Alcuni giorni fa Berlusconi era a Mosca per colloqui con il presidente russo Dimitry Medvedev. Quasi nulla di importante era trapelato sugli incontri. Di cosa avessero discusso lo abbiamo saputo subito dopo. Con coincidenza sorprendente ma in perfetta sintonia, mercoledì 12 novembre, il Cremlino e Palazzo Chigi hanno lanciato un monito al neoletto presidente degli Stati Uniti. Medvedev manda a dire a Bush che non prenderà nemmeno in considerazione le nuove proposte USA sui missili e gli scudi antimissile installati in Est Europa: “Non le accettiamo, parleremo solo con la nuova amministrazione Obama, che Bush sta tentando di ostacolare con queste offerte”.
Poco dopo in occasione della conferenza stampa di Smirne assieme al premier turco Erdogan, Berlusconi ha picchiato duro contro due decisioni strategiche di Bush: sullo scudo antimissilistico e sull’ingresso di Ucraina e Georgia nella NATO. Ecco quanto testualmente affermato dal primo ministro italiano: “Diciamolo chiaro, vi sono state delle provocazioni alla Federazione Russa con il progetto di collocare i missili in Polonia e Repubblica Ceca, il riconoscimento unilaterale del Kosovo e poi ancora l’accelerazione del processo di entrata di Ucraina e Georgia nella NATO”.
L’adagio secondo cui le parole sono pietre dovrebbe valere a maggior ragione nel caso che a pronunciarle sia un primo ministro. Difficile pensare che si tratti di una delle estemporanee uscite a cui Berlusconi ci ha abituato. Fatto sta che l’affermazione non è stata smentita, malgrado autorevoli esponenti politici italiani abbiano fatto notare il carattere quanto meno eterodosso della sortita berlusconiana – di norma certe critiche non vengono fatte in conferenze stampa, ma recapitate per le consuete e ben più discrete vie diplomatiche.
Certo, non è da escludere che sotto la pressione degli ambienti atlantisti più intransigenti, Berlusconi sia costretto a correggere il tiro; tuttavia il sasso nello stagno è stato gettato, e sta ad indicare che l’Italia, e con essa i principali paesi dell’Unione Europea, mai hanno davvero gradito la politica ostile alla Russia adottata dall’amministrazione Bush, e quindi sperano che con Obama la musica cambi, nel senso di evitare qualsiasi escalation con la Russia.
Che l’asse euro-carolingio Germania-Francia avesse accettato obtorto collo le recenti mosse antirusse della Casa Bianca era cosa risaputa. Il fatto nuovo è lo scoprire che il governo Berlusconi, considerato da tutti uno dei più ligi e zelanti alleati degli USA, ha dovuto anch’esso fare buon viso a cattivo gioco e che adesso, mentre Bush sta uscendo penosamente di scena, esibisce in maniera quasi clamorosa il suo pieno accordo con Berlino e Parigi e non teme di venire accusato di essere filo-russo, strapazzando in tal modo lo stesso PD di Veltroni e D’Alema, che sul riconoscimento del Kosovo come “stato indipendente” sono stati più realisti del Re.
Riuscirà la “vecchia Europa” e tenere le sue posizioni di bilanciamento tra USA e Russia? Lo vedremo nei prossimi mesi, subito dopo l’insediamento di Obama alla Casa Bianca. Poche settimane dopo questo evento, nel sessantesimo anniversario della fondazione della NATO, l’alleanza nordatlantica terrà infatti un decisivo summit, nel quale dovrebbe essere detta l’ultima parola sia sulle installazioni delle nuove basi in Polonia e Repubblica Ceca, sia sull’ingresso di Ucraina e Georgia nella NATO medesima. E si sa che l’ultima parola spetterà all’imperatore oggi in pectore, che dovrà decidere se continuare sulla linea strategica di indebolimento e di scontro con la Russia, o se invertire la rotta e scegliere la via dell’accordo negoziale per ricostruire rapporti di buon vicinato, come appunto sperano al Cremlino.
Tutto è possibile? Non tutto. I rapporti con la Russia vanno ben al di là della sfera delle relazioni bilaterali. Essi sono una subordinata della politica imperiale statunitense. Bush non aveva scelto a caso la linea del confronto muscolare con la Russia. Quest’ultima simboleggiava la determinazione USA a difendere la propria indiscussa supremazia e a stroncare ogni tendenza ad un ordine mondiale multipolare. Un’inversione di tendenza nei rapporti con i russi (i quali non ne vogliono sapere di essere satellitati dagli americani) rappresenterebbe una svolta strategica della Casa Bianca, ovvero il semaforo verde verso un ordine multipolare. Se ci è concesso, in questo obnubilante clima di euforia obamista, noi non crediamo a questo mutamento di rotta.
La Redazione