Un interessante articolo di Alberto Negri (il Sole 24 Ore) sulla strategia mediorientale del nuovo presidente americano
Per Trump l’accordo sul nucleare dovrebbe essere stracciato. Si rinsalda l’alleanza con sauditi e Israele (nella foto una portaerei Usa nello stretto di Hormuz)
La prima vera escalation di Trump è contro l’Iran, colpevole di un test con un missile balistico non i grado, almeno secondo Teheran, di portare testate nucleari.
«Siete avvisati», ha detto agli iraniani Michael Flynn, il consigliere della Sicurezza nazionale che capeggia i falchi insieme al ministro della Difesa James Mattis. Teheran e Washington sono già a una guerra di parole in cui il presidente Rohani ha definito quello americano «un principiante della politica».
Per Trump l’accordo sul nucleare raggiunto da Obama dovrebbe essere stracciato. Non piace a Israele e ai sauditi, i due storici alleati Usa in Medio Oriente, soprattutto ora che l’Europa è tornata ad acquistare petrolio iraniano a ritmi mai visti dalla fine delle sanzioni.
Non c’è alcun dubbio dove si schiera l’America nell’epocale conflitto sciiti-sunniti. Troppi gli interessi che legano Washington a Riad. «Siamo d’accordo con Trump», ha detto alla Bbc il ministro del petrolio saudita Al Falih: «Negli Usa abbiamo miliardi di dollari nella raffinazione, nelle pipeline, nella finanza».
Trump ha fatto la sua scelta. Prendere dal mondo musulmano quel che gli serve, anche se non è moderato: Arabia Saudita e monarchie del Golfo applicano un’interpretazione ultra-conservatrice della religione ma portano soldi. Colpire invece i Paesi islamici che non si piegano agli Usa.
Stati Uniti e Iran hanno interrotto le relazioni dal novembre del 1979 quando gli studenti sequestrarono gli ostaggi nell’ambasciata americana. Da allora gli Usa hanno provato a ribaltare il regime prima attraverso la guerra condotta da Saddam Hussein nell’80, otto anni di conflitto e un milione di morti, poi con fallimentari azioni di destabilizzazione.
Anzi gli iraniani devono essere grati agli Stati Uniti per una serie di “regali” strategici. Sono stati gli americani a eliminare nel 2001 i talebani, integralisti sunniti ostili a Teheran; è stata l’America ad abbattere Saddam nel 2003 consegnando l’Iraq a una maggioranza sciita alleata dell’Iran. Non solo. Nella guerra per procura in Siria iniziata nel 2011 per eliminare Assad, amico stretto di Teheran, gli Usa appoggiando i gruppi sunniti finanziati dalle monarchie del Golfo hanno spianato la strada al ritorno della Russia in Medio Oriente.
L’Iran ha trovato in Putin un potente compagno di strada che ha costretto la Turchia di Erdogan a chinare la testa: lunedì questo terzetto si troverà ad Astana per monitorare il cessate il fuoco.
E’ assai difficile comprendere come Putin e Trump si possano mettere d’accordo se l’America apre un fronte ostile contro Teheran. L’alleanza di comodo tra russi e iraniani è diventata strategica con le basi di Mosca in Siria e le forniture agli ayatollah dei missili S300. Trump nella sua telefonata con re Salman ha parlato della creazione di zone sicure per i civili in Siria: un piano che ha come obiettivo non tanto l’Isis quanto contenere Teheran. Non è a esche così rudimentali che abbocca uno come Putin.
Sfortunatamente per gli americani i loro alleati regionali contro l’Iran – a parte Israele – sono degli incapaci. Ogni volta che si confrontano con l’Iran ne escono con le ossa rotte. Oltre alla Siria e all’Iraq, è il caso dello Yemen, una guerra combattuta dai sauditi contro i ribelli sciiti Houthi, altro conflitto per procura contro l’Iran.
Durante la presidenza Obama gli Usa hanno venduto a Riad 115 miliardi di dollari di armi, al punto che l’Arabia Saudita, 25 milioni di abitanti, è diventato il terzo Paese al mondo per spese militari. Nonostante questo super potenziamento bellico, Riad non viene a capo degli Houthi e pur bombardando a tutto spiano i civili prende una batosta dopo l’altra.
L’escalation Usa-Iran non è solo verbale. Nel Golfo è in atto uno scontro di nervi: in questi giorni navi da guerra Usa, inglesi, francesi e australiane tengono grandi manovre davanti al Bahrein per simulare un attacco all’Iran.
Ma è una tensione che rassicura gli alleati Usa e fa guadagnare tutti con l’aumento dei prezzi del petrolio e nuove commesse militari dei ricchi clienti arabi. Anche il nemico iraniano è utile allo slogan “America first”.
dal Sole 24 Ore del 3 febbraio 2017