La “corsa agli armamenti” di Riad
Anche l’Arabia Saudita avrà la sua flotta di droni? In realtà non c’è ancora nulla di ufficiale ma i rumors su un tale acquisto si stanno diffondendo da tempo, rafforzati dall’incontro del principe ereditario saudita Salman con il generale cinese Wang Guanzhong.
Incontro in cui si sarebbe stipulato il contratto per una spedizione di droni cinesi Wing Loong, noti anche come “Pterodactyls”, molto simili al più celebre Predator americano, con capacità di ricognizione e di portata sufficiente per trasportare due missili abbinati aria-terra.
Ad affermarlo, un dispaccio del Tactical Report, ripreso dal sito d’informazione tecnologica americano The Verge. E in realtà, non ci sarebbe nulla di strano, dato l’aumento degli acquisti sauditi per la difesa degli ultimi anni.
Secondo i dati del Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), nel 2013, con una spesa di 67 miliardi di dollari il Regno è risultato essere il maggior “investitore” in ambito militare di tutta regione mediorientale, e il quarto nel mondo, dopo Stati Uniti, Russia e Cina, superando così Gran Bretagna e Francia.
E il trend di quest’anno non sembra molto diverso, come dimostra il contestato accordo col Canada da 10 miliardi di dollari per i mezzi blindati leggeri (LAV), e i vari ordini in sospeso, come i 48 aerei da combattimento Typhoon dal Regno Unito e i 152 F-15 dagli Stati Uniti.
Ancora, il SIPRI ricorda come il mese scorso il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti abbia confermato di voler vendere ai sauditi e agli Emirati 10,8 miliardi dollari in armi avanzate.
Senza contare la recente dimostrazione pubblica di forza da parte dei sauditi, ovvero una serie di esercitazioni militari in pompa magna tenutesi il 29 aprile nella base aerea di Hafr al-Batin: 130.000 truppe coinvolte, più l’esibizione inedita di alcune delle ultime armi acquistate dal Regno.
Tra queste, i missili balistici a medio raggio DongFeng 3, in grado di trasportare testate nucleari (che probabilmente verranno rimpiazzati con i più moderni DongFeng, dopo l’ok di Washington a patto che i vettori non imbarchino armi atomiche).
Droni cinesi
Ma cosa si sa, invece, su questi “Pterodattili” cinesi? I vari report sulla questione non specificano il numero di unità che il governo saudita avrebbe accettato di acquistare, ma descrivono nel dettaglio questo tipo di droni, progettati dal Chengdu Aircraft Design e dal Research Institute, e inaugurati per la prima volta nel 2007, ma mai realmente testati in operazioni di guerra.
Secondo questi resoconti, il Wing Loong avrebbe circa le stesse dimensioni del Predator Usa MQ-1 e può volare per oltre 4.000 km in 20 ore. Il suo carico da 200 kg per il trasporto di armi e sensori può comprendere missili terra-aria telecomandati KD-10 (simili agli Hellfire dei Predator) o due bombe satelliti telecomandate LS-6, da 50 kg.
La US Air Force e soprattutto la CIA hanno usato i loro prototipi per colpire i terroristi di spicco (ovviamente, questa terminologia usata dall’autrice è per noi del tutto inaccettabile: gli americani definiscono “terrorista” chiunque si opponga e resista ai loro interessi – ndr) in luoghi come Pakistan e Yemen, e si dice che anche Riad intenda utilizzarli – nella versione cinese dei Wing Loong – per questo scopo, soprattutto in Siria e Yemen. Ma non solo.
Se le voci dell’acquisto venissero confermate ufficialmente, allora anche l’Arabia Saudita entrerebbe in quel club esclusivo delle nazioni che utilizzano i velivoli senza pilota, e che ad oggi comprende solo Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele, Cina (e c’è chi dice anche l’Iran).
Anche se ormai la “merce” si fa sempre più disponibile per chiunque possa pagare.
Ad esempio, secondo un altro rapporto apparso sui media ufficiali cinesi lo scorso giugno, la Cina avrebbe già consegnato i propri droni ad altri tre clienti internazionali senza specificare quali (la speculazione straniera sembra incentrata sugli Emirati Arabi Uniti e l’Uzbekistan), e sarebbe in trattative con altri cinque paesi.
Contrasti con gli USA
Se, nel complesso, la spesa per la difesa globale è leggermente calata nel 2013, in Medio Oriente (e in Asia) è aumentata in modo significativo, anche se il SIPRI specifica che non sono stati forniti dati relativi a Qatar, Siria, Emirati Arabi Uniti e Iran.
In ogni caso, secondo gli analisti la ragione principale dell’incremento di queste spese sarebbe proprio la preoccupazione di alcuni Stati arabi del Golfo per l’Iran, insieme al malcontento interno all’indomani della Primavera Araba.
Non è un caso che, tra i top spender mondiali per percentuale del prodotto interno lordo, figurino l’Oman, l’Iraq, il Bahrain, la Libia, l’Algeria, lo Yemen, la Giordania e, naturalmente l’Arabia Saudita.
Ma perché quest’ultima, che per l’acquisto di armi e l’addestramento si basa fortemente sull’alleato statunitense, sta aprendo sempre di più il proprio portafogli altrove?
Il messaggio appare chiaro: visti gli ultimi sviluppi delle relazioni Usa-Iran, Riad ha deciso che non vuole più restare totalmente subordinata alle politiche americane nella regione.
La recente visita del presidente Obama nel Regno ha in una certa misura calmato i nervi dei leader sauditi, ma non ha dissipato molti contrasti reciproci, soprattutto in vista di una risoluzione pacifica della disputa sul nucleare iraniano e le prospettive di riavvicinamento tra gli Usa e l’Iran.
Non solo. “L’Arabia Saudita e paesi più piccoli, come gli Emirati Arabi Uniti stanno cercando di mettere le mani su tutto quello che possono, e gli Stati Uniti hanno politiche di esportazione piuttosto restrittive” dice a The Verge Sarah Kreps, ricercatrice sulla proliferazione dei droni.
Una proliferazione che non accenna a fermarsi, nonostante le critiche della società civile e le remore morali e giuridiche, soprattutto per quanto riguarda la tendenza verso un tipo di velivoli senza pilota completamente automatizzati.
E infatti, secondo l’analista politico Michael Horowitz: “Finché c’è un mercato, ci sarà un incentivo a costruire droni sempre più economici e più potenti, e il club dei paesi che posseggono droni armati continuerà a crescere”.
“Quello che sappiamo sulla storia della tecnologia militare – conclude – ci suggerisce che sarà davvero difficile tenere un coperchio su tutto questo”.