Contrariamente a quel che vorrebbero i suoi amici occidentali, la società israeliana non è migliore di chi la governa
Sia chiaro: anche se Netanyahu avesse perso le elezioni nulla sarebbe cambiato nella politica colonialista e segregazionista di Israele. Basti pensare che l’alternativa al macellaio di Gaza si chiamava “Casa Sionista“, e tanto dovrebbe bastare. Una “casa” comprendente fra l’altro Tzipi Livni, che fu ministro degli esteri all’epoca dell’attacco al Libano (luglio-agosto 2006) e nelle settimane dell’operazione “Piombo Fuso” (dicembre 2008 – gennaio 2009). Un curriculum che non dovrebbe lasciare dubbi, anche se non più tardi di ieri Ugo Tramballi la definiva addirittura come “pacifista” sulle pagine del Sole 24 Ore.
In ogni caso Netanyahu non ha perso le elezioni. Anzi, contrariamente a tante previsioni, le ha vinte con nettezza. Forse avvantaggiandosi addirittura dall’aumento della partecipazione al voto (71,8%, contro il precedente 67,8%). Il suo appello ai peggiori sentimenti razzisti è stato raccolto. Il suo partito, il Likud, ha vinto con 30 seggi a 24 la sfida contro la coalizione che vedeva insieme i laburisti di Herzog e Hatnuah, il partito della Livni.
Nascerà dunque, in continuità con quello attuale, ma ancor più spostato a destra, un nuovo governo Netanyahu. Un governo di coalizione, ma non quella che avrebbero voluto gli amici occidentali di Israele, comprendente cioè il cosiddetto “centrosinistra” rappresentato da “Casa Sionista“, bensì una solida coalizione di destra, comprese le formazioni più estremiste.
Già stanotte Netanyahu ha infatti annunciato di essersi rivolto a tutti i leader dei partiti di destra per “formare senza indugio un governo forte e stabile capace di occuparsi della sicurezza e del benessere di tutti i cittadini di Israele“. Un governo indubbiamente basato sulle parole chiave usate da Netanyahu per risalire la china nei giorni precedenti il voto: «Niente stato palestinese, nuove colonie a Gerusalemme Est». Un appello che molti, specie in occidente, giudicavano come disperato, ma che invece ha funzionato.
Oltre ai 30 seggi attualmente assegnati al Likud, Netanyahu potrà così contare sui 10 di Kalanu (destra sociale), sugli 8 degli ultra-nazionalisti di “Focolare Ebraico” guidati da Naftali Bennet, sui 6 del partito Ysrael Beitenu del razzista Lieberman, nonché sui 7 seggi a testa delle due formazioni religiose (Shas e United Torah Judaism). Totale 68 seggi sui 120 della Knesset. Una maggioranza decisamente ampia specie per gli standard israeliani.
E’ da notare che tutte queste liste – eccetto United Torah Judaism, che è rimasta stabile – hanno perso voti e seggi rispetto al 2013. Voti che sono invece andati al Likud consentendogli così di guadagnare ben 12 seggi.
Nel campo del cosiddetto “centrosinistra”, l’alleanza di Casa Sionista ha guadagnato di fatto soltanto un seggio, mentre il Maaretz ne ha persi 2.
La Lista Araba Unita, che ha raccolto voti tra i palestinesi inglobati nello Stato ebraico nel 1948, benché contestata da buona parte del mondo palestinese, ha ottenuto 14 seggi, 10 in più rispetto a due anni fa.
Gli ultimi sondaggi, che davano vincente la coalizione guidata da Herzog, sono stati dunque clamorosamente smentiti. Il debole leader laburista contava sul serpeggiante malcontento sociale, evitando invece ogni vera differenziazione con Netanyahu sulla questione palestinese. Alla resa dei conti ha pagato invece il richiamo ultra-nazionalista di quest’ultimo, che evidentemente ha saputo intercettare al meglio lo spirito profondo di Israele.
Lo Stato palestinese, da sempre negato nei fatti, ed al più immaginato come semplice insieme di microscopici bantustan sotto stretto controllo sionista, da oggi è negato anche nelle dichiarazioni formali del vecchio-nuovo premier Netanyahu. Se non altro vi sarà meno spazio per l’ipocrisia di un “processo di pace” semplicemente inesistente, e però utile all’atteggiamento ponziopilatesco dell’occidente e dell’Europa, come insegna la recente vicenda italiana del finto “riconoscimento” della Camera dei deputati (leggi QUI).
Tutte le cronache dalla Palestina occupata ci hanno parlato nei giorni scorsi dell’indifferenza della popolazione palestinese per l’esito di queste elezioni. Questa indifferenza non era dovuta soltanto all’identica matrice sionista dei due contendenti, essa era anche motivata dalla consapevolezza di quel che è realmente la società israeliana. Una società non affatto migliore di chi la governa. Una società dove l’appello del Macellaio di Gaza alla legge del più forte, alla prosecuzione della segregazione e del colonialismo non per caso ha avuto successo.