzione è divenuta una vera e propria piaga.

Durante la presidenza di Hafez al – Assad, la politica interna si è sempre più orientata a destra, mentre la sinistra è stata politicamente eliminata. E’ stata forgiata un’alleanza con la borghesia sunnita. Dopo la morte di Hafez nel 2001, il suo secondo figlio Bashar fu designato ed eletto presidente, poiché il suo primo figlio era stato ucciso in un incidente automobilistico.

Nel 2005 il “socialismo di mercato” venne ufficialmente adottato dal 10° Congresso del partito Baath e furono eliminate le sovvenzioni statali per carburante, cibo ed altri prodotti. L’economia aprì al capitale straniero. Misure neoliberiste hanno favorito lo sviluppo di una classe capitalista locale, che ha accumulato una grande ricchezza. Venne pure ridotta la protezione sociale, la proprietà terriera fu riconcentrata, i servizi pubblici furono privatizzati, soprattutto relativamente a istruzione e sanità, e le differenze sociali si accentuarono. La disoccupazione giovanile raggiunse il 35% e in generale le classi sociali più basse vennero impoverite. Contemporaneamente, una grave siccità colpì l’agricoltura per un periodo di 4 anni.

Ciò ha prodotto le condizioni per cui l’islamismo politico ha sviluppato una base sociale, soprattutto nelle aree rurali, incoraggiato e aiutato dai paesi arabi sunniti conservatori (in particolare l’Arabia Saudita). La Fratellanza Musulmana, già messa fuori legge, è lentamente tornata in Siria, partecipando alla prime manifestazioni non violente contro il governo di Bashar al–Assad, di cui ha combattuto la corruzione senza però contestarne la politica. Un certo numero di leader dell’opposizione venne carcerato, altri furono esiliati.

La Siria ha il petrolio. Non nelle stesse proporzioni dell’Arabia Saudita, del Qatar, del Bahrain, dell’Iraq, del Kuwait e dell’Iran, ma più della Giordania e della Turchia. La compagnia nazionale siriana ne sfrutta il 60%, ma la produzione dal 1990 è diminuita. Le riserve di gas sono abbondanti e c’è interesse da parte di multinazionali straniere. Nel 2008 il presidente francese Sarkozy ottenne dal presidente Bashar al-Assad una zona di ricerca per la Total. Inoltre la Siria è un paese strategico per il trasporto di petrolio fra i paesi produttori della regione e il Mediterraneo. Nel 1962 fu costruito un gasdotto, ma nel 1993 venne bombardato dall’aviazione americana e mai ricostruito.

Sul piano della politica internazionale va ricordato che il governo siriano solo debolmente si oppose alla seconda guerra degli Stati Uniti contro l’Iraq (di fatto una guerra contro Saddam Hussein e la minoranza sunnita al potere) ed ha accolto un gran numero di rifugiati iracheni. Ha pure accettato prigionieri segreti della CIA nel suo territorio. Quando nel 2011 la cosiddetta primavera araba è esplosa in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Bahrain, in Siria si verificarono reazioni simili, a partire dalle città, con istanze di democrazia politica e giustizia sociale.

4. La crescita dell’opposizione

Oggi alcuni membri del partito Baath riconoscono che molte delle richieste del 2011 erano legittime, soprattutto in campo sociale. Tuttavia le autorità di governo affermano anche che, fin dall’inizio delle proteste, c’erano altri punti in agenda, legati alle forze politiche islamiche (Fratellanza Musulmana e Jihadisti) e ad interessi stranieri (Qatar, Arabia Saudita, paesi occidentali). Per esse la pretesa della partenza di Bashar al–Assad, che era stato rieletto nel 2007, come precondizione per le trattative è inaccettabile. Comprensibilmente non vogliono sottomettersi a simili esperienze, come in Iraq o in Libia.

Il conflitto si è allargato con l’ingresso di sempre più nuovi attori, al punto che si è sviluppata una guerra civile multiforme, in cui alcune forze interne erano propaggini di potenze esterne. C’è stata la presenza di un numero crescente di combattenti islamici stranieri da un lato, e dall’altro, a fianco del governo, di alcune forze di Hezbollah dal Libano e di sciiti dall’Iraq.

– L’opposizione esterna
I gruppi di opposizione sono numerosi, con differenti caratteristiche socio–culturali, diversi obiettivi e diverse connessioni internazionali. Prevalgono due correnti principali. Una può considerarsi l’erede delle prime reazioni del 2011, simili  a quelle di altri paesi arabi. L’altra è di ispirazione Wahhabita (i Jihadisti).

1. La prima corrente è costituita da due movimenti armati. L’Esercito Siriano Libero, con richieste prevalentemente laiche e democratiche, è iniziato come lotta armata di guerriglia, soprattutto ad Homs e ad Aleppo, e opera anche sul terreno con piccoli gruppi jihadisti. E’ stato fondato il 27 luglio 2011 da disertori dell’esercito siriano. All’inizio era male armato (solo armi leggere acquistate prevalentemente al mercato nero). Il numero di combattenti è stimato in circa 10.000 uomini, anche se il movimento ne dichiara molti di più. E’ stato aiutato dai paesi del Golfo, ma pure da Stati Uniti, Regno Unito e Francia, specialmente con apparecchiature per la comunicazione. Ha basi e campi di addestramento in Turchia e Giordania.

L’altro gruppo è il Battaglione Farouk, prevalentemente Fratellanza Musulmana, che dichiara di avere 10.000 combattenti. E’ finanziato dalle stesse fonti, soprattutto da Arabia Saudita, Qatar e Turchia.

2. La seconda corrente, sotto l’influenza radicale dei Salafiti, non solo combatte contro il governo siriano ma invoca anche l’instaurazione di uno Stato Islamico. Essendo sunniti, chiedono esplicitamente l’espulsione dei cristiani e l’eliminazione della minoranza sciita. Sono apertamente sostenuti dal Qatar che, secondo fonti USA, ha già speso svariati miliardi di dollari a tale scopo, e insieme all’Arabia Saudita sta reclutando volontari da tutto il mondo arabo.

Il movimento armato principale è Jablat al Nusra, ritenuto un ramo di Al Qaeda e dunque qualificato come terrorista dal governo statunitense. Un secondo movimento, Ahrar al Sham, non è legato ad Al Qaeda ma sul terreno lavora in alleanza con Nusra. C’era anche un terzo gruppo, Majis Shura al Mujahedin, che ha avuto origine in Afghanistan, ma è stato sciolto dopo l’uccisione del suo leader e i suoi componenti si sono uniti agli altri due movimenti.

Naturalmente è difficile valutare il numero dei reclutati dall’esterno di questi movimenti radicali. Un avvocato tunisino, cercando di stabilire contatti fra giovani islamismi tunisini arrestati dal governo siriano e le loro famiglie, stima che solo dal suo paese il numero ammonta a circa 2.000. Si tratta generalmente di uomini giovani, a volte molto giovani, e disoccupati. Aggiungendo quelli provenienti da altri paesi musulmani sunniti (compreso il Libano e perfino Russia ed Europa), diverse fonti danno un numero di 20.000 combattenti. Alcuni altri piccoli gruppi pure armati sono espressione di entità locali o clan, rendendo complicato stabilire contatti.

A Damasco dal 2012 fino alla metà del 2013, gruppi Jihadisti hanno condotto attacchi suicidi o con autobombe contro obiettivi militari e politici, come il Ministero della Difesa (uccidendo il ministro), i servizi di sicurezza, il palazzo presidenziale, gli uffici centrali del partito Baath e l’aeroporto internazionale; ma anche contro l’Università, l’ufficio delle trasmissioni televisive, quartieri cristiani e piazze pubbliche. Essi hanno provocato centinaia di vittime.

3. C’è un organismo di coordinamento dell’opposizione esterna. La Coalizione Nazionale Siriana Rivoluzionaria e delle Forze di Opposizione (NCR) è stata fondata ad Istanbul nel dicembre 2012, in seguito alla risoluzione della Conferenza di Doha, convocata dagli Stati Uniti il mese prima, nel tentativo di riunire le diverse forze di opposizione. La NCR è un’estensione del Consiglio Nazionale Siriano (SNC), fondato ad Istanbul nel settembre 2011 ed è dominata dalla Fratellanza Musulmana, anche se sono presenti pure correnti democratiche e laiche.

A metà 2013 aveva 114 membri, cioè un’aggiunta di 51 ai precedenti 43, di cui 12 provenienti da gruppi di orientamento laico, 14 da organizzazioni rivoluzionarie (uno per ogni provincia) e 15 da gruppi civili sostenuti dall’Esercito Siriano Libero. Le organizzazioni Jihadiste, Jablat el Nusra, Ahrar al Sham e le opposizioni interne non sono rappresentate nella Coalizione Nazionale. La sua posizione è chiara: vuole la caduta del governo di Assad ed è favorevole ad un intervento internazionale. Temono di essere in una posizione troppo debole per essere ammessi a partecipare alla Seconda Conferenza di Ginevra.

La Coalizione Nazionale è stata immediatamente riconosciuta dal Consiglio per la Cooperazione nel Golfo (Arabia Saudita, Qatar ed Emirati) e dalla Francia, seguita poco dopo da Stati Uniti e Regno Unito. Il Consiglio ha creato un’organizzazione di soccorso, l’Unità di Coordinamento per l’Assistenza, che incontra grandi difficoltà ad operare poiché non è stata in grado di costituire un governo nelle zone liberate. Nel dicembre 2012, anche come risultato della Conferenza di Doha, è stato fondato il gruppo Amici della Siria, per coordinare il sostegno estero. Già nel febbraio 2012 Nicolas Sarkozy aveva preso l’iniziativa di indire un incontro in Tunisia per coordinare l’aiuto esterno all’ opposizione. L’organizzazione ha ora una sua sede in Marocco a Marrakesh. Troppe contraddizioni all’interno della NCR hanno impedito la definizione di un reale progetto politico, oltre alla richiesta della caduta del regime di Assad e il fatto di esser favorevole ad un intervento come in Libia. Recentemente, nel maggio 2013, si è riunita ad Istanbul per due settimane. E’ stata costituita un’assemblea allargata di 114 delegati, che ha migliori collegamenti con l’Esercito Siriano Libero ma che non ha formulato molte nuove proposte. Il suo presidente si è dimesso nello stesso mese, in quanto favorevole a trattative con i settori moderati del governo e per protesta contro le troppe pressioni esterne. (1)

L’analisi dei gruppi deve anche considerare la composizione di classe. La resistenza urbana ha origine soprattutto nella classe media (questo vale anche per l’opposizione politica interna tollerata). Praticamente non c’è alcuna espressione politica della classe operaia, dato che i sindacati e le altre organizzazioni dei lavoratori sono state indebolite, se non eliminate, dall’orientamento neoliberista dell’economia e dall’egemonia sociale e politica del partito Baath. Come già accennato, i poveri e specialmente la classe contadina povera costituiscono la base sociale della Fratellanza Musulmana e anche dei gruppi islamisti radicali, anche se  la dirigenza proviene da organizzazioni religiose o è costituita da giovani intellettuali. La classe capitalista locale ha favorito le politiche neoliberiste e la sua maggiorana ancora sostiene il partito Baath.

All’interno del blocco governativo si sono verificate molte defezioni, fino al livello ministeriale, ed ora esse operano fuori: in Libano, Turchia, Egitto, Giordania ed Europa. Membri dell’esercito hanno disertato, ufficiali (due dozzine di generali) e soldati; la maggior parte di essi è entrata nell’Esercito Siriano Libero, dove molti hanno gradi militari elevati.

A metà del 2013 il paese era quasi diviso in due, come era avvenuto durante il mandato francese (lo Stato di Aleppo e lo Stato di Damasco). (2) Il Nord è fra il 60% e il 70% in mano all’opposizione, con consigli regionali in diverse città. I ribelli occupano i centri delle città, circondati dalle postazioni dell’esercito siriano. Il sud è sotto controllo governativo. Tuttavia in tutte le regioni esistono sacche di ambo le parti e la lotta si svolge su tutto il territorio.

– L’opposizione politica interna
C’è anche un’opposizione politica interna. Si tratta di organizzazioni politiche di varie tendenze: liberale, social-democratica, comunista, consentite dal governo. Recentemente un gruppo di professionisti e imprenditori cristiani hanno creato un nuovo partito, integrando anche musulmani sunniti, per promuovere uno stato laico e democratico. Sette di questi partiti sono rappresentati in Parlamento fin dalla riforma costituzionale del 2012. Molti loro dirigenti precedentemente erano stati imprigionati e alcuni perfino torturati. Essi sperano comunque di partecipare al processo politico, soprattutto se ci saranno le elezioni con la supervisione internazionale, come proposto dal governo per le elezioni presidenziali del 2014.

Nel giugno 2011 alcuni partiti di opposizione hanno pure dato vita ad un organismo di coordinamento: il Comitato Nazionale di Coordinamento per il Cambiamento Democratico, con sede a Damasco. La sua piattaforma è contraria all’intervento militare esterno, favorevole ad un stato laico e alla smilitarizzazione della vita politica. Questo Comitato coordina 13 partiti di sinistra, 3 partiti curdi e alcune organizzazioni giovanili. L’elemento unificante è l’interesse per una soluzione politica mediante il dialogo con il governo e la paura per l’influenza dominante dell’opposizione esterna della Fratellanza Musulmana.


4. La reazione del governo siriano

Di fronte alla rivolta del 2011, essenzialmente urbana, il governo di Bashar al–Assad propose alcune riforme in campo sia economico che politico. Vennero attuate nuove misure economiche a favore dei settori vulnerabili della popolazione e fu intrapresa un’azione contro la corruzione. La legge di emergenza del 1963 fu abolita, venne concesso un maggior spazio ai mezzi di comunicazione e centinaia di prigionieri furono liberati. Ma ciò probabilmente era troppo poco e troppo tardivo.

Molto rapidamente, a causa dell’ampliamento dell’opposizione, ci fu un cambiamento politico. La risposta del governo fu di schiacciare i ribelli, soprattutto quelli appoggiati dall’esterno. La reazione delle autorità politiche, secondo fonti governative, relativamente mite all’inizio, è diventata sempre più violenta e perfino brutale. Sono stati coinvolti non solo le forze di polizia, ma anche l’esercito e la milizia (Shabihas, gruppi di difesa civile per il governo, paramilitari legati ai servizi segreti per l’opposizione) e, dalla fine del 2011, ci sono stati bombardamenti aerei in diverse città nelle zone controllate dai ribelli.

Ci sono stati autentici massacri, come ad Hama nel 2011 e ad Houba nel 2012, che sono stati condannati dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU all’unanimità (anche da Russia e Cina). Col passare dei mesi migliaia di persone sono state uccise e centinaia di migliaia sfollate. Ovviamente sarebbe sbagliato attribuire la colpa solo al governo, poiché anche l’opposizione armata ha pesanti responsabilità, in particolar modo i gruppi jihadisti con le loro azioni terroriste e i loro ripugnanti modi di condurre la guerra, per non parlare delle potenze straniere che li armano. E’ in corso una vera e propria guerra civile fra tutti costoro.

L’uso di gas letali da parte dell’esercito siriano, come sostenuto da Stati Uniti, Regno Unito e Francia, non è stato confermato dalle Nazioni Unite, che hanno addirittura ritenuto possibile il loro uso da parte dei ribelli (come dichiarato da Carla del Ponte, capo della Commissione di Inchiesta dell’ONU sulla Siria). Il governo respinge ogni responsabilità. Il precedente di Stati Uniti e Regno Unito che dichiararono il possesso da parte dell’Iraq di armi di distruzione di massa, una falsa affermazione fatta per giustificare il loro intervento, rende necessaria una grande prudenza su questo argomento.

Il 7 maggio 2012 in Siria furono organizzate le elezioni, con una partecipazione del 51,26%. Sette partiti di opposizione si sono presentati alle urne. Dei 250 seggi, 134 sono andati al partito Baath (Partito Socialista Arabo della Rinascita), 39 ad altri partiti (18 al Partito Socialista Panarabo, una vecchia scissione del partito Baath, 11 ai due partiti comunisti) e 77 a candidati indipendenti dai partiti. I sei partiti che con il Baath formano il Fronte Nazionale Progressista, hanno ottenuto in tutto 160 seggi, risultato che dà loro la maggioranza.

La risposta del governo è stata quella di approntare un mix di azioni politiche e militari. Tra le autorità politiche del paese emergono con chiarezza due tendenze: una che intende perseguire la soluzione militare sulla base della superiorità delle forze armate siriane e giustificata dalla crescente interferenza straniera; l’altra che è aperta ad una soluzione politica e alla possibilità di dialogo. In ogni caso il governo ha deciso di partecipare, se invitato, alla Seconda Conferenza di Ginevra e il ministro designato a rappresentare la Siria ha dichiarato che il governo è pronto alla discussione.

Ci piaccia o no, dobbiamo ammettere che il bombardamento israeliano in Siria, il peggioramento delle conseguenze sociali prodotto dall’embargo occidentale, le atrocità commesse dai Jihadisti, l’interferenza dei paesi del Golfo e l’annuncio di un’ulteriore fornitura di armi ai gruppi ribelli da parte statunitense sono tutti fattori che contribuiscono a rafforzare la posizione politica di Bashar al–Assad.


5. Fattore etnico e fattore religioso

E’ importante comprendere che il conflitto siriano non è in primo luogo un conflitto religioso, anche se ha una dimensione religiosa. I sunniti sono la maggioranza (80%). Fra loro ci sono arabi, ma anche curdi e turkmeni. Gli sciiti sono una minoranza, alcuni libanesi e altri alawiti. I cristiani, che rappresentano fra il 5 e il 10% della popolazione, sono cristiani siriaci (la maggioranza), greci ortodossi, armeni, assiri, levantini e latini.

Non c’è dubbio che per i Salafiti di origine sunnita l’aspetto religioso è fondamentale, ma essi sono una minoranza e molti dei loro combattenti nel conflitto vengono da fuori. Gli alawiti sono circa 3.000.000. il loro è un antico gruppo religioso sincretico, influenzato sia dagli sciiti che dai cristiani. Il loro culto di Alì e l’opposizione alla leggitimità del Califfato (le monarchie sunnite) deriva dalla tradizione sciita, mentre le loro credenze trinitarie vengono dal cristianesimo. Essi rifiutano anche la sharia. Per queste ragioni sono stati a lungo emarginati nel mondo musulmano. Comunque, nel 20° secolo, sono stati riconosciuti come musulmani prima dai sunniti, poi come sciiti da questo specifico gruppo. La maggior parte di essi è povera. Concepiscono la proclamazione di uno stato laico come una garanzia, poiché temono l’instaurazione di una Repubblica Islamica. Il fatto che il presidente Bashar al–Assad sia un alawita può causare qualche problema, ma non è cruciale per la vita politica. I Drusi sono un altro gruppo sincretico all’interno dell’Islam.

E’ chiaro che solo uno stato laico può garantire la libertà religiosa e la pacifica coesistenza fra i diversi gruppi religiosi. Il Gran Muftì sunnita di Damasco afferma che la religione deve esser separata dallo stato e che l’armonia fra i gruppi religiosi è una condizione per la pace nel paese che va assicurata con la neutralità dello stato.

La coesistenza fra diversi gruppi religiosi ed etnici nel paese – curdi, vicino al confine con la Turchia, Drusi vicino alla Giordania, Alawiti sulla costa mediterranea – andrebbe protetta da qualche forma di autonomia nell’ambito dell’unità dello stato siriano e questo già si verifica, di diritto o di fatto, in alcuni casi. Per esempio i curdi hanno di fatto raggiunto un’autonomia relativa all’interno dello stato siriano. Hanno anche una loro propria milizia che assicura un minimo di ordine nei loro territori. Dato che in tutti questi paesi le istituzioni ufficiali politiche e sociali si ispirano alle strutture statali occidentali, di fatto funzionano altri principi non formali che corrispondono a usi e norme tradizionali. Questo è il caso dei clan, ma anche delle credenze religiose. La futura ricostruzione della società e della nazione in Siria dovrà tener conto anche di questa realtà. Ovviamente in questa fase del conflitto la piena integrità del paese va difesa contro le tendenze separatiste.

6. Interessi e interventi esterni

– Il Medio Oriente
Nella regione Qatar e Arabia Saudita appoggiano apertamente i gruppi Jihadisti, come in altre parti del mondo. Nel caso siriano ciò è anche in relazione alla loro opposizione all’Iran (paese sciita). Questi paesi sono da molto tempo alleati con quelli occidentali per lo sfruttamento del petrolio. Turchia e Giordania, pure alleati USA, sostengono tutti i settori dell’opposizione, consentendo l’addestramento dei combattenti nel loro territorio.

L’Iran, paese sciita non arabo, è un importante produttore di petrolio ed è il quinto produttore al mondo di gas naturale. Ha stabilito nella regione dei legami, un’alleanza con la Siria e anche rapporti privilegiati con Hezbollah in Libano ed Hamas a Gaza, ai quali fornisce armamenti. E’ un modo per compensare il suo isolamento nella regione, di fronte ad Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Bahrain ed Emirati, all’esercito e alle basi navali USA nel Golfo e ad Israele. Fin dall’inizio del conflitto l’Iran ha intensificato il suo appoggio al governo siriano.

In Libano Hezbollah, la principale forza militare nel sud del paese e spina dorsale della resistenza contro Israele, è stato alleato della Siria. Il movimento ha una composizione sciita ed è stato sostenuto essenzialmente dall’Iran attraverso la Siria. Hezbollah ha giustificato il suo intervento in territorio siriano dal 2013 con la necessità di difendere la minoranza sciita (specialmente quella di origine libanese), che veniva attaccata dai gruppi ribelli. Vuole anche sostenere il regime del Baath che lo aiutò nella lotta contro l’invasione israeliana.

Naturalmente la Palestina è una questione centrale nella regione. L’espansione continua e la politica razzista di Israele è stata ed è tuttora una fonte di conflitti regionali. I rifugiati palestinesi in Giordania, Libano e Siria sono un importante fattore di destabilizzazione economica e, a volte, politica. La solidarietà e l’appoggio alla resistenza palestinese sono stati un problema ininterrotto. Hamas, alleato di lunga data del governo siriano, ha chiuso la sua rappresentanza a Damasco ed ora sostiene i ribelli. Questo è probabilmente il prezzo da pagare in cambio dell’aiuto del Qatar.

Israele simula neutralità nei confronti del conflitto siriano, ma in realtà non è soddisfatto di vedere un conflitto interno al mondo arabo. Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, occupò le Alture del Golan, espellendo 150.000 siriani. Nel 1973 Siria ed Egitto lanciarono un offensiva per riconquistare il Sinai e il Golan. Oggi Israele occupa ancora le alture del Golan, che fanno parte del territorio siriano e che forniscono acqua a Israele. Ha tentato di negoziare un qualche accordo con la Siria sulla questione, ma fino ad ora senza esito. In diverse occasioni Israele ha bombardato il territorio siriano e nel 2013 ha bombardato Damasco due volte, provocando svariate vittime. L’intenzione era quella di distruggere le armi destinate ad Hezbollah. Il che è anche visto come la conferma del fatto che Israele controlla lo spazio aereo della regione. Fino ad ora la Siria ha reagito solo verbalmente.

L’Egitto, sotto la dirigenza della Fratellanza Musulmana, nel 2013 ha rotto le relazioni diplomatiche con la Siria, probabilmente perché il paese, di fronte ad una grave crisi economica, aveva bisogno di capitali dal Qatar e dall’Arabia Saudita. La Tunisia, sempre con la Fratellanza Musulmana al governo, ha manifestato il suo disaccordo con il governo siriano. Il Marocco, come abbiamo detto, è attualmente la nuova base per il gruppo Amici della Siria.

Come già accennato, nel 1939 la Turchia ottenne dalla Francia la provincia di Hatay, che era stata uno dei principali centri della resistenza anticoloniale. Essa è oggi sito di una serie di basi statunitensi. L’attuale governo turco e il partito AKP al potere appoggiano l’opposizione siriana esterna, perfino i radicali, utilizzando sempre gli argomenti dell’islamismo sunnita.

La Lega Araba assunse molto presto una posizione contraria al governo siriano, con le eccezioni della Libia (all’epoca sotto Gheddafi) e dell’Iraq. Il Consiglio per la Cooperazione del Golfo si è costituito per aiutare l’opposizione: Bahrain, Kuwait, Arabia Saudita, Qatar, Oman, gli Emirati, con in più Marocco e Giordania. I canali televisivi di Al Jazeera (Qatar) e Al Arabiya (Arabia Saudita) hanno adottato le posizioni dei loro rispettivi paesi. Tutto ciò rispecchia l’isolamento del governo siriano nel mondo arabo.

– I paesi occidentali
Le potenze occidentali, Stati Uniti, Unione Europea e soprattutto la Francia – che aveva bombardato Damasco nel 1945 prima di accordare l’indipendenza alla Siria nel 1946 – e il Regno Unito sono tutti attori in questo conflitto. Il ruolo storico delle potenze coloniali nella regione, giocato da Francia e Gran Bretagna dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano, è ben noto (Accordo  Sykes – Picot). Esse si spartirono questo enorme territorio, ragion per cui la Siria cadde sotto dominio francese e l’Iraq andò alla Gran Bretagna. Le due potenze si allearono per combattere il nazionalismo arabo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale attaccarono l’Egitto che aveva nazionalizzato il Canale di Suez.

Gli Stati Uniti sono arrivati dopo, con i loro interessi economici. Per un lungo periodo le grandi compagnie petrolifere sono state in competizione per l’estrazione di petrolio e gas nella regione. La Siria è stata strategicamente importante per il controllo del Medio Oriente e per il trasporto di petrolio e gas in occidente. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale il nazionalismo arabo (e persiano) è stato ritenuto dai paesi occidentali il maggior pericolo per la loro egemonia nella regione: da qui il loro sostegno ai gruppi islamisti. Tale sostegno è aumentato durante la Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica, come è evidente nel caso dell’Afghanistan e nell’appoggio statunitense a Bin Laden, fondatore di Al Qaeda. Comunque il drastico mutamento della situazione dopo gli attacchi terroristici negli Stati Uniti ed in Europa, rende difficile all’occidente appoggiare apertamente le forze ribelli islamiche radicali in Siria.

E’ pure importante tener presente il ruolo di una serie di fondazioni statunitensi che, in periodi differenti della storia recente, hanno agito sia dentro che fuori la Siria, come la Fondazione Nazionale per la Democrazia, fondata da Ronald Reagan; la Casa della Libertà (Zbigniew Brzezinski, Steve Forbes, Samuel Huntington, Paul Wolfowitz); il Consiglio per le Relazioni Estere (Henry Kissinger, Colin Powell); l’Istituto Albert Einstein (Robert Helvey); l’Istituto Società Aperta (George Soros); Otpor etc. Molte di esse sono finanziate, direttamente o indirettamente, da denaro pubblico statunitense.

L’Unione Europea ha deciso di togliere l’embargo sulle armi per i ribelli a partire dal prossimo agosto. La Germania non era d’accordo, ritenendo che questo potrebbe solo prolungare la guerra e che è difficile distinguere fra il campo democratico e l’opposizione islamista radicale. Laurent Fabius, ministro degli Esteri francese, ha dichiarato che se l’esercito governativo siriano proseguisse la sua offensiva verso il nord, la Seconda Conferenza di Ginevra potrebbe non aver luogo.  La decisione degli Stati Uniti di inviare armi ai ribelli mira a ristabilire un equilibrio sul piano militare, dopo la riconquista della città strategica di Qusayr nel centro del paese. Nel maggio 2013 sono state organizzate manovre militari in Giordania con 8.000 uomini provenienti da USA, Europa e paesi arabi “per possibili futuri combattimenti in Siria”.

Il gruppo Amici della Siria si è nuovamente riunito a Doha nel giugno 2013 ed ha deciso di canalizzare gli aiuti militari attraverso il Supremo Consiglio Militare delle forze di opposizione. Comunque, per l’attuazione effettiva, questo ha portato ad una sorta di “divisione del lavoro”: i paesi del Golfo aiutano i gruppi radicali mentre altri paesi arabi, la Fratellanza Musulmana e l’Occidente supportano l’opposizione democratica.

– Russia e Cina
Russia e Cina, anche esse attori nella regione, si oppongono, in quanto membri del Consiglio di Sicurezza con diritto di veto, ad ogni intervento militare straniero in Siria. E’ vero che avevano approvato l’istituzione di una zona di non volo in Libia per motivi umanitari, ma il fatto che le forze della NATO usarono questa misura per distruggere il regime libico le ha portate ad opporsi allo stesso percorso in Siria. E comunque i loro interessi vanno oltre questa considerazione. La Russia, erede dell’ex Unione Sovietica, ha un trattato di amicizia con la Siria firmato nel 1979 che implica la cooperazione militare. Essa ha pure una base navale di appoggio in Siria, che rende possibile la sua presenza nel Mediterraneo come contrappeso a quella statunitense. Per la Cina il petrolio dell’Iran è vitale e la Siria è la chiave per la stabilità della regione.

7. Pericoli e speranze per il futuro

Nel conflitto siriano operano tre principali processi logici, che spesso si intersecano e che sono anche la fonte dei tre principali pericoli. Uno è quello internazionale, che coinvolge considerazioni geostrategiche ed interessi economici. Si tratta dello scontro per il controllo del Medio Oriente fra occidente (USA ed Unione Europea, attraverso la NATO e Israele) da una lato, Russia e Cina dall’altro. Qui la Siria è un elemento cruciale. La sottomissione del paese potrebbe anche significare la possibilità di controllare l’Iran, con la collaborazione degli stati del Golfo, consentendo così la completa egemonia sulla regione.

Il secondo è quello regionale. Gli stati islamisti sunniti e quelli governati dalla Fratellanza Musulmana temono la costituzione di un asse “sciita” composto da Iran, Iraq meridionale ed Hezbollah in Libano con l’appoggio della Siria, come stato laico, fra loro. Si potrebbe sviluppare una vera e propria guerra religiosa, anche se questa non è stata l’origine del conflitto.

Il terzo è il conflitto siriano interno, fra un progetto laico (del governo o dell’opposizione) e uno islamico. All’interno di quest’ultimo ci sono le due correnti in competizione: la Fratellanza Musulmana e gli islamisti radicali (una minoranza ma con forte appoggio esterno). Questo potrebbe anche sfociare in un confronto armato fra i gruppi di opposizione in Siria (Fratellanza e islamisti radicali), collegato alla dimensione regionale.

L’unica speranza per il futuro della Siria sta in una soluzione politica. Alcuni passi sono stati compiuti. La Prima Conferenza di Ginevra ha elaborato le basi per risolvere il conflitto con mezzi diversi da quelli militari, con un periodo di transizione. L’ala moderata del governo accetta di trattare, anche se quella radicale (probabilmente dominante per il momento), è favorevole ad una soluzione militare. In ogni caso il governo siriano ha convenuto di partecipare alla Seconda Conferenza di Ginevra, se invitato.

Parte dell’opposizione siriana è a favore di una soluzione politica, anche se la maggioranza chiede un intervento militare per abbattere il regime. Ci sono divergenze anche fra i due organizzatori della Conferenza sulla partecipazione dell’Iran. Comunque il G8 ha dato il suo appoggio unanime a questa Seconda Conferenza.

C’è anche la proposta di organizzare una conferenza della “società civile” per la riconciliazione e la ricostruzione del paese e sono previste alcune immediate misure umanitarie. Tutto questo può sembrare un segno di speranza molto tenue, ma questo c’è.

Deve esser fatto tutto il possibile per fermare uccisioni e sofferenze del popolo siriano e questo è veramente urgente. Una soluzione politica è l’unica soluzione e sembra che questa posizione stia compiendo dei progressi.

(1) Il Forum Siriano Democratico è un gruppo di discussione basato al Cairo, contrario ad un intervento militare straniero.
(2) La Francia aveva anche creato lo Stato Alawita, il Druze Djebel e il Sangiaccato di Alessandretta, che ora si trova nella provincia turca di Hatay (popolata prevalentemente da Alawiti) e si chiama Iskenderun. Fu ceduto alla Turchia in cambio della sua neutralità nella Seconda Guerra Mondiale.

Colloqui
In Libano con il ministro degli Esteri, con rappresentanti di Hezbollah, con la Caritas Libanese, il Partito Comunista del Libano, il presidente del Consiglio Arabo, il responsabile dell’ONU, un ex ministro del governo siriano, un giornalista cristiano libanese. In Siria con membri della presidenza, il vice ministro degli Esteri, il vice primo ministro dell’Economia, il ministro dell’Informazione, il presidente del Parlamento, il Gran Muftì della Siria, rappresentanti dell’opposizione interna (Partito Comunista compreso). Alcuni membri della delegazione  in precedenza avevano incontrato in Turchia esponenti della Coalizione Nazionale, l’Esercito Siriano Libero ad Aleppo e un rappresentante dei curdi.


Fonti

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Bischoff, Jürg, “Steigende Spannung in Syriens Opposition”, Neue Zürcher Zeitung, 18.04.13
Calloni, Stella, “Siria Impunidad imperial y terrorismo mediatico”, Los Analistas, 28.07.12
Fomin, Andrey, “Syria : the Art of Standing on the Right Side of History”, Information Clearing House, article 35427
France 24, « Vers une partition de la Syrie ? », Décriptage, 17.05.13
Ghaddar, Hanin, « Guerre entre Chiites et Sunnites », Courrier International,  Le Monde Hebdo N° 1178, 30.05.13
Gehrcke, Wolgang and Reyman Christiane, Syrien, Wie man einen säkularen Staat zerstört und eine Gesellschaft islamisiert, PapyRossa Verlag, Cologne, 2013
Kimyongür, Bahar, « Syriana, La Conquête continue», Investig’Action – Couleur Livres, Brussels, 2012
Maguire, Mairead, Report and Appeal to the International Community to support a process of dialogue and reconciliation in Syria, May 2013
Malas, Nour, “As Syrian Islamists gain, It’s Rebel against Rebel”, The Wall Street Journal, 31.05.13 – 02.06.13
Malik, Aria, “The Syria the World Forgot”, International Herald Tribune, 8/9.06.13
Moos, Olivier et Caillet, Romain, « Un Etat de lieux du Salafisme », Bulletin d’information, Centre Tricontinental, Louvain-la-Neuve, 28.05.13
Rémy, Jean-Philippe et Van der Stockt, Aux frontières du Conflit, Le Monde, O1.06.13
United Nations, “Syria : Humanitarian needs Overview”, The Humanitarian Needs Overview, 28.04.13
Wikipédia, Guerre civile syrienne, 30.05.13
National Institute of Higher Studies (IAEN), Quito, 15 June 2015

* François Houtart, sociologo e prete cattolico belga, ha fatto parte della delegazione che si è recata in Siria agli inizi di giugno

Traduzione di Maria Grazia Ardizzone