Riceviamo e pubblichiamo
Il 19 aprile 2022 Kabul, la capitale dei Pashtun regina mondiale di mille battaglie e altrettante liberazioni, assisteva all’ennesimo eccidio interno nel silenzio assordante di quei media nichilisti occidentali abilissimi a creare dal nulla casi inessenziali o addirittura inesistenti.
Perché i media occidentali, campioni di fake sul “burqa afghano”, non martellavano ora l’opinione pubblica su un caso così importante, sebbene si fosse registrata a Kabul una vera e propria strage tra gli studenti Hazara, etnia interna di ceppo ghori, di religione islamica sunnita nell’occidente afghano, sciita invece in quello orientale?
Perché, come scrivevo mesi fa su questo sito, la vittoria del nazionalismo Pashtun nell’agosto ’21 contro la NATO cambiava gli equilibri planetari molto più di quanto li stia cambiando l’odierno conflitto tra nazionalisti russi ed i “nazisti” filoeuropei e filoccidentali di Kiev. Tentavo così di leggere la sconfitta strategica della NATO nel quadro di una diversificazione tattica il cui fine non era a mio parere quello accreditato dai maggiori analisti, ossia il famoso Pivot to Asia con Taiwan nuova Danzica, ma viceversa quello di dissanguare lentamente i rivali strategici, in particolare iraniani, indiani, cinesi, creando una situazione di permanente instabilità nel crocevia globale afghano. Una permanente instabilità che creasse il noto effetto farfalla.
L’operazione militare di Putin sulle frontiere ucraine mandava però in frantumi il disegno delle frazioni ultranazionaliste occidentali del Partito Democratico statunitense e del Pentagono, che erano così costrette a impiegare forze e risorse strategiche nel sostegno al nazionalismo grande-ucraino piuttosto che in quello di ISKP (Stato Islamico del Khorasan), o di TTP (Movimento Taliban del Pakistan), considerato dalla comunità internazionale un gruppo terroristico che ha oggi il fine principale di contrastare il nazionalismo pashtun dei Taliban afghani. Fu non a caso l’ “unità rossa”, l’elite del nazionalismo militare talebano Pashtun, a sconfiggere negli anni precedenti i militanti dell’Isis del Khorasan nel corso di eroiche e feroci battaglie, con la NATO certamente più vicina a questi ultimi che ai taliban afghani sostenuti in quel contesto solo dalle Guardie rivoluzionarie iraniane del leggendario Gen. Soleimani, preoccupate a ragione dall’offensiva militare del takfirismo antisciita.
E’ ora necessario tornare sulle linee di fazione interne al movimento nazionalista Pashtun in quanto l’Afghanistan e il Mediterraneo, a differenza di quanto teorizzato dagli eurasiatisti d’occidente o d’oriente, rimangono il vero centro strategico dell’attuale mondo sempre più multipolare.
Diplomatici e militari?
Subito dopo la “liberazione nazionale” Pashtun dalla NATO, gli analisti occidentali fornivano, come sempre fanno, uno schema binario sulla dialettica politica e militare del fronte interno. Scrivevano in sostanza che era in atto, a Kabul, una presunta lotta interna tra due ali del movimento talebano. La linea Haqqani incarnava a loro avviso la fazione militare che, con il nuovo governo in fieri, aveva trionfato sulla linea possibilista dei più diplomatici Kandahari. In realtà tale lettura non era minimamente convincente a una più attenta analisi; interveniva sulla questione Alberto Cairo, terapeuta italiano divenuto cittadino onorario afghano, attivo dirigente del Comitato internazionale della Croce Rossa, dando testimonianza degli immensi aiuti, finanziari e militanti, dati proprio da esponenti di peso della linea Haqqani al Comitato. Ancora, analisti occidentali favoleggiavano di un presunto intervento decisivo del capo dell’Isi pakistano Faiz Hameed nel tentativo risolutivo di mediazione tra gli Haqqani e il “possibilista” Haibatullah Akhundzada.
In realtà tutti gli analisti di casa nostra trascuravano il dato fondamentale, ovvero che il “movimentismo federalistico” talebano aveva incarnato sin dalle sue origini due elementi fondamentali della odierna storia dell’Afghanistan, e continuava tuttora a incarnarli. Il primo era quello di aver politicizzato il principio del nazionalismo afghano, al di là di ogni presunto integralismo religioso, sin dai tempi dell’invasione sovietica. Questo fu il motivo fondamentale, ben oltre ogni analisi di tipo militare, per cui questo gruppo di oscuri e sconosciuti studenti del Corano, in larga parte Pashtun, poteva averla vinta dopo la ritirata sovietica sul più carismatico e colto Ahmad Massud, che essendo di etnia tagika non poteva incarnare nella percezione di milioni di combattenti e lavoratori afghani il vero afghanismo nazionale. Il secondo elemento decisivo per comprendere l’Afghanistan contemporaneo era rappresentato dal fatto che il nazionalismo Pashtun era tradizionalmente radicato su linee federali e provinciali, non unitarie, di conseguenza non esiste una sola Legge comunitaria, ma ne esistono molteplici e differenziate. Non va infine ignorato il fatto che molteplici esponenti comunitari di etnie non pashtun, come quelle stesse hazara o tagika, sostenevano attivamente il nazionalismo Pashtun ed i Taliban contro la NATO integrandosi perciò nei ranghi del movimento talebano.
Sono perciò tuttora il Mullah Yaqub e Hasan Akhund a garantire spiritualmente il principio del patriottismo Pashtun: la Shura di Qetta, — la shura, nella tradizione arabo-islamica, è l’assemblea o consiglio dei rappresentanti più in vista di una comunità, le cui decisioni politiche sono vincolanti per la comunità medesima —, rimane in conclusione l’espressione dei molteplici poteri federali interni. Non vi è perciò lotta di fazione, non vi è contrapposizione tra una presunta ala diplomatica ed una militare ma vi è un unico nazionalismo afghano in lotta contro il globalismo e contro il terrorismo takfirista e separatista sostenuto da occidente.
Il fallimento del modello “Azov afghano” e la lotta mondiale per l’Afghanistan
Anche in Afghanistan come in Ucraina, gli Anglosassoni, il Partito Democratico di Biden e Obama ed i francesi tentavano, dopo la vittoria Pashtun, di radicalizzare il modello del nazionalismo etnico, in questo caso tagiko, contro l’elemento culturale strategico Pashtun, cuore di ogni patriottismo afghanista, ma la saggia e moderata guida iraniana presso la comunità tagika impediva l’affermazione mediatica e politica del mediocre figlio del leggendario “leone del Panshir”, che nei calcoli Anglo-Francesi doveva divenire invece lo Zelenski tagiko da scagliare contro Kabul.
Inoltre, se i soliti analisti occidentali continuavano a immaginare presunte trame cinesi o russe sul suolo afghano in vista della conquista di risorse strategiche come le miniere di rame o di terre rare, alla fine del 2021, alla conferenza dell’OIC (Organizzazione dei Paesi Islamici), il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif, esponente dell’ala nazionale-rivoluzionaria di Tehran, precisava che lotta per la conquista di Kabul si era risolta con la definitiva vittoria del Nazionalismo indipendentista Pashtun e bisognava perciò accettare tale verdetto storico. Né Cinesi, né Russi, né tantomeno Pakistani potevano o dovevano avere l’ultima parola sulle questioni strategiche afghane. Affermava che la giusta esigenza, cinese e russa, di un governo inclusivo non doveva affatto tradursi in interferenza esterna sui processi decisionali afghani e che tramite la diffusione del presunto Stato Islamico (ISKP) si faceva in realtà strada “la rete dei criminali”, da identificare per il ministro di Tehran con quell’imperialismo occidentale o anglofrancese, ormai decadenti e sconfitti dal progresso storico e sociale multipolare. Concludeva infine sostenendo che la lotta per il dominio globale era, come sempre era avvenuto negli ultimi secoli, la lotta per la conquista di Kabul. I nazionalisti Pashtun, dopo quella conferenza, nominavano proprio lo sciita Abdul Latif Nazari alla guida dello strategico Ministero dell’Economia e il giorno 15 di quello che per gli sciiti persiani è il “mese sacro di Sha’ban”, in cui si celebra la nascita dell’Imam Mahdi, una folta rappresentanza taliban rendeva simbolicamente omaggio alla rivoluzione iraniana identificando il destino nazionale Pashtun con quello iraniano.
Anche nei confronti della crisi ucraina infine, la visione dell’Emirato ricalcava il moderatismo tattico degli iraniani e degli indiani. L’Emirato esprimeva la propria posizione strategica, denunciando anzitutto le interferenze NATO come pericolose e sovversive, ma precisando infine che:
“Tutte le parti, sia russe che ucraine, dovrebbero desistere dall’assumere posizioni che potrebbero aumentare la violenza. Abbiamo a cuore la pace dei popoli e la indipendenza delle nazioni. Stiamo monitorando da vicino la situazione in Ucraina ed esprimiamo preoccupazione per la reale possibilità di centinaia, se non migliaia di vittime civili. L’Europa è insicura, come del resto tutto l’Occidente, dove dominano il materialismo e le peggiori droghe, per questo invitiamo tutti i nostri fratelli afghani a rientrare velocemente nella nostra sacra terra tenendosi lontani da impurità e perversioni. Sappiamo cosa significa combattere e morire per l’Identità patriottica e l’Indipendenza nazionale. Non vi è nulla di più nobile e leale per la nostra Comunità. Tale il nostro destino di ieri e di oggi. A tutti i fratelli Afghani fuori dai nostri confini: il nostro è un destino di vittoria, lotta, libertà, nazionalità. La nostra patria vi attende”.
22 aprile 2022