Ad un anno esatto dall’inizio del massacro israeliano dell’estate 2014, un libro su Gaza e sul modello di dominazione che rappresenta.

La Striscia di Gaza, da quasi un secolo, è un luogo di sofferenza e di resistenza.

Rappresenta ormai il paradigma dell’industria della violenza contemporanea. Dopo il macabro spettacolo di morte e distruzione su larga scala messo in scena durante l’operazione Margine Protettivo nell’estate 2014, abbiamo sentito l’esigenza di ripercorrere gli eventi fondamentali che nell’ultimo ventennio, a partire dagli Accordi di Oslo, hanno trasformato Gaza nel più grande campo di concentramento a cielo aperto del mondo.

Abbiamo cercato di sfatare i principali miti fondativi di Israele e di decostruire il doppio linguaggio sionista, di orwelliana memoria, per cui supremazia razziale è democrazia; repressione, sicurezza; resistenza, terrorismo; colonizzazione della Palestina storica, processo di pace; normalizzazione dell’oppressione, coesistenza. Guerra è pace. E Palestina, alla fine, diventa Israele.

Introduciamo il colonialismo di insediamento come paradigma interpretativo fondamentale per comprendere la vocazione genocidaria del sionismo e il militarismo totale che informa la società e lo stato israeliano. Questo ci consente di identificare le tre pratiche principali messe in campo dal potere coloniale nei confronti dei nativi: l’espulsione, l’eliminazione e la segregazione. La violenza contro i palestinesi è un continuum che oscilla tra un minimo quotidiano, a bassa intensità, con i suoi morti, i suoi feriti e le sue distruzioni, completamente trascurata dai media, alle punte delle operazioni militari con il loro risvolto voyeuristico di fronte allo spettacolo del dolore.

La Striscia di Gaza secondo noi rappresenta lo stadio più avanzato di un processo di concentramento e segregazione dei palestinesi applicato in fasi diverse e con modalità differenti anche in Cisgiordania e in Israele. Per questo possiamo parlare di un vero e proprio paradigma concentrazionario. Gaza incarna in maniera compiuta la formula sionista della «massima quantità di territori con una minima presenza di arabi», o meglio, dal momento che l’espulsione e lo sterminio di massa non sono ancora opzioni praticabili, la formula si declina anche come «massimo controllo sulla terra con la minima responsabilità sulla popolazione». Gaza diventa un luogo in cui vengono radicalmente alterate le condizioni della vita umana (tramite le politiche di de-development, l’amministrazione burocratica della sopravvivenza, la politica della dipendenza e l’industria degli aiuti) allo scopo di ridurre i carcerati allo stato di «nuda vita» di fronte al potere sovrano.

Gaza è diventata la vetrina dell’industria bellica israeliana. I gazawi sono stati trasformati da obiettivi militari a cavie di laboratorio per testare e perfezionare dottrine e tecnologie militari d’avanguardia che garantiscono notevoli profitti all’industria israeliana della violenza. Israele riveste perciò un ruolo di primo piano a livello mondiale nella progettazione e sperimentazione di armi, tecnologie di sorveglianza e modalità di controllo che vengono successivamente commercializzate nel resto del mondo. L’esperienza acquisita nell’oppressione dei palestinesi fa di Israele il capofila di un’industria globale della violenza di cui si avvalgono eserciti e polizie in tutto il mondo per reprimere popoli in lotta, gruppi indigeni espropriati, migranti, attivisti dei diritti umani, sociali e ambientali.

Gaza anticipa la società distopica del futuro, quando le elite mondiali saranno sempre più costrette a ricorrere alla guerra permanente e al controllo totale per far fronte alle disuguaglianze sociali e alle devastazioni ambientali frutto delle politiche neoliberiste. Il campo di concentramento di Gaza rappresenta quindi un modello di dominazione testato sui palestinesi e poi importato, replicato e adattato dagli apparati coercitivi degli stati per la «pacificazione» sociale. Ecco perché Gaza, e la Palestina, ci interessano e dovrebbero interessare tutti.

A un anno dall’inizio dell’operazione Margine Protettivo, l’8 luglio 2014, questo libro può essere l’occasione di una necessaria riflessione, nel momento in cui il mondo è attraversato da forme di schiavitù non diverse dal passato.

A cura degli autori: Enrico Bartolomei, Diana Carminati e Alfredo Tradardi – Postfazione di Anna Delfina Arcostanzo – DeriveApprodi 2015

da Palestina Rossa