L’aria che si respira nelle redazioni è di immensa tristezza: non solo gli elettori non votano più come si deve, ma perfino i golpe non sono più quelli di una volta… Dove finiremo mai di questo passo…

I giornalistoni che venerdì sera già esultavano ai carri armati in piazza ad Istanbul, secondo loro applauditi da grandi folle, è rimasto l’amaro in bocca. Proprio come dopo gli exit poll sbagliati sulla Brexit. E’ chiaro che “vincere” la sera per poi perdere la notte, lascia un po’ storditi al mattino. Ma qui si sta passando il segno ogni giorno di più. Se il no degli inglesi all’Europa aveva portato ad un sussulto classista al limite della richiesta del ripristino del voto per censo, anche sul fallito golpe turco il “giornalismo” di regime non ha impiegato molto a gettare la maschera.

Il colpo di stato è fallito? Allora vuol dire che era fin dall’inizio un “golpe fasullo”. Di più: Erdogan è ancora in sella? Allora significa che ha fatto tutto da solo, un auto-golpe programmato per rafforzarsi. Ovviamente tutto calcolato: la presa della Tv, i bombardamenti al parlamento, alla sede della polizia, a quella dei servizi segreti. A leggere certe cose verrebbe da supporre che anche i morti, di entrambe le parti, siano stati fin dall’inizio d’accordo nel ruolo assegnatogli nella sceneggiata.

Il fatto è che questa volta non siamo di fronte alla solita sguaiata mandria dei complottisti a 360 gradi, 365 giorni all’anno. Questa volta si è di fronte alla stampa mainstream in giacca e cravatta. La qual cosa dovrebbe forse far riflettere i complottisti d’antan, perché se la tesi del complotto è fatta propria in prima battuta proprio dagli organi di informazione del regime, che non sia proprio questo il vero complotto?

Ma lasciamo perdere i complottisti professionali, la cui vita è già resa dura dal ginepraio in cui sono usi ficcare le loro meningi. Vediamo invece chi guida davvero il fronte negazionista. In Italia colpisce il ruolo di avanguardia assunto dal Corriere della Sera. Nell’edizione domenicale di questo giornale, filo-americano quanto filo-sionista, spicca un’auto-intervista di Antonio Ferrari, dal titolo: «Ne ho visti tanti. Vi spiego perché questo è un golpe “fasullo”».

La tesi del Ferrari è chiara, peccato che – a dispetto del titolo dell’edizione cartacea – non porti alcun fatto concreto a supporto. Siccome il golpe è fallito, questo assicura in partenza che fosse “fasullo”. Domanda, che forse è questo il primo caso di un colpo di stato non riuscito? Il Ferrari dice di averne visti tanti di golpe militari, ma evidentemente se ne è scordati almeno due: quello tentato nell’allora Urss nell’agosto 1991, e quello (11 aprile 2002) che voleva cacciare dalla presidenza del Venezuela Hugo Chavez. Entrambi falliti.

Non è questa la sede per una ricostruzione storica di quei due eventi, ma davvero non si trattò – né in un caso né nell’altro – di uno scherzo.

A Mosca i congiurati avevano alla testa diversi pezzi da novanta. Tra questi il capo del Kgb Krjuckov, il primo ministro Pavlov, il ministro degli interni Pugo e quello della difesa Jazov. Risultato: fallimento totale. Anzi, la sconfitta portò alla dissoluzione definitiva dell’Urss, spianando la strada al potere dell’ubriacone al servizio di Washington, Boris Eltsin. Fu anche quella una sceneggiata? Bisognerebbe chiederlo a tre protagonisti – il ministro degli interni Vladimir Pugo, il maresciallo dell’esercito Sergej Akhromeev, l’amministratore del Comitato centrale del Pcus Nikolai Krucina. Peccato non sia più possibile, dato che si suicidarono subito dopo la sconfitta.

Passiamo a Caracas, dove il presidente della locale Confindustria, Pedro Carmona, appoggiato da un folto gruppo di alti militari, assunse il potere deportando Chavez nell’isola di La Orchila. Immediatamente venne cancellata la nuova Costituzione e, mentre venivano chiusi i rapporti con Cuba, fu subito annunciata l’uscita dall’Opec. Praticamente in tempo reale arrivò il riconoscimento americano, rapidamente seguito da quello spagnolo, inglese ed israeliano. Ma tutto questo non bastò. Milioni di venezuelani scesero in piazza a sostegno di Chavez ed i golpisti dovettero arrendersi.

Urss 1991, Venezuela 2002, Turchia 2016. Palesemente tre situazioni molto diverse tra loro. Ma con due cose in comune: il ruolo della mobilitazione popolare ed il fatto che le forze armate non erano unite al loro interno.

Spesso, anche se non sempre, le cose sono assai più semplici di quanto si lascia immaginare. Un colpo di stato è fatto di tanti atti, ognuno dei quali è propedeutico a quelli successivi. A volte un “pronunciamento” di una parte delle forze armate è sufficiente a trascinare il tutto, specie se non vi è reazione popolare. Altre volte il meccanismo si inceppa.

In conclusione, più che tra golpe veri e golpe “fasulli”, la vera distinzione è tra quelli che riescono e quelli che falliscono. Quello turco del 15 luglio appartiene in tutta evidenza alla seconda categoria. Riconoscerlo sarebbe solo un semplice atto di onestà intellettuale. Niente di più e niente di meno. Ma è proprio quell’atto di onestà che gli scribacchini filo-atlantici non possono in alcun modo permettersi. Se il putsch fosse riuscito avrebbero brindato – come hanno fatto per l’Egitto – al golpe “laico e democratico”. Siccome invece è fallito, essi non possono fare altro che arrampicarsi sugli specchi a costo di esporsi al ridicolo.

Diciamo tutto questo non perché ci piaccia il potere e la politica repressiva di Erdogan, ma perché così stanno le cose. Abbiamo scritto a caldo:
«La ragione per cui i golpisti che hanno tentato di rovesciare Erdogan non hanno suscitato l’appoggio delle masse è evidente: in pochi hanno, giustamente, creduto i generali kemalisti siano scesi in campo per “ripristinare la democrazia”. Il ricordo dei loro crimini è ancora fresco tra i turchi. Essi hanno tentato il colpo di forza per tutelare gli interessi della loro casta e per riconsegnare all’Esercito il suo ruolo dominante. Nella lotta tra bande all’interno del regime, quella di Erdogan ha avuto di nuovo la meglio. Non c’è né da esecrare né da esultare».

E qui potremmo anche fermarci. Ma c’è un’infame che si aggira in rete (e non solo) che due paroline le merita. Questo signore, al secolo Roberto Saviano, non si accontenta di stare sempre con le oligarchie (vedi i suoi viaggi a Londra per sostenere i padroni della City contro la Brexit); adesso sta pure apertamente dalla parte dei militari turchi che hanno tentato il colpo di stato.

Queste le sue parole
, che riportiamo integralmente:
«Le immagini dei carri armati per le strade della Turchia ieri notte mi hanno rimandato al passato. Mi hanno rimandato al Cile e al governo violato di Allende; alla Praga di Dub?ek occupata e sconfitta; alla protesta di piazza Tienanmen trasformata in un massacro dal governo cinese; al tentato golpe russo contro Gorbaciov. Ma i carri armati turchi di ieri notte sembravano diversi: li ho visti come cingolati contro il potere totale e corrottissimo che Erdogan ha realizzato. Erano in molti, infatti, ad applaudire ai blindati come alla possibilità di porre fine al neo-ottomanesimo di Erdogan. Erano anche in molti a difendere il presidente-sultano. Ora si torna al controllo islamista, alle elezioni truccate, alle torture in carcere, al controllo dell’informazione. Il golpe è fallito anche perché i soldati ribelli non hanno voluto sparare sulla folla: l’Europa salvi i soldati golpisti, che non hanno alzato le mani sui civili. Dia loro asilo, non li lasci nelle carceri di Erdogan».

«L’Europa salvi i soldati golpisti», ecco la confessione di Roberto Saviano. Costui, non contento di aver paragonato il voto britannico del 23 giugno alle folle che applaudivano Hitler nel 1938, è arrivato adesso alla più manifesta apologia del colpo di stato. Quello che forse avrebbe voluto anche in Gran Bretagna per impedire che il popolo “ignorante” potesse dire la sua.

E’ evidente come in queste settimane in molti abbiano perso la testa. Ma se il disprezzo per il popolo si unisce alle lodi delle virtù “democratiche” dei militari golpisti, è chiaro a quale punto stiano arrivando lorsignori. Attraverso i loro scribacchini essi parlano di democrazia, ormai solo per negarla nei fatti: non più solo nella sostanza, ma anche nella forma.

Anche questo ci dice in quale torbida fase si stia entrando. Grazie per avercelo ricordato a tutto il giornalistume che ha gettato la maschera. E un grazie davvero speciale al “democratico” con l’elmetto, Roberto Saviano.