Quale sarà il prossimo anello a saltare?

Abbiamo definito il sistema capitalistico (e imperialistico) occidentale come una ierocrazia, dove le decisioni di ultima istanza vengono prese da una setta clericale che venera il denaro e attraverso il controllo delle banche (a partire da quelle centrali) riesce a volte a compiere il prodigio della sua moltiplicazione — lo stesso miracolo dei pani e dei pesci, ma dagli effetti opposti a quelli del Gesù, ovvero a beneficio dei ricchi ed a spese della povera gente che sgobba per tenere in piedi la baracca traballante dell’iper-capitalismo o capitalismo-casinò.

Traballante, appunto, ed il terremoto finanziario cinese — che malgrado le sue peculiarità social-mandarine è pienamente integrato in quello mondiale — ne è l’ennesima conferma.

La decisione presa l’11 agosto scorso dalla banca centrale cinese (People’s Bank of Cina) di svalutare la propria valuta (renminbi-yuan), a cui ne sono seguite altre due in due settimane, ha seminato il panico nel sinedrio in cui i sacerdoti dell’ultimo Dio celebrano i loro diabolici riti — e ciò nonostante la valuta cinese sia stata deprezzata solo del 5% e che la borsa di Shangai per quanto abbia perso il 43% dal picco di giugno resti del 50% al di sopra dei valori di inizio 2014. Comunque, causa del panico le borse mondiali, in primis quelle europee, hanno subito un salasso impressionante.

E’ davvero la modesta svalutazione decisa da Pechino che spaventa Lorisgnori? No, fa loro paura quello a cui allude, quello che ci sta dietro.

Lo sciame di teologi sul libro paga della setta (analisti, economisti, giornalisti, ecc.) si sono prodigati nel tentativo di dare una risposta plausibile. Tra queste alcune le abbiamo trovate francamente esilaranti. Quella che supera la soglia oltre la quale ci sono le fesserie ci è stata sfornata dal direttore del Il Sole 24 Ore Roberto Napoletano il 25 agosto. Il Nostro condanna la svalutazione come un “gesto illiberale”, un atto di forza per condizionare e manipolare il “naturale” corso dei mercati delle valute — come si sa questi teologi  divinizzano la smithiana “mano invisibile” come fosse la cristiana Provvidenza — e, con tono solenne quanto supponente, sostiene che le autorità cinesi sarebbero invece “obbligate” a seguire la via del Qantitative easing e di ulteriori abbassamenti del tasso d’interesse.

Idea alquanto patetica, visto che la banca centrale cinese è da anni che pompa liquidità a basso costo per sostenere la domanda aggregata utilizzando il canale centrale della China Development Bank. Il problema è che queste iniezioni massicce di denaro hanno sì incrementato gli investimenti (ma molto poco i consumi) ma in gran parte alimentato la speculazione finanziaria — via borse ufficiali come pure via “mercati grigi” mercati bancario collaterali (shadow banking sistem).

Gli “eruditi” teologi del Sacro impero d’Occidente vorrebbero la botte piena e la moglie ubriaca o meglio, mi si perdoni la scurrile metafora che ahimé rende bene la cosa, “fare i froci col culo degli altri”. [1]

Essi dimenticano (o fanno finta di dimenticare) che la svalutazione decisa dalle autorità cinesi — ed a cui è seguita la per niente spontanea fuga dei capitali dalla Cina e i crolli borsistici — è solo l’ultimo atto di quella che è stata chiamata “guerra delle valute”, ovvero delle serie di svalutazioni competitive che diversi governi hanno adottato per venir fuori dal marasma della stagnazione economica. Il mondo trapassato nella globalizzazione non è né armonioso né quieto ma segnato dalla competizione e dalla guerra economica. Qui vale piuttosto il detto mors tua vita mea. E chi ha dati inizio alla “guerra della valute” (preliminare ad una guerra di ben altra natura)? Quali potenze, fottendosene del “rispetto delle normali fluttuazioni del mercato” ed in barba al dogma della “mano invisibile” sono intervenute massicciamente per svalutare ai danni delle altre? Sono stati gli Usa con il Quantitative easing della Fed, che altro non è stato se non un potente deprezzamento del dollaro allo scopo di trasferire la crisi americana al resto del mondo — altro che 5%!. A ruota si è mosso tutto il sacro impero imperialista d’occidente, fino alla Bce e all’euro-Germania. Malgrado gli appelli degli altri BRICS, Pechino per anni ha rifiutato di entrare in questa guerra, evitando ogni svalutazione, anzi assistendo ad un apprezzamento che ha danneggiato la sua economia export-oriented.

Giunti i primi segnali di rallentamento del boom economico, nonché quelli ancor più pericolosi dello scoppio della bolla finanziaria, le autorità cinesi sono state costrette a rompere gli indugi e ad agire preventivamente, per rilanciare su grande scala le esportazioni.

Chiarito il carattere peloso delle filippiche dei teologi occidentali, ovvero riconosciuto alle autorità cinesi il diritto di fare gli “interessi nazionali” evitando di immolarsi sull’altare fasullo della globalizzazione, corre l’obbligo di segnalare che la mossa cinese prelude ad un cambio di politica economica profondo. La mossa cinese, come sostiene uno dei pochi analisti che abbia sale in zucca [2] si spiega poi con cause del tutto endogene. Pechino ha tentato negli ultimi anni di passare da un’economia principalmente esportativa (quindi fondata su lavoro a basso costo) ad un’economia trainata da consumi e investimenti. I risultati non sono stati affatto quelli attesi, la crescita economica ha subito un sostanziale rallentamento. I consumi sono cresciuti poco, mentre gli investimenti sostenuti dalle autorità, per quanto ingenti — in Cina gli investimenti fanno ben il 44% del Pil! —, non hanno sostituito la ricchezza andata perduta col calo delle esportazioni. In poche parole la scarsa domanda aggregata sta facendo tornare Pechino sui suoi passi.

Pare ovvio che questo cambio d’indirizzo a cui allude la recente svalutazione della valuta cinese, avrà conseguenze grandi e forse devastanti per l’economia-mondo. Qualche anello della catena dell’economia-mondo salterà.

Saranno i paesi più esposti alla globalizzazione e al libero scambio, quelli che non riusciranno a reggere la concorrenza cinese.

Vedremo se sarà qualche paese BRICS oppure se salteranno proprio gli anelli deboli della catena europea. Lo spettro della tempesta busserà nuovamente alla porta dell’Italia?

NOTE

[1] Nelle loro divinazioni, non sapendo dove sbattere la testa, alcuni giungono ad interrogare fondi di caffè e budella di capra, come fa ad esempio Federico Rampini, che ha tirato in ballo la “teoria del caos” e la …”fisica delle slavine” — il tutto per giustificare che nulla di quanto accade al capitalismo-casinò è non solo prevedibile e intelligibile. Da questa sua inquietudine cognitiva Fubini tira tuttavia una conclusione sorprendente quanto istruttiva per la voragine che apre nella testa degli adepti del globalismo: “Paradosso: i paesi relativamente meno vulnerabili [dalle tempeste finanziarie, Nda] sono quelli un po’ meno esposti al commercio estero. America, India, sono meno globalizzate della vecchia Europa. Qualcuno avrà ripensamenti sui trattati di libero scambio Tpp e Ttip”.

[2] Martin Wolf, The Financial Times Il Sole 24 Ore