Quando il non voto è il più pesante dei voti

Il voto abruzzese del 14 e 15 dicembre, probabilmente destinato a lasciare più di un segno nelle vicende politiche nazionali, di certo ci consegna diversi elementi di riflessione. Vediamo intanto i dati elettorali più significativi.

 

1. La vittoria astensionista

Per la prima volta in una elezione regionale ha vinto nettamente l’astensionismo. Solo il 52,97% degli elettori si è recato al seggio. Aveva votato l’80,95% nelle politiche di aprile, ed il 68,67% nelle precedenti regionali del 2005. L’avanzata dell’astensionismo è stata dunque massiccia, inequivocabile e maggioritaria. Basta un dato per rendersene conto: mentre la somma degli astenuti (non votanti, schede bianche e schede nulle) arriva a sfiorare il 50%, per un totale di 603.886 abruzzesi su 1milione e 209mila, il candidato della destra, Gianni Chiodi, conquista il governo regionale con un totale di coalizione di 295.371 voti. L’astensionismo ha dunque totalizzato più del doppio dei voti dello schieramento vincente, che governerà l’Abruzzo con il misero consenso del 24,4% degli elettori. 

 

2. Perdono quasi tutti

In termini reali perdono tutti i partiti, ad eccezione dell’Idv. Ma anche il successo dei dipietristi è assai meno eclatante di quel che appare. Partiamo dal Pd, che nel 2005 (somma Ds e Margherita) aveva 259.194 voti ed oggi ne ha raccolti solo 106.410. Ma se il Pd piange, anche il Pdl non ha molto da ridere. Nel 2005 aveva perso con 199.355 voti (somma Forza Italia e An), oggi ha vinto con 190.919 voti. Non è dunque vero che la destra stia conquistando consensi, è vero piuttosto che il centrosinistra continua a perderne. Aumenta forse l’opzione centrista dell’Udc? Neanche per idea. Alle precedenti regionali aveva avuto 61.761 voti, mentre domenica scorsa si è più che dimezzato a quota 30.452.

Qualcuno riterrà senz’altro più giusto esaminare il voto dato alle coalizioni, piuttosto che quello delle singole liste. Lo accontentiamo subito. Abbiamo già detto che Chiodi ha vinto con 295.371 voti, mentre nel 2005 il candidato della destra ne aveva totalizzati 311.547. Nel centrosinistra, ovviamente, le cose vanno nettamente peggio. I 258.199 voti del candidato della coalizione (Costantini) vanno infatti raffrontati ai 446.407 ottenuti dal tangentaro Del Turco nel 2005.

 

3. L’eccezione dipietrista

Vediamo ora l’eccezione dell’Idv, che merita un discorso a parte. I dipietristi sono indubbiamente l’unico partito in crescita, ma parlare di voti quintuplicati è assolutamente fuorviante. Questo piccolo partito a conduzione familiare era quasi inesistente nel 2005 (17.982 voti, 2,45%), ma aveva già ottenuto un discreto boom alle politiche di aprile con 58.036 voti, pari al 7,0%. Ora, è vero che i voti sono diventati 81.557 (15,03%) e dunque è questa l’unica forza in controtendenza, ma è anche vero che il caso ha voluto che il partito guidato dall’ ex Pm di Tangentopoli si sia trovato ad esprimere il candidato del centrosinistra in una regione scossa da uno scandalo di proporzioni gigantesche. In questo quadro favorevolissimo i voti del manettaro molisano sono aumentati del 40% rispetto a quelli che aveva incassato ad aprile. Un successo indiscutibile, ma di dimensioni assai diverse da quel che appare dalla stampa. Insomma, Di Pietro raccoglie indubbiamente un voto di protesta, ma sull’entità del fenomeno occorre applicare una giusta tara. 

 

4. Una inutile appendice

In Abruzzo, dunque, non ha perso solo il Pd. Ha perso l’intero centrosinistra, nonostante il risultato dell’Idv. Ma nel centrosinistra erano rientrate nell’occasione anche le appendici di sinistra, questa volta divise tra di loro, ma unite nel sostenere il medesimo candidato di coalizione: misteri, astuzie e piccinerie del politicantismo “alternativo”.

Ma quanto hanno raccolto costoro? Il Prc ha ottenuto 15.435 voti (2,84%), contro i 36.008 (4,91%) delle precedenti regionali; il Pdci si è fermato a 9.955 voti (1,83%) contro i precedenti 21.641 (2,95%); La sinistra (lista che includeva Sinistra Democratica e Verdi) ha raggiunto 12.054 consensi (2,22%), mentre nel 2005 i Verdi da soli erano arrivati a 14.728 (2,01%). In totale gli (ex?) arcobalenici hanno dunque raggranellato 37.444 voti (6,89%), cioè la metà di quelli delle regionali precedenti (72.377 voti, 9,87%).

 

Queste aride cifre, con le quali è stato necessario dilungarsi un po’, ci consentono di trarre alcune indicazioni di carattere generale. Ogni elezione ha caratteristiche proprie, e certo non fa eccezione l’Abruzzo vista la vicenda che ha mandato la vecchia Giunta a casa ed il suo presidente in carcere. Ma sarebbe un errore non vedere gli elementi di carattere generale che emergono da questa consultazione elettorale. Ciò è tanto più vero in considerazione del momento assai particolare, con la grave situazione economica a far da sfondo ad una crisi della politica che si annuncia non meno dirompente.

 

La forza dell’astensionismo

Crisi della politica non significa necessariamente crisi degli equilibri politici. Significa, almeno per noi, crisi degli apparati politici nella loro capacità di gestione della società. Significa dunque crisi di consenso, credibilità, egemonia. Certo, come osservano in molti, la specificità della situazione abruzzese ha sicuramente favorito l’astensionismo, ma è altrettanto sicuro che esso sia cresciuto in virtù di un più generale distacco popolare non dalla politica, bensì dal regime autoritario in cui si vorrebbe rinchiuderla.

La politica come governance vince, ma non convince; non ha ancora un’alternativa e neppure una vera opposizione, ma sta producendo un possente rifiuto di massa. In questo quadro il non voto è il voto più pesante che si possa esprimere.

La situazione è dunque eccellente? No, questo rifiuto potrà prendere strade diversissime, ma solo alimentandolo, sostenendolo, motivandolo sarà possibile indirizzarlo. Se non tutto, almeno una parte di esso.

L’astensionismo ha dunque – in questa fase – un valore strategico. Esso indica un limite, ma anche una potenzialità. Siamo per superare quel limite, e dunque siamo tutt’altro che astensionisti per principio, ma siamo per sviluppare quella potenzialità come motore per la ricostruzione di un’alternativa strategica all’attuale regime oligarchico. 

 

La frana del Partito Democratico

In queste ore il Pd è nella tempesta. Non solo e non tanto per il voto abruzzese, ma soprattutto per le inchieste in corso che fanno emergere la vastità e la profondità del malaffare “democratico”. Ieri, poco dopo l’arresto del sindaco di Pescara (e segretario regionale del partito), arrivava la notizia del coinvolgimento di un parlamentare lucano nelle mazzette per il petrolio di quella disgraziata regione. Oggi gli arresti degli amministratori della giunta Jervolino a Napoli. La geografia degli scandali (vedi Il partito dei cacicchi) si allarga ogni giorno di più.

Riuscirà il Pd a venirne fuori? La logica interna del bipolarismo direbbe di sì. Ma questi non sono tempi ordinari e nella crisi della politica, nel senso di cui sopra, la destra appare comunque più forte e radicata del centrosinistra. Se poi il partito cardine di questo schieramento entra in crisi così pesantemente tutto può accadere. E poi: qual è questo schieramento? Quello a partito quasi unico delle elezioni politiche, quello modello Abruzzo, o quello che prevede l’allargamento all’Udc con contestuale scaricamento degli appena reimbarcati arcobalenici? Non lo sappiamo, ma abbiamo il vago sospetto che non lo sappia neppure l’arrogante gruppo dirigente del Pd, troppo preso dalle lotte di potere, dal dover parare le tante inchieste, dal dover allestire la farsa delle primarie in vista delle amministrative di primavera. E’ dunque possibile che la frana non si arresti, e questo rende ancor più penosa la logica del “meno peggio” delle appendici (ex?) arcobaleniche. Di fronte ad una frana, infatti, la cosa più urgente da fare è scansarsi, mentre pensare di salvarsi cercando di frenarne l’impeto stando a fianco del fango che precipita è semplicemente suicida.

 

Le miserie degli (ex?) arcobalenici

Dei dati delle tre liste in cui si è scomposto l’Arcobaleno abbiamo già parlato: dimezzamento dei voti rispetto al 2005, con una perdita percentuale più contenuta in termini percentuali (- 3%) grazie all’astensionismo.

E’ però bastato il piccolo (e soprattutto, prevedibilissimo) segnale di ripresa rispetto al simbolo unitario delle politiche di aprile, per far intonare qualche canto di vittoria nella segreteria del Prc. Sia Ferrero, che il responsabile degli Enti locali, Gianluigi Pegolo, si sono affrettati a dire che il loro partito è andato bene, che bene è andata la “sinistra d’alternativa” e che così è stato proprio in virtù dell’essersi ridivisi. Ora, nessuno poteva avere dei dubbi sul fatto che la lista dell’Arcobaleno era stato il massimo esprimibile non solo in fatto di deriva politica, ma anche in quanto a dimostrazione di stupidità elettorale. Se Ferrero aveva bisogno di dimostrarlo, lo ha dimostrato. Per quanto ci riguarda questa è veramente la scoperta dell’acqua calda, ma contento lui…

La questione è però un’altra. Com’è possibile cantare vittoria per il dimezzamento dei voti rispetto a 3 anni fa? Com’è possibile essere soddisfatti senza essere riusciti ad intercettare quel malessere che ha preso invece la via del Pm molisano? Com’è possibile accontentarsi della miseria di voti raccolta nonostante la crisi verticale del Pd? E – soprattutto – com’è possibile non rendersi conto di essere dentro quella frana che sta investendo i “democratici”, perlomeno fino a quando non vi sarà una vera rottura a tutti i livelli con quel partito?

Sinceramente, non sappiamo come sia possibile. Ma così è. Ne consegue che da questi settori della ex sinistra di governo non verrà nulla, ma proprio nulla di utile. Queste forze sono incapaci di vera radicalità, sono incapaci di rompere con il sistema bipolare. E dunque sono impossibilitate a recidere sul serio il legame che le tiene strette ad una forza iper-capitalistica come il Pd.

L’Abruzzo, al di là delle speculazioni sui decimali, questo ci dice. 

 

Crisi della rappresentanza politica, crisi economica, sfacelo del Pd, residualità delle appendici della vecchia sinistra “unionista”: tutto ci parla della necessità di una risposta. Una risposta non facile, ma questo è il tempo di agire, e l’astensionismo degli abruzzesi indica una direzione. Quella della rottura con il regime bipolare, non del suo aggiustamento menopeggistico.

Tra tante lezioni, questa è per noi la più importante.

 

La Redazione